IL FATTO QUOTIDIANO DEL 14 APRILE 2013
Tra colonialismo e immigrazione. Intervista a Matteo Dominioni
Erika Farris
Giornalista, mediatrice culturale
“Sulle prime, il contatto con l’iprite è indolore, ma il liquido penetra nella cute, anche attraverso i vestiti, e blocca il normale ricambio cellulare. Poche ore dopo il contatto, la pelle si gonfia e si rompe, gigantesche piaghe espongono all’aria la carne viva, il dolore è indescrivibile”. È con queste parole che Wu Ming 1 e Roberto Santachiara descrivono gli effetti del gas a base di diclorodietilsolfuro all’interno del romanzo-inchiesta Point Lenana (Einaudi, 2013).
Una sostanza vietata dal protocollo di Ginevra del 1928, che per quasi settant’anni l’Italia ha negato di aver utilizzato, ma che dal luglio del 1930 è stata una delle armi da guerra più efficaci per la conquista delle colonie africane.
Matteo Dominioni è un affermato storico e ricercatore, che proprio in questo momento sta lavorando a un libro sull’uso dei gas in Etiopia. Un’opera che si andrebbe ad aggiungere alle sue numerose pubblicazioni sul tema, fra cui certamente primeggia il titolo Lo sfascio dell’impero (Laterza 2008), principalmente incentrato sulla strage di Zeret: uno fra i massacri più efferati dell’occupazione dell’Etiopia. Un testo di grande valore intellettuale, anche testimoniato dalla prefazione del noto studioso Angelo Del Boca.
“Vorrei che si capisse – afferma Dominioni – perché l’Italia ha per lungo tempo rimosso dalla memoria il periodo delle conquiste coloniali, come ha anche denunciato un recente articolo del blog. Si deve considerare che gli archivi dell’epoca sono stati resi consultabili solo dal 1996, quando il generale Corcione, al tempo Ministro della difesa, ammise l’uso dei gas in Africa e anticipò di qualche anno la possibilità di accesso ai documenti fino a quel momento secretati come dati molto sensibili, e quindi teoricamente consultabili solo con settanta anni di distanza dai fatti”.
“Nel 97 iniziai a studiare l’argomento per la mia tesi di dottorato – prosegue Dominioni – e mi sono imbattuto nella strage di Zeret quasi per caso, scoprendo che quell’avvenimento era andato diversamente da come l’aveva descritto il generale Ugo Cavallaro in un suo libro, dove si parlava dell’assedio nella grotta ma era stato omesso sia l’utilizzo dell’iprite, sia che i circa 1500 morti stimati fossero civili e non militari. E quello è stato solo uno dei tanti massacri avvenuti all’epoca”.
Per i libri scritti e l’argomento trattato Matteo Dominioni si è anche attirato le critiche dell’ex presidente della Camera Gianfranco Fini.
“Durante un convegno di Allenza Nazionale, nell’estate del 2010, il presidente Fini parlò di uno storico comasco che scriveva fesserie in merito al periodo coloniale fascista. A parte i giornali di Como nessun altro media ne parlò, mentre un’accusa del genere avrebbe dovuto fare molto scalpore. Mi dispiacque perché io lo considero anche un politico intelligente, ma quell’intervento mi fece capire che evidentemente sulle colonie c’è ancora un retaggio culturale legato alla sua storia politica, che comunque nasce nell’estrema destra del MSI (Movimento sociale italiano)”.
“Eppure dovremmo ricordare bene la guerra d’Etiopia – prosegue Dominioni – che senza dubbio fu una delle più grosse e importanti combattute dall’Italia, con sprezzo delle relazioni internazionali e ingenti investimenti che ancora oggi paghiamo con le accise sulla benzina, di cui qualche centesimo ancora serve a ripagare la spedizione del 1935. E posso garantire che gli investimenti furono interamente devoluti alle operazioni belliche e che vi fu ben poco sviluppo economico all’interno dei paesi occupati. Persino le attrezzature da lavoro e il cemento che serviva per le costruzioni venivano esportati dall’Italia e le strade vennero costruite per le truppe auto-carrate che si dovevano poter muovere agilmente sul territorio. Venne aperta qualche officina meccanica, ma anche quella era legata alle esigenze dell’esercito. Le scuole costruite erano riservate ai bianchi fino al 1938, quando arrivò il Duca d’Aosta.
Diciamo che il nostro colonialismo è stato breve, anacronistico, violento, razzista e si è concluso con un nulla di fatto, e non siamo stai i peggiori solo perché siamo rimasti solo cinque anni. E a causa della breve durata la faccenda è peraltro sparita dalla memoria storica, quindi non siamo stati colonizzatori, siamo puri, non siamo mai usciti dall’Europa e adesso nessuno deve venire da noi”.
Interpellato sulle tragedie di Lampedusa, Dominioni ha le idee molto chiare sul tema: “L’immigrazione è un fenomeno che non si può fermare, anche perché viviamo in un sistema dove una parte del mondo violento e affamatore campa sfruttando e sperperando le risorse dei più deboli e per permettere anche agli altri di vivere dignitosamente dovremmo mettere in discussione il nostro stile di vita. Invece, pur di lucrare, apriamo ambasciate e consolati onorari e teniamo rapporti economici in paesi dove le persone vivono malissimo e non vengono rispettati i diritti umani, come in Etiopia.
“In quanto al reato di clandestinità – conclude Dominioni – trovo che sia un sistema insostenibile perché crea una sorta di apartheid camuffata, non fra bianco e nero ma fra chi ha il documento e chi non ce l’ha. Dove un cosiddetto clandestino dovrebbe avere un’aggravante di pena perché non in regola, e quindi solo perché è straniero, facendo venire a mancare il sacrosanto principio de la legge è uguale per tutti“.
Clandestino è un crimine creato per chi non ha fatto niente di male, ma che bisogna trattare come un delinquente, fino a che finalmente lo diventa. Allora finalmente lo si può mettere in carcere. Più della metà dei carcerati in Italia sono clandestini. Da qui la fortuna politica dei vari Salvini.