ANTONIO CEDERNA ( TRECCANI, una parte) — uno sguardo rapido… +++ POST DI DOMENICO MATTIA TESTA che ci ha guidati nel ricordo di Cederna…
Antonio Cederna (Milano, 1921 – Sondrio, 1996) è stato un giornalista, ambientalista, politico e intellettuale italiano.
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Nel 1956 uscì I vandali in casa (Roma-Bari; ibid. 2006 con prefazione e postfazione di Francesco Erbani), prima raccolta degli articoli pubblicati su Il Mondo, attraverso i quali Cederna aveva sostenuto le sue idee in difesa della pianificazione pubblica e per la salvaguardia della natura e del territorio nel suo complesso perché bene «non reintegrabile».
L’introduzione esponeva con efficacia uno dei concetti centrali di Cederna: la necessità di una conservazione integrale dei centri storici, premessa obbligata alla loro tutela, e soprattutto il nesso di complementarietà fra antico e moderno, per cui per salvare l’antico occorreva saper costruire il moderno secondo i criteri di un’urbanistica aggiornata, ancora assente in Italia per responsabilità di una classe politica e accademica arretrata e ignara delle acquisizioni compiute in quegli anni soprattutto in Europa settentrionale. NeI vandali in casa Cederna dimostrava la sua capacità di inquadrare i fenomeni analizzati in un orizzonte più vasto per risalire alle cause, rivelando una concezione sistemica del territorio. I centri storici sono pertanto da interpretare non come elenco di monumenti eccellenti, ma nell’insieme del loro tessuto connettivo, come complesso contesto di strade e palazzi, e così i beni culturali non come emergenze isolate, ma elementi costitutivi inseriti nel sistema città-paesaggio.
Cederna già rivelava una visione strategica della pianificazione urbanistica nella quale individuò lo strumento privilegiato per il governo del territorio. Pur se non fu mai un vero e proprio professionista della pianificazione, seppe portare la divulgazione dei temi urbanistici a un tale livello di chiarezza, inserendoli in una visione della città assolutamente coerente, da diventare una delle figure di riferimento dell’urbanistica italiana della seconda metà del Novecento, in stretto contatto con alcuni degli urbanisti più importanti di quegli anni, in particolare Leonardo Benevolo, Vezio De Lucia e Italo Insolera. Fu fra i primi a capire che arretratezze e disagio urbano erano il perverso effetto della costante difesa della rendita fondiaria a livello politico-legislativo; in anticipo su tutti diffuse a livello della comunicazione di massa concetti come la irriproducibilità e la fragilità del suolo e pose attenzione alle esperienze più avanzate, in campo urbanistico, di ambito europeo – Amsterdam, Stoccolma, Copenaghen, Zurigo – a più riprese indicate come modelli.
Nel 1962 divenne strenuo sostenitore del disegno di legge urbanistica proposto dal ministro dei Lavori pubblici Fiorentino Sullo (affossato nel 1963 per le enormi pressioni degli immobiliaristi), di cui rilevò immediatamente la novità e la capacità di riallineamento della legislazione italiana con le più progredite normative e prassi europee.
Roma. la ‘città stravaccata’
A partire dal suo arrivo a Roma, Cederna non cessò di riservare particolare attenzione alle vicende urbanistiche della capitale, da lui amatissima pur se spesso lontana dalla sua impostazione culturale. A questi temi dedicò la seconda raccolta, con titolo antifrastico:Mirabilia Urbis (Torino 1965).
Attraverso la cronaca dello stravolgimento del piano urbanistico del 1957, da lui sostenuto come strumento in grado di restituire dignità di pianificazione a una città preda della speculazione e dell’anarchia edilizia postbellica, descrive la decomposizione urbanistica di Roma, la sua espansione informe, l’assalto dei grandi costruttori, responsabili, insieme alla classe politica, delle periferie più tetre e degradate d’Europa, al destino dei cui abitanti Cederna riservò sempre accorati accenti di indignazione sociale. Gli altri articoli, suddivisi in sezioni tematiche, sono dedicati al problema del verde urbano aggravatosi con la svendita dei parchi delle ville patrizie, allo scempio della costruzione dell’albergo Hilton a Monte Mario e ai continui abusi sull’Appia. Nella raccolta trovano posto anche i primi mirabilia Urbis: sorta di vademecum turistici al contrario, di guide rosse dello sfacelo e del degrado che continuò a compilare, nel tempo, col puntiglio del topografo, segnalando abusi, incurie, rovine lungo tutta la penisola.
A ribadire il proprio impegno a difesa di Roma, accettò di divenire consigliere comunale in Campidoglio, carica che ricoprì dal 1958 al 1961, eletto come radicale nelle liste socialiste.
«Indignato speciale» al Corriere della Sera
Alla seconda metà degli anni Sessanta risale la collaborazione con alcune riviste di architettura e urbanistica (Casabella, Urbanistica, Abitare), al marzo 1967 l’ingresso nel Corriere della Sera. Fu Giulia Maria Crespi, allora proprietaria del pacchetto di maggioranza del quotidiano milanese e frequentatrice di casa Cederna a Milano, a volere fortemente Cederna fra i redattori. Durante gli anni al Corriere, fino all’aprile 1982, il raggio d’azione si allargò e Cederna divenne il vero e proprio collettore di denunce, segnalazioni, proposte che gli provenivano da ogni parte d’Italia, e punto di riferimento di quell’opinione pubblica qualificata che andava formandosi anche per merito della sua attività.
Fra i temi trattati: le vicende urbanistiche di Palermo, Venezia, Firenze, Lucca, Selinunte, Bologna, la situazione dei parchi naturali, delle coste e dei musei. E ancora la denuncia dello ‘scorticamento’ della Valtellina, l’assedio del cemento ai siti archeologici, in particolare Paestum. Vere e proprie pagine di storia urbanistica di esemplare documentazione furono gli articoli-inchiesta su Napoli del 1974. Intanto si schierò a sostegno delle iniziative bolognesi di Pier Luigi Cervellati per il recupero dell’edilizia abitativa in centro storico e sempre in quegli anni fu sua l’idea, insieme all’amico Paolo Ravenna, socio di Italia Nostra e influente personaggio ferrarese, dell’addizione verde di Ferrara che portò al restauro delle mura cittadine e alla creazione di un vastissimo parco di 1200 ettari.
Grazie all’autorevolezza e competenza dei suoi scritti, negli anni Settanta fu membro della VI sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici e nel 1970 ricevette il premio Saint-Vincent per il giornalismo.
Oltre che per la solidità e la novità dei contenuti, la polemica di Cederna si distingue per la cifra stilistica, elemento di efficacia e riconoscibilità immediato. Nella sua prosa, i toni variavano dall’indignazione all’ironia più acuminata al sarcasmo vero e proprio, tanto da procurargli la qualifica di «indignato speciale». Gli strumenti retorici erano sapientemente finalizzati a dar voce a uno sdegno in cui l’icasticità della scrittura si poneva al servizio della passione che animava i contenuti. L’Italia è, di volta in volta, «paese a termine», «espressione topografica delle manovre della speculazione e della rapina privata», «crosta repellente di cemento e asfalto». La sua espressione «città a macchia d’olio» costituisce la prima definizione italiana del fenomeno dello sprawl urbano. Sono sue l’assimilazione del Colosseo a uno spartitraffico, in Mirabilia Urbis, e quella dei beni culturali in Italia alle «vacche sacre» in India: intangibili, ma indesiderati; «crosta Adriatica» la riviera romagnola. Locuzioni divenute proverbiali nel lessico dell’ambientalismo italiano.
Spesso i concetti tornavano, e Cederna stesso ripetè più volte, parafrasando Voltaire e con una punta di civetteria, ma soprattutto sconforto: «Scrivo da sempre lo stesso identico articolo, finché le cose non cambieranno continuerò imperterrito a scrivere le stesse cose» (C. Cederna, 1980, p. 241).
Le tematiche ambientaliste
Nel 1975 uscì La distruzione della natura in Italia (Torino 1975), raccolta di argomento più dichiaratamente ambientalista; Cederna, aggiornatissimo sulle questioni ambientali e sugli studi scientifici che dimostravano i limiti del modello di sviluppo, contestava la visione della natura come paesaggio inteso quale sommatoria di panorami e quindi prevalentemente interpretato nelle valenze estetiche. Nell’introduzione, Lo sfacelo del Bel Paese, si scagliava contro il paese delle eterne emergenze, delle calamità ‘naturali’ solo per ipocrita convenzione, capace di scoprire l’urbanistica dopo il crollo di Agrigento e la geologia dopo l’alluvione di Firenze. In quelle pagine rimproverava ai padri costituenti il disinteresse al problema della conservazione della natura e tornava a denunciare la privatizzazione sistematica del suolo nazionale in nome della rendita parassitaria e il rifiuto delle politiche di piano in ogni settore. I testi successivi evidenziavano la situazione dei parchi nazionali e l’analisi della loro gestione, la cementificazione delle coste, ridotte per chilometri e chilometri a informi «città lineari», il dilagare insensato dei porti turistici e degli impianti di risalita e, altro tema caro a Cederna, la carenza di verde urbano, ridotto nelle «città omicide» a percentuali da prefisso telefonico.
Nel volume sottolineava anche, ancora una volta in anticipo su tutti, i danni della ‘valorizzazione’ (termine che non gli piacque mai) turistica in Costa Smeralda, dovuti a un turismo elitario e di rapina, trasformatosi in forma di colonizzazione.
Il progetto Fori
Nel 1979 uscì l’unico testo monografico di Cederna, Mussolini urbanista. Lo sventramento di Roma negli anni del consenso (Roma-Bari 1979; Venezia 2006, con prefazione di A. La Regina e postfazione di M. Baioni), nel quale, attraverso la ricostruzione minuziosa delle cronache e degli avvenimenti che ridisegnarono il volto della capitale nel ventennio littorio, delineò il quadro culturale di un’epoca dal punto di vista architettonico-urbanistico. La denuncia dei danni irrimarginabili che quelle operazioni, in particolare gli sventramenti dell’area centrale, procurarono al tessuto urbano della capitale e agli stessi monumenti archeologici che si volevano esaltare, era correlata alla condanna del processo di espulsione e ghettizzazione degli abitanti delle classi popolari, condannati, con il trasferimento nelle fatiscenti borgate periferiche, alla marginalità urbana e sociale.
Mussolini urbanista, pubblicato in un clima di rinnovata attenzione al patrimonio archeologico romano gravemente minacciato dall’inquinamento, divenne la miccia per accendere il dibattito sul riassetto dell’area archeologica centrale, nel quale Cederna fu fra i più accesi fautori della rimozione di via dei Fori Imperiali. Il sostegno al cosiddetto progetto Fori, proposto dal soprintendente Adriano La Regina, lo vide impegnato, dai primi anni Ottanta, accanto ai sindaci Argan prima e Luigi Petroselli poi, e a un drappello di urbanisti e intellettuali, fra cui Insolera e Benevolo, a favore di quello che Cederna considerava il più innovativo progetto urbanistico che Roma avesse conosciuto nell’ultimo secolo.. Al contrario di altri studiosi e intellettuali, Cederna interpretava l’archeologia come mezzo per perseguire una finalità urbanistica e come elemento, pur straordinario, di un ragionamento sull’insieme dell’assetto urbano: la creazione di un grande parco archeologico che da piazza Venezia giungesse, allargandosi come un cuneo, fino ai piedi dei Colli albani, doveva costituire il perno di una città che avrebbe riconosciuto in questo modo, pienamente, il ruolo determinante della propria storia e del proprio patrimonio archeologico.
La Repubblica e il Parlamento
Nel giugno 1982 Cederna cominciò la collaborazione con la Repubblica, ma i rapporti con la direzione del quotidiano si rivelarono quasi subito difficili e contrastati. Come lo stesso Cederna rilevò nell’amarissima introduzione a Brandelli d’Italia (Roma 1991), l’ultima sua raccolta, l’attenzione della stampa quotidiana si era nel frattempo appiattita esclusivamente sul «culto maniacale della ‘notizia’» (Bollettino di Italia Nostra, n. 325, dicembre 1995, p. 3), intesa come evento, catastrofe, disastro, appiattimento che Cederna, per il quale il giornalismo era al contrario «battaglia costante, continua, tempestiva e preventiva», disprezzò sempre. Soprattutto negli anni al Corriere della Sera, era riuscito a imporre un alto livello di attenzione su problemi considerati di nicchia, mentre dagli anni Ottanta si dovette adeguare a un sistema mediatico dove il giornalismo d’inchiesta non aveva più spazi e i temi urbanistici erano relegati alle cronache locali. Sintomo di questo passaggio fu il mutamento di stile e linguaggio, in cui l’ironia sarcastica lasciò il posto a un’amarezza dolente.
Ciò nonostante il suo impegno rimase inalterato nella disponibilità e passione e le sue battaglie conobbero ancora episodi di grande clamore e successi insperati, come quello contro la cementificazione della piana di Castello a Firenze (Bollettino di Italia Nostra, n. 255, gennaio-febbraio 1988). Ritornò a più riprese a illustrare lo stato di degrado dei musei, in particolare il museo Torlonia e la Galleria nazionale di Palazzo Barberini a Roma; alla metà degli anni Ottanta sostenne la legge Galasso per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale e fu tra i pochi oppositori delle costruzioni per il campionato mondiale di calcio del 1990.
Dal 1986 iniziò la collaborazione con L’Espresso e, saltuariamente, con L’Unità e il manifesto.
Nelle elezioni politiche del 1987 si presentò come indipendente nelle liste del Partito comunista italiano, divenendo deputato della X legislatura, durata fino all’aprile 1992. In quel ruolo presentò, insieme ad altri parlamentari, alcune proposte di legge: Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo (l. 183/1989), Interventi per la riqualificazione di Roma Capitale della Repubblica (l. 396/1990), in cui tornò a proporre il progetto Fori, e Integrazione e coordinamento della legislazione speciale per Venezia (mai discussa). Più marginale il suo apporto alla Legge quadro sulle aree protette (l. 394/1991).
Il suo impegno politico fu ribadito quando fu di nuovo consigliere comunale in Campidoglio, dal 1989 al 1993; in quella veste, nel giugno 1991, riuscì a far destinare per la costruzione dell’Auditorium l’area del quartiere Flaminio ai piedi di Villa Glori, invece di quella, urbanisticamente infelice, del Borghetto Flaminio.
«Appiomane»
Come si è detto, una delle prime battaglie intraprese da Cederna alla redazione de Il Mondo era stata la difesa dell’Appia antica, la strada consolare immersa in una delle aree meglio conservate dell’Agro romano, lungo la quale si snodano straordinari monumenti archeologici. Quella per la regina viarumfu la battaglia di una vita, con oltre 140 articoli in 40 anni che gli meritarono il nomignolo di «appiomane».
Fin dai primi anni Cinquanta aveva denunciato l’assalto della speculazione che stava per deturpare l’Appia per opera di immobiliaristi e settori della curia vaticana, nell’acquiescenza degli organismi di tutela. La prima grande vittoria arrivò nel 1965 con la decisione di destinare a parco pubblico 2500 ettari del territorio circostante l’Appia, su cui il decreto di approvazione del piano regolatore di Roma a firma del ministro dei Lavori Pubblici Giacomo Mancini impose il vincolo di inedificabilità assoluta. Nei decenni successivi Cederna rivendicò tenacemente il rispetto di quei principi attraverso le denunce degli abusi continuamente perpetrati dai proprietari di ville e terreni sull’Appia. Nel 1993 fu nominato primo presidente del Parco regionale, istituito nel 1988, carica che rivestì con grandissimo impegno, pur fra molteplici difficoltà e amarezze.
Il 28 marzo 1994 gli fu conferita da Oscar Luigi Scalfaro la medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte della Presidenza della Repubblica.
Malato da alcuni anni, morì a Sondrio il 27 agosto 1996.
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CEDERNA DAVANTI L’INGRESSO DI UNA VILLA IN STATO DI ABBANDONO—ARCHIVIO CEDERNA
Un’eredità difficile
L’opera di Cederna, pur procedendo per episodi circoscritti – per carattere editoriale e diversificazione di soggetti – possiede una straordinaria organicità tanto da risultare quasi monolitica quanto a coerenza ideologica. Di proverbiale pignoleria nella documentazione e nell’elaborazione scritta, alla base delle sue inchieste mise sempre ripetuti sopralluoghi oltre che il vaglio di innumerevoli materiali di prima mano. Frequentatore attentissimo di convegni, ne proponeva accurati resoconti critici, degni per contenuto di pubblicazioni specialistiche ma esemplari per chiarezza e capacità di individuazione degli snodi culturali. Più volte dovette affrontare polemiche anche molto vivaci e, quasi da subito, gli venne contestata un’ostilità preconcetta nei confronti di una modernità genericamente intesa: passatismo e conservatorismo furono accuse che respinse sempre fermamente, rivendicando il proprio carattere di osservatore e critico moderno e costantemente aggiornato.
Dagli anni Ottanta in poi, ai fautori, maggioritari, dell’urbanistica contrattata, della semplificazione e della deregolazione amministrativa, soprattutto in campo edilizio, la sua visione è sembrata attardata. Ma il dibattito politico più recente, che ha ribadito l’importanza dell’interesse pubblico e dei beni comuni, ha contribuito a sottolineare l’attualità di Cederna che, fra i primissimi in Italia, rilevò il carattere di beni collettivi del territorio e del patrimonio culturale. Di conseguenza, la sua attività e il suo pensiero, che per anni non hanno goduto di adeguata analisi, in tempi recenti sono stati finalmente oggetto di una riconsiderazione critica in tutta la loro complessità e organicità (Guermandi – Cicala, 2007; De Lucia, 2010; Erbani, 2012).In tali studi si sottolinea in particolare come Cederna, con le sue analisi sulla città e sul territorio, abbia avuto un ruolo di precursore nel successivo dibattito urbanistico e culturale e di divulgatore dei principi dell’urbanistica di stampo nordeuropeo a favore di una città in cui la qualità della vita sia garantita a livelli decorosi per tutti.
Cederna non fu solo un critico pronto alla denuncia senza sconti, ma studioso in grado di proporre soluzioni efficaci e realizzabili. I suoi scritti di sintesi si concludono sempre con un’agenda propositiva, in cui il primo punto è invariabilmente dedicato alla necessità di censire, studiare, documentare: «Non si salva ciò che non si conosce» (Territorio, ambiente e dintorni, in Il «rovescio» della città, Bologna 1987, p. 14). «Cederna non ha vinto. Non poteva vincere». Così scrisse nel suo necrologio Nello Ajello (la Repubblica, 28 agosto 1996) pensando ai tanti scempi che Cederna non riuscì a scongiurare. Ma se molti furono comunque gli obiettivi di grande rilievo conseguiti in quasi cinquant’anni di attività, uno dei risultati più duraturi e decisivi è da riconoscere nella creazione di una più matura consapevolezza culturale della fragilità e importanza del nostro patrimonio e del nostro territorio. Cederna fu, ante litteram, uno dei migliori esponenti di quella società civile che egli stesso contribuì a formare, riuscendo a inserire nel dibattito culturale italiano temi – il patrimonio culturale e l’urbanistica – considerati politicamente residuali o mediaticamente poco spendibili. Per questo è ormai assodato il suo ruolo di primaria importanza fra i padri dell’ambientalismo italiano e fra i più importanti intellettuali del secondo Novecento.
FONTI E BIBLIOGRAFIA
L’Archivio Cederna, presso la sede della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, a Capo di Bove, sulla via Appia antica, raccoglie carte e materiali sulla vita e l’attività di Cederna, donati dalla famiglia allo Stato. L’archivio, consultabile anche on-line (www.archiviocederna.it) è aperto al pubblico dal novembre 2008. Italia Nostra, all’indomani della sua morte, ha pubblicato un primo, non esaustivo, censimento degli articoli usciti sulle principali testate cui collaborò: Il Mondo, in Bollettino di Italia Nostra, n. 331, agosto 1996; L’Espresso, ibid., n. 332, settembre 1996; Il Corriere della Sera, ibid., n. 333, ottobre 1996; la Repubblica, ibid., n. 334, novembre 1996; C. Cederna, Il mondo di Camilla, Milano 1980; I. Insolera – F. Perego, Archeologia e città. Storia moderna dei Fori di Roma, Roma-Bari 1983; Italia Nostra ricorda A. C., in Bollettino di Italia Nostra, n. 330, giugno-luglio 1996; A. C.: storia moderna dell’Appia antica 1950-1996. Dai gangster dell’Appia al parco di carta, a cura di G. Cederna, Roma 1997; In nome del bel Paese. Scritti di A. C. sull’Emilia Romagna (1954-1991), a cura di G. Gallerani – C. Tovoli, Bologna 1998; Beni culturali, urbanistica e paesaggio nell’opera di A. C., Roma 1999; M. Cancogni, Caro Tonino, Reggio Emilia 2006; In fondo ai Fori, in Carta, 31 gennaio 2006 (supplemento speciale); Un italiano scomodo, attualità e necessità di A. C., a cura di M.P. Guermandi – V. Cicala, Bologna 2007;A. C., archeologo, giornalista, poeta, uomo. Scritti per Roma, Roma 2008; V. De Lucia, Le mie città. Mezzo secolo di urbanistica in Italia, Reggio Emilia 2010; M.P. Guermandi, La città perduta. Il progetto Fori e una diversa idea di Roma, in Spazio pubblico, declino, difesa, riconquista, a cura di F. Bottini, Roma 2010, pp. 109-121; La via Appia, il bianco e il nero di un patrimonio italiano, a cura di R. Paris, Milano 2011; E. Baffoni – V. De Lucia, La Roma di Petroselli. Il sindaco più amato e il sogno spezzato di una città per tutti, Roma 2011; F. Erbani, A. C.: una vita per la città, il paesaggio, la bellezza, Morciano di Romagna (RN) 2012; V. De Lucia, Nella città dolente, Roma 2013.
(ENCICLOPEDIA TRECCANI)
POST DI DOMENICO MATTIA T.
Antonio Cederna sul settimanale : ” Il Mondo ” denunciava negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso il degrado dei centri storici nella rubrica: Mirabilia Urbis. I suoi interventi polemici e sarcastici verso le giunte comunali, succubi delle società immobiliari, sono una lezione anche in questo inizio del terzo millennio, quando l’abbandono dei centri storici si è acutizzato e moltiplicato. I centri delle grandi città, delle cittadine e dei tanti paesi, fatte le debite eccezioni, si trovano in stato di abbandono, fatiscenti o invasi da nuove costruzioni, dopo la demolizione di edifici secolari, Supermarket, Mc Donald’s, sale giochi…sono stati stravolti per l’incuria e responsabilità degli amministratori locali. Spesso i nativi sono stati espulsi verso la periferia ed il centro storico è stato occupato da chi economicamente forte poteva acquistare i nuovi o, a suo modo, restaurare le vecchie case. Le Mirabilia Italiae- i tanti centri storici – per l’invadenza delle società immobiliari e commerciali e la connivenza non di rado degli amministratori, sacrificate impunemente alla logica del profitto e della speculazione, di giorno in giorno vanno perdendo il loro vero animus, l’irripetibile identità, la peculiarità del tessuto umano e sociale che le hanno contraddistinte per secoli. I cittadini sono stati, in molte aree da Nord a Sud, espropriati del diritto di fruire della bellezza e della cultura particolare dei tanti centri che hanno fatto la storia del nostro Paese, perché invece di ripristinare, restaurare il vecchio, denso di significato, si è voluto aderire al nuovo purchessia. Contrastare i barbari dovrebbe essere impegno di tutti a partire dalla scuola, dalla buona politica, da chi non si adegua alla pervasiva pratica della distruzione e della cultura fai da te…
Di Antonio Cederna mi piace, oltre che alla sua splendida figura di intellettuale e di politico, lo stile graffiante, semplice ed efficacissimo. Anche nella denuncia c’è voglia di ridere e di far ridere sui disastri umani, pietrificati in un eterno presente di bruttezza. Trascrivo qui sotto la descrizione della statua del Missori, nella piazza omonima di Milano:
” Tra tanto orrore ( c’è perfino un palazzo costruito da Marcello Piacentini nel 1930), l’unica cosa ancora tollerabile in piazza Missori è il monumento equestre del colonnello garibaldino Giuseppe Missori, che salvò la vita, a Milazzo, all’eroe dei due mondi. Lo scultore Riccardo Ripamonti, autore dell’opera, aveva una sensibilità artistica inferiore alla sua sana concezione antieroica dei militari: il cavallo è probabilmente una cavalla, che avanza prudentemente a testa bassa e a gambe larghe, eccessivamente stanca, vecchia e ossuta, troppo alta di dietro, troppo bassa davanti, con coda e criniera che sembrano spaghetti appesi ad asciugare. L’Enciclopedia Italiana dice che il Missori,arruolandosi nel ’59 nelle file garibaldine, dovette provvedersi di cavallo “a proprie spese”: comunque sia, egli riesce a reggersi in groppa con una certa baldanza paesana, come un vecchio contadino brillo, balzato in sella alla prima rozza capitatagli a tiro. Ma anche questi due, cavalcatura e cavaliere, tra poco se ne vanno”. articolo de ” Il Mondo”, 18 maggio 1954, tratto da ” I vandali in casa” di Antonio Cederna, editore Laterza , 2006.
Credo che tutti gli insegnanti, ormai in pensione, si ricordino del tristo palazzo piacentiniano, sede del fu Provveditorato agli Studi. Mentre con affanno si salivano le marmoree scale, invano si cercava l’ufficio assegnazioni, dove sarebbe stata decisa la nostra sorte di insegnanti al primo incarico. L’aspetto funereo e inutilmente solenne delle architetture già non prometteva niente di buono:più che di assegnazioni, si trattava di deportazioni di giovani reclute che avrebbero dovuto andare a portare cultura in ignoti paesini dell’enorme periferia milanese. Tenevamo in borsa, per farci coraggio, una copia del libro di Don Milani, ” Lettera ad una professoressa”, ma il marmo nero-grigio dei portali fascistissimi ci opprimeva come il cielo grigio senza speranza di Milano.
Per quanto riguarda il cavallo del Missori, ci immedesimavamo nella sua umanissima depressione ( a Milano si dice di qualcuno particolarmente giù di umore: ” l’è come il cavallo del Missori”. Il cavallo era l’unica raffigurazione umana, pietosa e sfinita, in quell’insalata di finti ruderi e di spocchiosi palazzi.
ma che bello! un pezzo di bravura che si confronta con quello di Cederna !
Il rudere inventato: così Cederna intitola il capitolo in cui descrive,con la solita ironia, la travagliatissima vita e morte di una bella e illustre chiesa preromanica a 400 metri a sud del Duomo, non solo distrutta, ma perversamente attualizzata in rudere, attuale misterioso e bizzarro spartitraffico tra chi arriva da piazza Duomo in piazza Missori. Nella mia ignoranza di inurbata di recente nella grande città, avevo sempre ammirato lo spirito fiero ed indomabile dei Milanesi, che avevano conservato religiosamente i resti dei bombardamenti dell’ultima guerra.
Molto diversa la storia e gli aerei degli Alleati sono del tutto, almeno in questa rovina, innocenti.
L’attuale rudere spartitraffico, dopo una vita travagliatissima che risale all’800,” E’un frammento del muro dell’abside, in mattoni, lungo una decina di metri e alto quattro o cinque, con due finestrelle romaniche e qualche avanzo, in cima, di piccoli fornici, che da lontano sembrano resti casuali di una merlatura, quasi una cresta irregolare, fatta così dal tempo e dalle intemperie. Il “reliquato”,arricchito da qualche pezzo di colonna sparso vicino, sorge entro un salvagente” semicircolare, rallegrato da prati e aiole: di dietro, una scaletta scende in una fossa, dove a tre metri sotto al livello della strada si apre la porta della cripta, isolata dalla strada da una stretta intercapedine. Vicino alla scala un piccolo cipresso. Chi ignora che questa misera rovina era un’antica e bella chiesa distrutta per pura bestialità in questi anni, si meraviglia che Milano sappia con tanto amore richiamare in vita monumenti di cui nessuno sospettava l’esistenza: quel che oggi resta di San Giovanni in Conca sembra davvero un rudere con tutte le carte in regola, che si trovi lì dalla caduta dell’Impero romano o dai tempi del Barbarossa. Ma capita talvolta che un passante affrettato si accosti alla scaletta che porta alla cripta, guardi in giù cercando qualcosa e poi se ne vada di malumore: no, quello non è un vespasiano sotterraneo. E la facciata? la facciata è stata ricomposta e riappiccicata a una nuova chiesa in cemento armato che i valdesi, dopo molte tribolazione non tutte di ordine artistico, si son potuti costruire in via Francesco Sforza”. Pag.196-197 di “I Vandali in casa”, Antonio Cederna, ed. Laterza 2006, pag.196-197
Sempre a proposito di Milano, Antonio Cederna, su “Il Mondo” del 29 giugno 1954, scrive tra l’altro:”…nel febbraio del ’34, il più micidiale piano regolatore che città europea abbia mai dovuto patire, era cosa fatta: ed è, per quanto riguarda il centro, lo stesso che oggi detta legge, dopo l’insperato contributo dei bombardamenti dell’agosto 1943… Milano aveva, tra le altre, due cose stupende: il Naviglio e i Bastioni. Il Naviglio coi depositi di legna, le piccole industrie, i ponti, le chiuse, le ruote dei mulini, i giardini dei palazzi che vi si affacciavano; e i Bastioni alberati, che avrebbero potuto ispirare ottime soluzioni al traffico nell’incontro con le Porte: i Bastioni furono rasi al suolo a partire dal ’30 per dare lavoro ai disoccupati e creare l’insensata piazza Fiume (Piazza della Repubblica attualmente,n.d.r.); il Naviglio, tra l’ospedale Maggiore e San Marco, fu coperto con atto di violenza nel ’31, e a chi si opponeva fu minacciato il confino.
Milano era la città dei giardini: la via dei Giardini, terminata nel ’38, ne distrusse una parte ( giardini Perego, Borromeo, Mylius), il P.R. compì l’opera distruggendo o mutilando i giardini Besozzi in via Borgonuovo, Visconti lungo il Naviglio, dei Cappuccini e Serbelloni nel quartiere Duse, Melzi in via della Moscova, ecc. La storia dello strazio di Milano è un seguito di stoltezze, di illegalità, di paure, di segrete camorre, e chi volesse saperne i particolari sfogli il volume “Milano 1800-1943″ di Ferdinando Reggiori ( peccato che l’autore abbia poi tradito, costruendo la Rinascente). Milano è stata distrutta dall’arretratezza degli urbanisti e architetti milanesi: incolpare gli aviatori americani è tuttavia sempre un argomento per imbrogliare gli ingenui”. da ” I vandali in casa”,Ed.Laterza 2006, pag. 185-186.