+++ ISPI (ISTITUTO DI STUDI DI POLITICA INTERNAZIONALE )—DOSSIER SUL JIHADISMO DOPO STRASBURGO —ALESSANDRO NEGRI (UNIVERSITA’ MILANO)::: LA RADICALIZZAZIONE JIHADISTA IN CARCERE ++ UN ALTRO ARTICOLO SUGGERITO CON LINK

 

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La radicalizzazione jihadista negli istituti di pena

 

Alessandro Negri

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO

| 14 Dicembre 2018

 

Come ormai ampiamente dimostrato dalle indagini sul tema, uno dei principali luoghi in cui la radicalizzazione jihadista trova terreno fertile è il carcere.1 D’altra parte, le cause della diffusione di tale fenomeno negli istituti di pena sono immediatamente comprensibili: in una condizione di tale difficoltà quale quella detentiva, la scoperta o la riscoperta della religione possono, infatti, giocare un ruolo fondamentale, capace di ridare ordine e persino un senso alla stessa vita. L’emarginazione sociale, il senso di fallimento esistenziale e la sofferenza per la privazione della libertà non sono che fattori in grado di acuire, nei soggetti più psicologicamente fragili, la percezione di profondo isolamento che è tipica della dimensione carceraria2 e così di generare un inevitabile bisogno di appartenenza, nel tentativo di ricostruire la propria identità personale e collettiva.

Naturalmente, ciò vale a maggior ragione per i detenuti stranieri, cui agli elementi di difficoltà appena descritti si sommano tutte le problematiche legate all’assenza o alla debolezza dei legami con la famiglia d’origine e alle barriere linguistiche e culturali, ben evidenziate anche dalla relazione conclusiva del recente Tavolo degli Stati Generali dell’esecuzione penale dedicato al tema3.

Dette complessità, dunque, se da una parte, possono favorire la nascita o il ritorno, nel detenuto, di un semplice desiderio di pratica religiosa, dall’altra possono renderlo particolarmente sensibile a messaggi estremisti, diffusi innanzitutto proprio all’interno delle mura carcerarie. Ed è proprio in un’ottica di contrasto a tale fenomeno che l’Amministrazione Penitenziaria ha adottato, nel corso degli anni, una serie di misure di controllo di carattere preventivo, volte a monitorare il proselitismo jihadista all’interno degli istituti di pena, riassunte dalla recente relazione del Ministero sull’amministrazione della giustizia al momento dell’inaugurazione dell’attuale anno giudiziario4.

Le procedure di monitoraggio previste dall’Amministrazione Penitenziari5 dovrebbero, innanzitutto, mirare a discernere la legittima pratica religiosa dal fanatismo radicale6: la linea che può dividere la prima, garantita tanto costituzionalmente quanto da specifiche norme dell’Ordinamento penitenziario7, dal secondo può, infatti, essere significativamente sottile. E allo stesso modo, dunque, può risultare complesso individuare il momento in cui un comportamento religiosamente ispirato richieda necessariamente, in quanto indice di una radicalizzazione in corso o già completa, un intervento preventivo o repressivo.

Proprio allo scopo di fornire alle singole strutture penitenziarie elementi che consentissero di identificare situazioni meritevoli di attenzione, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha dotato gli istituti di una serie di informazioni denominate “indicatori sulla radicalizzazione”8, elaborate nel 2009 da una Commissione internazionale formata da Austria, Francia e Germania, con il supporto finanziario della Commissione Europea9. Gli indicatori ivi elencati avrebbero proprio il precipuo scopo di aiutare il personale penitenziario ad individuare detenuti in via di radicalizzazione, trattandosi, sostanzialmente, di comportamenti che, presi in considerazione singolarmente, non possono certo fornire una prova di effettivo fanatismo, ma che, in ogni caso, dovrebbero “spingere alla vigilanza ed alla sorveglianza e, all’occorrenza, ad agire di conseguenza”10.

Analizzando più nel dettaglio tali indicatori, però, si comprendono immediatamente le difficoltà cui, nel concreto, essi potrebbero dare luogo: si tratta, infatti, essenzialmente di condotte inerenti alla pratica religiosa dei ristretti, alla loro routine quotidiana, al modo in cui questi organizzano la propria cella o comunicano con altri soggetti all’interno del carcere, persino al loro aspetto esteriore e ai loro interessi. Ed è evidente, dunque, che alcune di esse costituiscono semplici manifestazioni di esercizio di libertà religiosa: su tutte, l’intensificarsi della preghiera, o la modifica del proprio aspetto esteriore in senso più tradizionale. Altri comportamenti rientranti tra i c.d. indicatori, poi, sono persino espressamente disciplinati e autorizzati dall’Ordinamento penitenziario: si pensi, ad esempio, alla norma11 che consente ai detenuti di decorare la cella con immagini e simboli della propria confessione religiosa.

È, d’altronde, opinione condivisa il fatto che proprio il corretto esercizio della libertà di religione sia da annoverarsi tra le misure più idonee alla lotta contro l’estremismo12: i detenuti che si avvicinano, o si riavvicinano, alla propria fede, sostenuti da questa possono infatti trovare un nuovo elemento chiave nello sviluppo della propria personalità, fino a elaborare inedite strategie di mediazione coi referenti istituzionali e a vivere più serenamente, per quanto possibile, l’esperienza carceraria13.

L’Amministrazione Penitenziaria, quindi, che a oggi ha concentrato i suoi sforzi in particolare sull’identificazione dei primi sintomi di fanatismo e sulle eventuali strategie da adottare in risposta a tale adesione a idee estremiste, non potrà prescindere da questo aspetto quando si confronterà con la complessa elaborazione di progetti, da una parte, di prevenzione della radicalizzazione e, dall’altra, di de-radicalizzazione14 in senso stretto, intesa come dinamica volta a recuperare quei soggetti che hanno già abbracciato idee estremiste senza però aver ancora posto in essere alcun comportamento penalmente rilevante15.

* Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.

Note

1 Basti pensare che già nel 2012 l’Istituto Superiore di Studi Penitenziari ha dedicato un numero dei suoi Quaderni, il IX, alla questione, intitolandolo La radicalizzazione del terrorismo islamico. Elementi per uno studio del fenomeno di proselitismo in carcere.

2 A. ZACCARIELLO, Il fenomeno della radicalizzazione violenta e del proselitismo in carcere (II parte), in Sicurezza e Giustizia, LEXETARS, Roma, n. IV, 2016, pp. 43-44.

3 Relazione conclusiva del Tavolo 7 – Stranieri ed esecuzione penale degli Stati Generali dell’esecuzione penale 2015-2016, 2016, disponibile qui, pp. 14-18.

4 Relazione sull’amministrazione della giustizia – anno 2017 – Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2018 – DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA, 2018, disponibile qui

5 Per una ricognizione delle procedure di monitoraggio attualmente previste, v. D. MILANI, A. NEGRI, Tra libertà di religione e istanze di sicurezza: la prevenzione della radicalizzazione jihadista in fase di esecuzione della pena in «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», rivista telematica, 18 giugno 2018, pp. 7-10.

6 F. DELVECCHIO, Il detenuto a rischio radicalizzazione e i rimedi della prevenzione terziaria: triage iniziale, scelta allocativa e ruolo degli operatori penitenziari, in «Diritto Penale Contemporaneo», rivista telematica, 2017.

7 Su tutti, l’art. 26 o.p.

8 D. MILANI, A. NEGRI, op. cit., pp. 10-13.

9 COMMISSIONE INTERNAZIONALE AUSTRIA – FRANCIA – GERMANIA, Manuale sulla radicalizzazione violenta, riconoscimento del fenomeno da parte di gruppi professionali coinvolti e riposte a tale fenomeno, Commissione Europea – Direzione Generale della Giustizia, Libertà e Sicurezza, giugno 2009.

10COMMISSIONE INTERNAZIONALE AUSTRIA – FRANCIA – GERMANIA, Manuale sulla radicalizzazione…, op. cit., p. 7.

11 Art. 58 co. 2 del Regolamento di esecuzione.
12 A. ZACCARIELLO, op. cit., p. 44.

13 È appena il caso di ricordare che la religione è annoverata, insieme all’istruzione, al lavoro e alle attività culturali, ricreative e sportive tra i fattori del trattamento rieducativo del condannato dall’art. 15 O.p.

14. Sul rapporto tra de-radicalizzazione e libertà fondamentali v. J. PASQUALI CERIOLI, Propaganda religiosa: la libertà silente, Giappichelli, Torino, 2018 pp. 126-127.

15 L. VIDINO, L’introduzione di misure di de-radicalizzazione in Italia: note preliminari, in L. VIDINO (a cura di), L’Italia e il terrorismo in casa: che fare?, Epoké – ISPI, 2015, pp. 72-73.

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