Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime…
Cristina Cattaneo
Descrizione
Questo libro racconta, attraverso il vissuto di un medico legale, il tentativo di un Paese di dare un nome alle vittime dimenticate da tutti, i corpi degli immigrati, e come questi più eloquenti dei vivi, testimonino la violenza e la disperazione del nostro tempo.
Il corpo di un ragazzo con in tasca un sacchetto di terra del suo paese, l’Eritrea; quello di un altro, proveniente dal Ghana, con addosso una tessera di donatore di sangue e una della biblioteca pubblica del suo villaggio; i resti di un bambino che vestono ancora un giubbotto la cui cucitura interna cela la pagella scolastica scritta in arabo e in francese. Sono i corpi delle vittime del Mediterraneo, morti su barconi fatiscenti nel tentativo di arrivare nel nostro Paese, che raccontano di come si può “morire di speranza”. A molte di queste vittime è stata negata anche l’identità. L’emergenza umanitaria di migranti che attraversano il Mediterraneo ha restituito alle spiagge europee decine di migliaia di cadaveri, oltre la metà dei quali non sono mai stati identificati.
tiscali. notizie–19 novembre 2018
Fotografie, ossa e frammenti di stoffa: così la patologa restituisce identità ai migranti morti in mare
Cristina Cattaneo lavora dal 2013 alla catalogazione dei reperti dei migranti morti nel Mediterraneo. A lei si rivolge chi cerca le tracce di un figlio o di un amico svanito nel nulla
CRISTINA CATTANEO ( Casale Monferrato, 1964)
di
Si chiama Cristina Cattaneo e dal 2013 analizza ossa, vestiti, effetti personali per risalire all’identità di chi, attraversando il Mediterraneo in cerca di un’altra opportunità, ha perso la vita. Sono 40 mila le persone morte nel tentativo di arrivare in Europa dal 2000 a oggi secondo l’Organizzazione mondiale per le migrazioni. E di una piccola parte di questi si è già ottenuto un nome e una provenienza certa. Cattaneo è docente di Medicina legale all’Università degli studi di Milano ed è la direttrice del Labonof, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense. Da anni ormai la sua attività principale è quella rivolta a restituire un’identità alle migliaia di morti del mare. Quelli a cui nessuno pensa e che rischiano di cadere nell’oblio.
Eppure da quando il gruppo di ricerca è stato costituito – l’anatomopatologa oltre che docente è stata anche perita dei Tribunale in alcuni casi noti alle cronache, quali quello di Yara Gambirasio e Serena Mollicone – a Cattaneo e ai suoi collaboratori si rivolgono persone provenienti da ogni parte d’Europa. Parenti o amici in attesa un congiunto o conoscente e di cui da anni hanno perso le tracce. Grazie a questo alacre lavoro un database è a disposizione per raccogliere dettagli di vite che non ci sono più.
Giovani e giovanissime vite
I reperti parlano quasi sempre di giovani e giovanissime vite, come le 1000 circa perite nel naufragio avvenuto nel Canale di Sicilia il 18 aprile del 2015, la peggior tragedia della storia recente del Mediterraneo. Sono 525 i corpi recuperati dopo l’affondamento del barcone e di questi un terzo aveva tra i 15 e i 17 anni. Sono serviti due mesi – una lotta contro il tempo – per eseguire le identificazioni. I dati sono tutti lì, a disposizione di chi cerca una risposta a quel vuoto dato dall’aver perso le tracce di una persona cara.
Così una donna ha potuto guardare le foto dell’archivio dell’Istituto con base operativa in Sicilia e da due frammenti di carta, che riportavano dei numeri, riconoscere la calligrafia del figlio e trovare la pace che da anni andava cercando. O un uomo, residente in Europa, è riuscito a trovare le tracce della fine tragica della sorella e, dichiarandone la morte, ha potuto adottare il nipote orfano.
I reperti catalogati
Il lavoro di catalogazione ha riguardato i corpi recuperati, alcuni interi, altri solo per parti, e ancora vestiti o effettti personali. Una ragazza aveva un giubbotto con cucito all’interno un sacchetto con della terra, con ogni evidenza la sua terra, l’Eritrea. Un altro dentro una tasca, anch’essa cucita, aveva un compito scolastico di matematica. L’elemento più importante della sua vita passata nella proiezione verso quella futura fatta di sogni. E poi parti di documenti, tessere della biblioteca o maglie dei calciatori delle squadre europee, corani, rosari buddisti e rosari cristiani. Pezzi di vita.
Quello che ha fatto l’Italia con il suo centro per l’identificazione dei migranti morti in quella tragedia di tre anni fa e in quelle precedenti forse è un unicum. Il libro scritto dalla docente Cristina Cattaneo e pubblicato per Cortina editore, dal titolo Naufraghi senza volto servirà a far capire che i “nostri” morti e il “loro” morti hanno la stessa dignità e dietro ci sono le stesse mamme, gli stessi figli e gli stessi amici che aspettano di sapere qual è la sorte del loro caro scomparso nel nulla.
LIBRI DI CRISTINA CATTANEO
cripta Ca’ Granda
gianluca nicoletti.it
Questa è l’ intervista che feci per Wired a Cristina Cattaneo. Me la pagarono ma non ebbero il coraggio di pubblicarla perché forse avevano stomachini delicati. Al contrario Cristina e io diventammo amici e facemmo assieme un programma bellisssimo per Radio24 che si chiamava “CORPI”
La seguii spesso altre volte mentre lei cercava i suoiAmabili resti e la intervistai alla Radio
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Cristina Cattaneo ha mani belle e robuste, mentre mi parla non posso fare a meno di sentirmele dentro alla pancia. Eppure ben so quanto nei suoi romanzi l’ antropologa forense e medico legale, tratti con estrema leggiadria la sua vocazione di squartatrice seriale di cadaveri.
Ho letto della tecnica “del violinista”, quella sua personale pratica di eviscerazione che sembra essere perfetta per lo sciorinamento degli intestini. Funziona così: con una mano si dipanano le anse e con l’ altra si taglia via la membrana che le tiene incollate. Non me la sentirei mai di vederla all’ opera dal vero, ma dopo averne appreso la descrizione mi viene naturale di immaginarla nel gesto dell’ artista che trae melodie dai precordi umani, prima distende le budella, poi ci fa scivolare il bisturi come fosse l’archetto sulle corde tese di un violino.
La professoressa Cattaneo ha occhi azzurri, trasparenti; fatti per guardare lo smembramento scientifico, di quelli che furono esseri umani, con lo stupore che potrebbe provare una bambola. Con perizia e passione smonta pezzo dopo pezzo membra di ogni tipo per dar loro un nome, un’ identità, un’ appiglio alla giustizia che dovrà trovare e punire chi li ha trasformati precocemente in parti di salme. Da una quindicina di anni si è tenacemente seppellita al Labanof di Milano, il laboratorio di antropologia forense della Statale dove si studiano i resti umani, per dar loro un nome, per capire chi e come li ha resi tali. Qualcosa come 800 autopsie all’ anno, divise tra medicina legale, beni culturali e antropologia.
Cristina la taglia morti passa la sua giornata in un posto che sembra il set di un film di Romero, così è diventata la menestrella delle storie da obitorio. Scrive romanzi su quello che le raccontano quelle povere ossa, oltre alla fama scientifica ha quella narratrice epica dell’ anatomia forense. Mi illustra la “stanza sporca”, quella dove si bollono i morti per far venire fuori le ossa belle lucide, l’ odore di quel minestrone prende alla gola, ma nella stanza entrano ed escono studentesse e ricercatrici, sembra che io sia l’unico a f arci ancora caso.
Sul tavolo uno scheletro appena pulito: “Questo è un caso di una persona un po’ carbonizzata, c’è stato un tentativo di occultamento, è una femmina quarantenne. Siamo andati a fare il sopralluogo in un bosco, ora passa l’ entomologo per vedere se ci sono larve o insetti, poi il botanico per eventuali foglie.”
Sembra che quelle ossa si facciano mettere volentieri le mani addosso da Cristina, pare intuiscano che le dita che in quel momento le frugano per trovare chi li ha precipitate nell’ orrore, saranno le stesse che di notte batteranno sui tasti per raccontare la loro epopea. E’ così che la sezionatrice scrittrice restituisce barlumi di esistenza agli sconosciuti, marciti, carbonizzati e spolpati che vede ogni giorno passare sul suo tavolo anatomico.
Cristina conserva l’ avanzo del cappuccino della macchinetta tra reperti incellophanati e microscopi elettronici: “Se dobbiamo capire l’ identità di una persona quando serve proviamo anche a farne la ricostruzione facciale come fanno vedere nei telefilm, ma soprattutto dobbiamo capire come è morta e quando è morta.” Cristina, la scienziata cantastorie di morti, non sopporta i dilettanti che raccontano per serial tv il suo lavoro. E’ ambiguo per lei che è del mestiere il messaggio rassicurante che traspare dalle storie posticce, detesta l’ idea di quelle belle gnocche che sbudellano pupazzi di realistico lattice sanguinolento.
Tutto nei CSI della televisione è sempre all’ insegna dell’ estrema precisione nel definire date, cause e circostanze del decesso, la loro scienza non ha errore. La piccola professoressa monferrina sa che le cose non vanno per niente così. “Noi ci muoviamo in una grossa fascia di grigio che è quella del margine di errore della scienza. Quando c’è materiale biologico a disposizione certo che le cose sono più facili, ma nella maggior parte dei casi il risultato è molto ambiguo.”
Una circostanza, che potrebbe sembrare persino banale a un addicted di ficìtion medico legale, è poter attribuire l’ età a una persona che non può, o non vuole, rivelarla: “ Capita spesso, nel caso di reati di pedo pornografia, che sia necessario definire la minore età di vittime, o quando si tratta di stranieri che compiono un reato ci viene chiesto di stabilire se sia maggiorenne, e magari per farlo abbiamo solo una foto dell’arrestato”. La questione è in realtà tutt’ altro che ovvia, lo staff del Labanof è impegnato su questo campo assieme alle università di Kiel, in Germania, e di Vilnius. Stanno valutando su 600 bambini i parametri antropologici della faccia per determinare l’età. Servirà a trovare degli algoritmi utili per individuare i minorenni, che magari sono stati ripresi in materiale pornografico. “Sono casi in cui possono esserci risultati con margine di errori molto ampio, di due o tre anni addirittura, è frustrante per noi dichiararlo ad ogni perizia, ma capisce quanto sia questo tempo possa essere determinante?”
Cristina Cattaneo insiste a dirmi che il compito di loro tecnici è quello di far capire al giudice il possibile livello di approssimazione. “Anche nei casi di presunte morti per sostanze tossiche, o droghe, abbiamo un dato numerico. E’ molto difficile dire se quel tipo di concentrazione potesse essere stata sufficiente per uccidere una certa persona, questo non è banale. Purtroppo anche con questi processi che si fanno in televisione abbiamo spesso l’ idea del BPA (Blood. Pattern Analysis) come di una scienza come entità inconfutabile e indiscutibile, questo è alla base di molti di quei grossi casi di cui si è parlato molto, quando un delitto diventa materia per un talk show in tv si tende a considerare la scienza onnipotente nei confronti dell’intelligence e questo è un errore. La scienza dovrebbe essere riportata nei suoi ranghi, dovrebbe essere semmai al servizio delle attività investigative non sostituirsi a queste, insomma utilizzata in maniera cauta.
Decine di vittime delitti insoluti infatti sono ancora affastellate negli scatoloni nell’ archivio dell’ istituto. Sul coperchio una frase scritta a pennarello: “sconosciuto carbonizzato”, “sconosciuta appesa”, “sconosciuto trovato in un sacco”. Dentro ai cartoni qualche mucchietto d’ ossa che ancora aspetta di avere un nome. “Sono casi giudiziari ormai chiusi, ma questi altri sono resti archeologici che stiamo classificando…!” .
Mi si sciorinano accanto altri sacchi pieni di ossa sparse. Mi viene da pensare che sono identiche e confondibili tra loro, quando siamo scheletro si annullano i segni distintivi dell’ epoca a cui siamo appartenuti. Negli scaffali ci sono anche decine di teschi, sono stati allineati come fossero in vendita, alcuni sono recenti, altri millenari. Cristina sembra conoscerli tutti, a cominciare da quello enorme primo della fila: “Questo è un macrocefalo, viene da un ex manicomio di fine ottocento, ce l’ hanno regalato e fa parte di una collezione bellissima, quello invece è del secondo secolo dopo cristo e quello accanto invece è di un anno fa….!” Poi centinaia di calotte craniche in fila sui loro supporti come fosse l’ esposizione di un negozio di cappellini.
“Abbiamo un gruppo di lavoro specializzato nella ricerca di resti umani con i cani da cadavere. I cani li addestrano degli allevatori che fino a tempo fa lavoravano per la protezione civile, usiamo del sangue di maiale per far sentire loro l’ odore della decomposizione. Qualcuno usa sostanze chimiche sostitutive, io sono scettica perché la putrefazione di un cadavere può avvenire in talmente tante maniere diverse che è difficile riprodurla artificialmente.” Cristina e i suoi si sono occupati di delitti eccellenti e noti come quello delle “bestie di Satana: “Noi possiamo muoverci su indicazione di pentiti ad esempio, così spesso troviamo i resti di persone assassinate dalla criminalità. Abbiamo con noi con archeologi preparati a lavorare con lo stesso criterio con cui opererebbero in un sito storico.”
La differenza con i laboratori fantascientifici ricostruiti nelle fiction è ancor più evidente quando mi viene mostrato l’armamentario di primo intervento per chi lavora in quel posto; è un mix composto da sofisticatissima tecnologia e da un mucchio di pale, zappe e picconi appoggiati lungo un corridoio. “Cominciamo a scavare nel luogo che ci indicano, possiamo aiutarci con il geo radar, il metal detector, i cani da cadavere…Ma il grosso del lavoro lo facciamo con le nostre braccia. Quando andiamo a cercare i morti sepolti prima osserviamo il terreno, poi quando troviamo il cadavere, prima ancora di prenderlo facciamo una scansione con il laser scanner che ci permette di prendere misurazioni in ogni direzione e ci permette la ricostruzione virtuale tridimensionale della scena del crimine. La stessa tecnica ci permette di ottenere un avatar perfetto del morto. Quando dobbiamo studiare i colpi d’ arma da fuoco, molte volte è importante vedere residui di combustione, allora ci vuole il microscopio elettronico a scansione che mi fa vedere la forma della lesione, ma anche i componenti dei residui. Vede qui c’è un sacco di piombo e di antimonio, ma quanto può aver inciso l’inquinamento ambientale su queste tracce? Se il riconoscimento delle etnie è molto difficile, attraverso questi isotopi possiamo riconoscere la provenienza da certi paesi nei quali ci sono alte concentrazioni di sostanze radioattive come il cesio, insomma anche l’ inquinamento può darci tracce. Utile in questo senso è stato lo studio fatto sul C14, un isotopo stabile naturale derivato dalla decomposizione del carbonio emesso negli esperimenti nucleari dopo la seconda guerra mondiale. Prima non erano stati immessi nell’ atmosfera e con ricerche chimiche molto sofisticate abbiamo recentemente datato uno scheletro che poteva essere anche sembrare archeologico, ma grazie a questa tecnica abbiamo visto che risale a dopo gli anni 50, sempre più o meno, perché ogni nuova tecnologia ci permette di vedere cose nuove, ma il problema dell’ approssimazione resta comunque.”
Il luogo più affine alle rappresentazioni comuni dell’antropologia forense, almeno nella categoria dell’ immaginario degli autori televisivi, potrebbe essere il laboratorio delle ricostruzioni. Ci vive Davide Porta, da dieci anni tecnico e braccio destro di Cristina, noto per la maestria a rimettere carne sui teschi sotto forma di plastilina di nuova generazione. Qui i crani ossuti si trasformano in simulacri di teste mozzate, che ti guardano fisso con le loro nuove pupille di vetro, sembrano tutti un po’ ghignare per quella faccia che gli è stata appiccicata sopra, ma che nemmeno sempre si sa quanto assomigli a quella di carne che avevano in origine. “Noi mettiamo dei piccoli spessori sulle ossa e poi ricostruiamo a mano tutti gli strati di muscoli, fino ad arrivare alla pelle. Lo stesso lavoro può essere fatto certamente anche con il computer, si evita il rischio di lavorare sull’ idea preconcetta che noi ci facciamo di quel possibile volto, ma in ogni caso non c’è mai sicurezza assoluta che la faccia possa assomigliare all’originale. Comunque non è certo come nei film in cui si vede che in pochi istanti avviene la ricostruzione in un monitor.”
Nella galleria delle teste di gomma ancora una volta si nota il caos cronologico che impera in quel luogo, accanto alla testa di uno sciamano inca, quella di un guerriero longobardo, un cranio preistorico e quello di un morto ammazzato abbastanza di recente. Sorprende invece di trovare bei testoni di santi che sorridono ieratici tra tutti quei pagani e morti ammazzati. Per Cristina sono anche quelli pezzi della sua raccolta di ossa, almeno a differenza di tanti altri hanno un nome: “Capita che qualche parroco chieda di fare il calco del teschio durante la ricognizione delle spoglia di un santo- mi indica un bel signore rubicondo con un gran nasone-questo è san Nazaro, il secondo in importanza per i milanesi dopo S.Ambrogio, quell’ altro è Sant’ Evasio di Casale Monferrato.”
Avevo letto la storia di quest’ ultimo, i devoti al suo culto ne hanno mandato la reliquia in America a fare il Carbonio 14, volevano accertarsi che fosse veramente ossame del terzo secolo, come da agiografia ufficiale. Qui ora scopro che vogliono sapere anche che faccia avesse realmente; ma chissà quanto staranno in ansia nel timore che la ricostruzione, uscita in quella fabbrica della resurrezione di antenati e assassinati, possa non corrispondere all’ imma