Sito ” nuovi desaparecidos ” , una nuova (per noi) via di morte :: IL CIMITERO IN FONDO AL MAR ROSSO E AL GOLFO DI ADEN

 

 

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Dossier 

IL CIMITERO IN FONDO AL MAR ROSSO E AL GOLFO DI ADEN

C’è un cimitero anche in fondo al Mar Rosso e all’Oceano Indiano, intorno allo stretto di Bab el Mandeb, con centinaia, migliaia di desaparecidos. Lo stanno riempiendo i profughi e i migranti che dal Corno d’Africa cercano salvezza e futuro verso lo Yemen e gli Stati arabi del Golfo. Inaugurata oltre dieci anni fa, questa via di fuga non si è mai interrotta, nemmeno dopo che, nel 2014, lo Yemen è precipitato nel caos della guerra civile che dura tuttora. Semmai si è attenuata in parte la rotta più diretta, quella verso le coste yemenite e il grande porto di Hodeidah, mentre risulta più battuta quella dell’Oceano Indiano, a sud dello stretto, puntando su Aden e poi da qui, eventualmente, ancora più a est, verso l’Oman e oltre. A percorrerla, questa via di fuga, sono soprattutto somali, etiopi ed eritrei, partendo da Gibuti o dalla Somalia. A migliaia. Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione internazionale per l’immigrazione (Oim), nel 2017 sono passati di qui almeno 100 mila profughi. Nella prima metà del 2018, la media si è attestata su 7/8 mila al mese. Tantissimi non ce la fanno: sono frequenti i naufragi e le stragi simili a quelle registrate nel Mediterraneo e crescono di giorno in giorno i pericoli e le sofferenze. Sempre l’Oim denuncia come i migranti in fuga verso lo Yemen siano costretti a subire abitualmente, “da parte dei trafficanti o di altri gruppi criminali, abusi di ogni genere, inclusi stupri, violenze psichiche e fisiche, torture per costringerli a pagare un riscatto, lunghi periodi di detenzione, lavoro schiavo e non di rado la morte stessa”. Eppure continuano a tentare. Perché è una “fuga per la vita”: alle spalle si lasciano una situazione ancora peggiore. E perché pensano di non avere strade alternative, specie a fronte delle crescenti difficoltà della via del Mediterraneo, dopo che si sono progressivamente chiuse le rotte dal Marocco, dalla Turchia e infine dalla Libia, mentre, nello stesso tempo, sono diventati sempre più difficili e rischiosi anche i percorsi di terra, attraverso il Sahara, per arrivare ai punti d’imbarco del Nord Africa.
Di seguito un censimento, sia pure parziale, delle vittime degli ultimi anni. Ancora una cronaca di morte.

 

Anno 2019 

Totale vittime: 214

Gibuti (Godoria, stretto di Bab el Mandeb), 29-30 gennaio 2019

Una strage di migranti, con oltre 210 vittime, verosimilmente 214, per il naufragio quasi contemporaneo di due barche al largo delle coste di Gibuti, nelle acque del Bab el Mandeb. I due battelli, entrambi vecchi scafi da pesca in legno, sono partiti dalla zona di Godoria, facendo rotta verso il golfo di Aden, nello Yemen, che nonostante la guerra civile che sta devastando il paese da anni, resta la meta di migliaia di profughi del Corno d’Africa, magari come tappa prima di proseguire il viaggio verso l’Oman. A bordo della prima barca, secondo quanto ha dichiarato uno dei pochi superstiti, un ragazzo di 18 anni, c’erano almeno 130 profughi (di cui 16 donne), in maggioranza etiopi ma anche numerosi somali. Si hanno notizie meno precise del secondo natante ma, a giudicare dalle dimensioni, doveva trasportare non meno di un centinaio di persone. Partiti quasi insieme, i due pescherecci hanno navigato l’uno in vista dell’altro. Il mare era molto mosso, con onde alte tre o quattro metri. Proprio alle condizioni meteomarine avverse, sempre secondo il racconto dei superstiti, è da attribuire la causa della tragedia, avvenuta poco più di mezz’ora dopo la partenza, ancora in vista della costa di Gibuti: le due barche si sono rovesciate quasi di colpo, l’una dopo l’altra, e tutti i migranti a bordo sono scomparsi in mare. La Guardia Costiera di Gibuti ha recuperato 16 naufraghi ancora in vita. Nelle ore successive numerosi corpi sono stati trasportati dalle onde sulla spiaggia tra Godoria e Gibuti. In tutto ne sono state trovate 53. Tenendo conto che i migranti a bordo doveva essere complessivamente almeno 230, si calcola che ci siano 161 dispersi, per un totale di 214 vittime.

(Fonte: Associated Press, Al Jazeera, The Guardian, The New York Times, sito web Helena Maleno Caminando Fronteras)

 

Anno 2018

Totale vittime: 172* (vanno sommati a quelli sotto)

Yemen (Golfo di Aden), 23/26 gennaio 2018
Almeno 30 profughi in fuga dal conflitto nello Yemen sono morti nel naufragio di un barcone da pesca nel golfo di Aden. Il battello era salpato la mattina del 23 gennaio dalla costa di Al Buraiqa, non lontano da Aden. A bordo erano in 152 tra uomini e donne: 101 etiopi e 51 somali, profughi che, fuggiti dal Corno d’Africa nei mesi o addirittura negli anni scorsi per cercare rifugio in Yemen o nella Penisola Arabica, avevano deciso di ritornare nel Corno d’Africa, per sottrarsi alle violenze della guerra tra i ribelli Houti insediati a Sana’a e la coalizione a guida saudita che sostiene il governo e le forze legittiste ripèarate ad Aden. Dovevano attraveresare il golfo di Aden per raggiungere Gibuti, con l’intenzione di chiedere asilo o eventualmente di proseguire la fuga verso altri Stati africani. A provocare la strage sono stati gli stessi trafficanti ai quali i profughi si erano rivolti per compiere la rottta inversa a quella percorsa quando si erano rifugiati nel sud dello Yemen. L’imbarco è avvenuto senza problemi. Durante la navigazion, quando erano ormai da ore in mare aperto – hannao raccontato alcuni dei supersiti – l’equipagfgio degli scafisti ha preteso altro denaro per con tinuare il viaggio fino a Gibuti, minacciando in caso contrario di tornare immediatamente indietro. Ne è nata una decisa protesta, quasi una sommossa, guidata da alcuni dei profughi più decisi e, per sedarla, gli scafisti non hanno esitato a sparare. Nel tentativo di ripararsi o per la paura di essere colpiti, quasi tutti i 152 profughi si sono ammassati su un lato del barcone, compromettendone l’assetto e facendolo rovesciare. I soccorritori, arrivati dalla costa yemenita, hanno tratto in salvo oltre 100 naufraghi e recuperato almeno 30 corpi senza vita, ma si teme che ci siano anche dei dispersi. Per ricostruire con maggiore precisione le circostanze del naufragio, anche alla luce della sparatoria ad opera dei trafficanti, sono state aperte due inchieste: la prima della Guardia Costiera e l’altra condotta dall’Unhcr, che ha pubblicato un primo rapporto il giorno 26.
(Fonte: France Press, Un News Center, Daily Sabah Mideast, Abs News, The Independent, Al Jazeera)

Yemen (Golfo di Aden), 6 giugno 2018
Sessantadue vittime (46 morti e 16 dispersi) nel naufragio di un vecchio peschereccio carico di migranti al largo delle coste dello Yemen, nel golfo di Aden. Il barcone era partito il giorno 5 dal porto di Bosasso, in Somalia, con a bordo cento profughi eitopi e somali (83 uomini e 17 donne) facendo rotta verso il porto di Aden, lungo la rotta che passa a sud dello stretto di Bab el Mandeb, nell’Oceano Indiano, per trovare rifugio nello Yemen o proseguire eventualmente la fuga verso l’Oman. Era ancora a qualche chilometro dalla riva quando, nelle prime ore del mattino del 6 giugno, forse a causa del sovraccarico, si è rovesciato affondando in pochi minuti. Nessuno dei profughi a bordo aveva un giubbotto di salvataggio: si sono salvati soltanto quelli che hanno potuto aggrapparsi a qualche relitto, riuscendo in qualche modo a tenersi agalla. I soccorritori, giunti da Aden, hanno potuto salvare complessivamente 38 persone e recuperato 46 corpi senza vita. Alcuni dei superstiti hanno subito segnalato che il mare aveva porttao via numerosi altri compagni. Le ricerche si sono protratte fino a sera ma dei dispersi non è stata trovata traccia.
(Fonte: Anadolu Agency, Al Jazeera, rapporto Oim Ginevra)

Yemen (provincia di Shabwa), 18-19 luglio 2018

Un barcone carico di profughi si è rovesciato al largo delle coste della provincia yemenita di Shabwa. Non è stato specificato il numero delle vittime, ma tra morti e dispersi è ipotizzabile che siano molte decine, almeno la metà (ma forse anche di più) dei 160 tra uomini e donne (100 somali e 60 etiopi) che erano a bordo. Le autorità di polizia e alcuni leader tribali hanno comunicato che il battello, un vecchio peschereccio di legno, era partito dal porto di Bosaso, in Somalia, uno dei principali porti d’imbarco per i migranti sulla rotta dell’Oceano Indiano. Navigando verso est, ha superato Aden e si è spinto più a oriente, puntando forse verso l’Oman oppure proprio sul litorale della provincia di Shabwa, dove si è verificato il naufragio, per cause e in circostanze che lo stretto riserbo della polizia e degli stessi capi tribali non ha consentito di chiarire.

(Fonti: Associated Press, Sbs News, Yhaoo News, The Garden Island, Tg La 7 ore 13,30, Il Fatto Quotidiano)

 

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