REPUBBLICA DEL 21-12-2018–pag. 43
Il caso
LEGITTIMA DIFESA LA LEZIONE DI 90 ANNI FA
Domenico Siciliano ( una piccola notizia in fond0…sempre che sia lui…)
Caro direttore, ha fatto colpo alcuni giorni fa il Procuratore Capo della Repubblica di Torino Armando Spataro quando ha definito «aberrante» la modifica della legittima difesa che si profila all’orizzonte. Le dichiarazioni di Spataro probabilmente non sarebbero dispiaciute ai suoi predecessori, che novant’anni fa difesero il principio dello Stato di diritto contro le spinte autoritarie del Regime fascista. La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul progetto di codice penale Rocco del 1927, ebbe l’ardire di resistere proprio sulla questione dell’ampliamento della legittima difesa alla tutela dei beni patrimoniali. In nome di quali principi?
Ma di quelli della tradizione liberale che, a giudizio dei supremi giudici, non avevano perso attualità persino in un regime così incline all’idolatria dello Stato come quello fascista. In cosa consisteva la novità proposta dal Regime? Facciamo un passo indietro.
L’art. 49 co. 1 n. 2 del Codice Zanardelli, ispirato dalla Scuola classica, di matrice liberale, affermava: «Non è punibile colui che ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta ». Tramite il requisito della violenza si considerava legittima solo la difesa dei beni personali e non invece della proprietà. Ma prima ancora dell’avvento del fascismo, la visione liberale era finita sotto attacco. A condurlo era stata la Scuola positiva, in nome di un paradigma nel quale la legittima difesa diviene un diritto a difendere tutti i diritti, proprietà inclusa, per “difendere la società” minacciata dalla delinquenza. Ecco allora che i frutti dell’assedio della Scuola Positiva ai bastioni della Scuola Classica vengono raccolti dal fascismo. Nel progetto di riforma del Codice penale del 1927 si impone una legittima difesa come salvaguardia di tutti i diritti, e quindi anche della proprietà.
L’art. 54 del Progetto preliminare di un Nuovo Codice Penale dichiara: «Non è punibile colui che ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa grave e ingiusta». Ed è qui che fa sentire la sua voce la Corte di Cassazione, che percepisce questa novità come un attacco al monopolio della violenza legittima da parte dello Stato, e avverte: se non si limita la legittima difesa alla stretta cerchia della difesa personale si scivola verso l’anarchia. Il ragionamento dei giudici non fa una piega: se lo Stato fascista è davvero così forte come sostiene di essere, per quale ragione vuole armare i cittadini per surrogarlo? L’intervento della Cassazione porterà alla modifica della disposizione originaria proposta tramite la previsione del requisito di proporzione tra offesa e difesa nel testo definitivo del codice penale del 1930. Ma si, proprio il test della proporzionalità oggi contestato!
Tra le testimonianze a favore di una certa prudenza nell’affrontare la questione svetta quella di Niklas Luhmann, sociologo del diritto di primo piano della seconda metà del Novecento. Luhmann contrappone al modello disfunzionale di affermazione del diritto tipico delle società primitive, fondato sulla pratica del ricorso generalizzato all’impiego della violenza fisica, quello assai più funzionale delle società complesse, che per non indebolirsi sviluppano le tecniche giuridiche per far retrocedere l’uso della forza. In parole povere, una società complessa, articolata e differenziata funzionalmente, non può tollerare la violenza privata.
Consentirla significa retrocedere nella scala dell’evoluzione sociale.
ROBERTO SICILIANO —Domenico Siciliano è partner e fondatore di Themis, boutique legale indipendente nata nel 2010 e specializzata nei nuovi settori del diritto, con particolare riferimento all’area TMT (Telecoms-Media-Technology).
http://www.themislegal.eu/
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