ROBERTO RODODENDRO, LA FRUSTA LETTERARIA CON PRESENTAZIONE DI ALFIO SQUILLACI: IL LIBRO DI MIRELLA SERRI : ” I REDENTI ” -GLI INTELLETTUALI CHE VISSERO DUE VOLTE, 1938-1948

 

 

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Salvino, la sicurezza le leggi razziali del ’38 ed altri parallelismi imperfetti ( ma necessari):
– come spesso capita: lunghetto ma assai interessante –

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I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte. 1938-1948

Mirella Serri

Editore: Corbaccio

Collana:Collana storica

Edizione: 4

Anno edizione: 2009

19,60 EURO PREZZO PIENO

 

La Frusta Letteraria

Un’annotazione storica e una politica

Oggi, davanti alla sollevazione dei sindaci contro la legge Salvini in tema di sicurezza, si ama ricordare le abiette leggi razziali del ’38, stabilendo così un paragone ellittico e una triangolazione mentale sia sull’abiezione delle leggi nuove analoghe alle vecchie, sia sulla necessità della loro reiezione, presupponendo che così si operò nel ’38.
Niente di meno vero sotto il profilo storico. Le leggi razziali passarono nel più profondo silenzio, inerte acquiescenza e gelida indifferenza della popolazione e degli intellettuali italiani.
Il libro di Mirella Serri, “I redenti”, è (tra l’altro) una straordinaria, serrata, approfondita ricerca, testi alla mano, sulla reale reazione degli intellettuali italiani alle leggi razziali. Era infatti sotto gli occhi di tutti che gli ebrei venivano espulsi dalle scuole, obbligati a corvée umilianti in lavori pubblici sui greti del Tevere e ad abbandonare le cattedre universitarie in favore di personalità, che nel dopoguerra si presentarono tra le prime file dell’antifascismo militante. A proposito di quest’ultimo aspetto, il Regime, che come i grillini di oggi aveva problemi con la macchina burocratica, chiese ai professori universitari di compilare una scheda al fine di segnalare gli ebrei insediati in cattedra. Le segnalazioni/delazioni furono corali, unanimi.


Ecco come andarono i fatti.


《Intanto era partito, nel secondo semestre del 1938, il questionario promosso da Bottai e inviato ai presidenti delle accademie, degli istituti e delle associazioni culturali italiane, per censire gli universitari di razza ebraica. Rispondeva zelante la quasi totalità degli accademici, salvo Gaetano De Sanctis e Benedetto Croce che addirittura contestò i presupposti del censimento («L’unico effetto della richiesta sarebbe di farmi arrossire, costringendo me, che ho per cognome Croce, all’atto odioso e ridicolo insieme di protestare che non sono ebreo, proprio quando questa gente è perseguitata»). Firmarono il censimento più di seicento studiosi, da Luigi Einaudi, senatore e professore universitario, futuro presidente della Repubblica, al filosofo Norberto Bobbio, a Concetto Marchesi, docente all’università di Padova, deputato alla Costituente nel 1946, a Natalino Sapegno, a Gioele Solari, ad Amintore Fanfani, professore alla Cattolica di Milano e futuro presidente del Consiglio dell’Italia repubblicana, a Francesco Boncompagni Ludovisi dell’Accademia dei Georgofili di Firenze, a Vittorio Emanuele Orlando, già presidente del Consiglio prima dell’avvento del fascismo, a Ivanoe Bonomi, presidente del Consiglio nel 1921-22 e nel 1944-45. A rispondere furono anche altri scrittori, filosofi e giuristi, come Giuseppe Flores d’Arcais, Ugo Betti, Francesco Carnelutti, Della Volpe, Vittore Branca, professore di Lettere nei Regi Istituti Medi superiori comandato alla R. Accademia della Crusca di Firenze, il pittore Gregorio Sciltian, lo scienziato Renato Dulbecco, il presidente dell’Istituto di studi romani di Roma Carlo Galassi Paluzzi, e molti altri. Le cattedre universitarie lasciate vacanti furono immediatamente riassegnate con il metodo delle chiamate per «chiara fama »: a Roma, per esempio, Filosofia del diritto passava da Giorgio Del Vecchio a Widar Cesarini Sforza; ancora a Roma, Etruscologia andava da Alessandro Della Seta a Massimo Pallottino; a Milano, Storia dell’arte medievale e moderna da Paolo D’Ancona a Matteo Marangoni; a Torino, Diritto internazionale da Giuseppe Ottolenghi ad Alessandro Passerin d’Entrèves; a Firenze, Letteratura italiana da Attilio Momigliano a Giuseppe De Robertis, dopo il rifiuto a prendere il posto di Momigliano opposto sia da parte di Massimo Bontempelli che di Luigi Russo. Così Gatto descriveva con tono da lirico ispirato la prolusione di De Robertis: «Con De Robertis nella fredda Università del nostro ricordo e in questa ov’eravamo convenuti, entravano l’amore della poesia e la vita di una Letteratura contemporanea per trent’anni esiliata dagli atenei». Filosofia morale andava infine da Ludovico Limentani a Eugenio Garin. Quest’ultimo, che all’epoca collaborava con l’ISPI e le cui opere sono seguite con attenzione da Primato (per la collezione «Documenti di storia e pensiero politico» pubblicata dall’ISPI, nel 1942 esce «un’eccellente raccolta antologica di pagine documentarie sulla concezione della vita e della civiltà nel Rinascimento italiano», così gli attribuisce i dovuti riconoscimenti Don Santigliano, alias Muscetta), sarà un vivace sostenitore della tesi del «nicodemismo» degli intellettuali. «Continuare a fare lavoro culturale in tempo di tirannide significa anche questo: muoversi continuamente in situazioni di ambiguità … tutta la cultura italiana che non si chiuse nel silenzio e continuò a fare il proprio lavoro, fu in qualche misura, o in qualche momento ‘nicodemita’». Rimproverato da Giorgio Amendola per aver troppo concesso all’idea del nicodemismo e della «dissimulazione onesta», Garin ribadiva che «per circa quindici anni la cultura italiana, soprattutto nell’ambito delle scienze morali, fu un complicato esercizio di linguaggi allusivi e cifrati per far dire ai testi la verità che importava di più».》

Annotazione politica
Per quel che riguarda i fatti di oggi, i sindaci non si sognino atti di disubbidienza civile: impugnino piuttosto la legge Salvini davanti alla Consulta al fine che venga cassata per i profili di incostituzionalità. Se poi i sindaci intendono aprire una lotta politica sul tema dell’immigrazione con i toni e le intenzioni di Orlando apertamente “noborder” ( Orlando ha dichiarato che a Palermo non ci sono stranieri ma solo palermitani, perché chiunque ha scelto Palermo è palermitano) temo che porteranno Salvini al 51 %. Manifestandosi così come i suoi più sinceri e convinti alleati.

P.s.
Avvertenza
Scoraggio ogni lettura giustificazionista del fascismo sulla falsariga: “Se questi erano gli antifascisti, allora meglio il fascismo”, che non è nelle mie intenzioni, e, quel che più conta, nelle intenzioni di Mirella Serri.
Alfio Squillaci

 

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Alfio Squillaci

Classe 1955, coniugato, due figli, siciliano, residente a Milano dal 1978. Laureato in filosofia. Ha collaborato alle pagine culturali di “Avvenimenti”, “La Provincia di Sondrio”, “Il Riformista”, “Linkiesta”. Impagina da 13 anni il sito web “La Frusta Letteraria” che riprende la testata settecentesca omonima diretta da Giuseppe Baretti (nel ritratto di Reynolds) e che totalizza attualmente una media di 1800 ca lettori-giorno.

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