LA VOCE.INFO DEL 04-04-2018 ::: fact-checkin ::: TRAVAGLIO ::: 60 MILIARDI ALLE BANCHE… se vuoi saltare tutte le prove, vai al ” il verdetto ” in rosso…

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Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle affermazioni di Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotidiano, sulle risorse pubbliche impiegate nei salvataggi bancari. Vuoi inviarci una segnalazione? Clicca qui.

Il futuro governo avrà di fronte il compito di soddisfare le tante aspettative che gli elettori hanno maturato a seguito del risultato elettorale. A questo proposito Marco Travaglio, nel corso dell’ultima puntata di Mezz’ora in più, su Rai3 (al minuto 19:58), si è detto ottimista: dal momento che sono state trovate diverse decine di miliardi per le banche, sarà possibile finanziare anche proposte onerose come il reddito di cittadinanza e la flat tax. In particolare, ha affermato:

In questa legislatura hanno preso 60 miliardi dalle nostre tasche e li hanno dati alle banche. Quindi non è vero che non si può fare niente: dipende dagli obiettivi che ti dai e da dove dirotti le risorse pubbliche”.

È davvero così?

Il direttore de Il Fatto Quotidiano, sul quale abbiamo già pubblicato un FAST-checking, potrebbe far riferimento a un articolo, pubblicato sul suo giornale nel luglio 2017, che riporta una stima del costo dovuto alle crisi bancarie degli ultimi anni pari a 68 miliardi di euro. Una cifra approssimativamente vicina a quella citata da Travaglio. Tuttavia, come è ben evidente nell’articolo, si tratta di una stima del costo complessivo per l’economia, che include quindi, per esempio, anche le perdite private degli investitori.

Per quantificare la reale entità degli aiuti pubblici – nelle varie forme – alle banche in crisi, è essenziale ripercorrere passo dopo passo gli avvenimenti degli ultimi anni. I principali passaggi della XVII legislatura che hanno portato a un intervento statale nel settore bancario sono sostanzialmente cinque: il decreto Imu-Bankitalia nel 2013, il burden sharing delle quattro banche del centro Italia nel 2015, l’istituzione del fondo Atlante (1 e 2), l’aumento di capitale di Monte dei Paschi di Siena e la liquidazione di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza nel 2017.

Decreto Imu-Bankitalia

Il decreto legge di novembre 2013 n. 133 (convertito in legge il 29 gennaio dell’anno successivo) suscitò gran clamore per quello che fu definito un “regalo alle banche”. Si trattò della rivalutazione contabile – e non di un versamento di risorse pubbliche – delle quote del capitale nominale della Banca d’Italia detenute da alcune banche private (da 156 mila euro a 7,5 miliardi), tramite la trasformazione di parte delle riserve in capitale. In quel modo lo stato incassò una tantum il 12,5 per cento delle plusvalenze, per finanziare l’abolizione di una rata dell’Imu (circa 1,2-1,5 miliardi).

C’è stata una spesa per il bilancio pubblico? Potrebbe: come spiega Il Post, il decreto ha reso le quote trasferibili, e imposto un limite massimo del tre per cento alle singole partecipazioni detenute. Le quote rimaste invendute, secondo il decreto, sarebbero potute essere riacquistate dalla Banca d’Italia stessa, con l’obiettivo di rivenderle: l’ufficio stampa dell’istituto ci ha tuttavia confermato che dall’approvazione della riforma la banca non ha mai acquistato quote di capitale. Un ulteriore esborso potrebbe essersi verificato per la distribuzione dei dividendi di via Nazionale: al massimo il 6 per cento del valore del capitale, cioè 450 milioni di euro all’anno. Possiamo quindi immaginare che – comparato il ricavo una tantum delle plusvalenze e la maggiore spesa per i dividendi – negli ultimi due anni (la legge è stata applicata dal 2016) il risultato netto non sia stato, almeno per il momento, negativo per il settore pubblico.

Le quattro banche del Centro Italia

A fine 2015 il governo Renzi decise la risoluzione di Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Banca delle Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti. Un’operazione che, secondo i codici del burden sharing, azzerò tutte le azioni e le obbligazioni subordinate, mentre tutelò le obbligazioni senior e gli altri risparmi. Non si è verificata spesa diretta di soldi pubblici: anche i rimborsi dei risparmiatori truffati, decisi con il decreto del 3 maggio 2016, furono ripagati dal Fondo interbancario di tutela dei depositi.

Fondo Atlante (andata e ritorno)

Altro intervento, questa volta congiunto tra pubblico e privato, è stata la creazione del fondo Atlante e poi di fondo Atlante 2 (oggi chiamato Italian recovery fund), nel 2016. L’obiettivo era intervenire nelle crisi bancarie, sostenendo la ricapitalizzazione delle banche in difficoltà e rilevando i crediti in sofferenza, rimanendo nel perimetro delle regole europee. Ai fondi hanno partecipato per la maggior parte banche private, ma anche enti che – seppur di diritto privato – hanno forte caratterizzazione pubblica. Come Cassa depositi e prestiti, che ha investito nel primo fondo Atlante 400 milioni di euro (azzerati) e altrettanti in Atlante 2. Anche Poste Vita, compagnia di assicurazione del gruppo Poste Italiane, ha partecipato a entrambi i fondi con una quota di 250 milioni ciascuno (quella per Atlante 1 è oggi azzerata). Le fonti sono articoli de Il Sole 24 Ore (1 e 2). Il rosso accertato in questo caso è quindi di 650 milioni di euro.

Intervento in Monte dei Paschi di Siena

A fine 2016, il governo Gentiloni – con il decreto del 23 dicembre 2016 – chiede al Parlamento l’autorizzazione di sforare gli obiettivi di finanza pubblica previsti per la creazione di un fondo di 20 miliardi di euro. Lo scopo è operare “sottoscrizioni e acquisto di azioni effettuate per il rafforzamento patrimoniale” e garantire “passività di nuova emissione e […] l’erogazione di liquidità d’emergenza a favore delle banche”. Pochi giorni dopo Monte dei Paschi di Siena chiede l’intervento pubblico per la ricapitalizzazione precauzionale. Dopo aver ottenuto l’autorizzazione della Bce, parte il piano di circa 8,3 miliardi di euro: 3,9 pubblici per l’acquisto di nuove azioni e i rimanenti 4,5 richiesti ad azionisti e creditori subordinati. Come spiega l’aggiornamento del Def di settembre 2017 (da pagina 49), di questi ultimi un miliardo e mezzo avrebbe potuto essere rimborsato dallo Stato: così è accaduto, se oggi la partecipazione del ministero dell’Economia in Mps raggiunge già quasi il 70 per cento. I soldi spesi sono dunque saliti a 5,4 miliardi di euro.

Il Sole 24 Ore, in un articolo di agosto 2017, riporta numeri differenti, probabilmente riferendosi al capitale che si stima verrà perso: poco più di 2 miliardi in totale. Ad ogni modo, si tratta di risorse che dovrebbero rientrare nel bilancio pubblico in futuro, trattandosi di un prestito, sull’esempio dei Monti-bond investiti in Mps nel 2013 e già rimborsati dalla banca senese. Ad oggi, tuttavia, le nuove azioni detenute dal ministero del Tesoro hanno subito un crollo dell’83 per cento, per una perdita complessiva temporanea di circa 3,2 miliardi di euro.

Le banche venete

L’ultimo intervento pubblico per la stabilità del sistema bancario consiste nella liquidazione coatta amministrativa delle due banche venete, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, disposta con il decreto legge del 25 giugno 2017.

La spesa iniziale è stata di quasi 5 miliardi di euro come anticipo di cassa, destinato a Banca Intesa (che ha acquistato le due banche popolari) per ricapitalizzare gli asset acquisiti e coprire i costi di integrazione. A questi sono da aggiungere circa 400 milioni di garanzie, a fronte di un ammontare garantito tra crediti a rischio ed eventuali cause legali di 12 miliardi. Secondo l’analisi del Sole 24 Ore, va stimata una perdita di circa 6 miliardi e mezzo, sui 12 complessivi, tra minusvalenze, cause perse e crediti inesigibili.

Il verdetto

Sommando le stime degli interventi pubblici – compresi gli interventi di Cdp e Poste – nel settore bancario dal 2013 al 2018, si ottiene una cifra non superiore a 18 miliardi di euro ad oggi sfumati. Se invece prendiamo in considerazione i massimali – cioè l’importo totale degli investimenti senza tener conto dei possibili (in alcuni casi molto probabili) ricavi – il conto sale a 24 miliardi di euro. Poco più di un terzo del numero riportato da Marco Travaglio, che commette l’inesattezza di considerare come aiuti pubblici anche le perdite private dei risparmiatori o provenienti dal settore bancario. Denaro che ovviamente non potrebbe in alcun modo essere destinato al reddito di cittadinanza o alla flat tax. Per conoscere il conto finale degli interventi pubblici ci vorranno anni, e molto dipenderà anche dall’andamento dei mercati. Tuttavia, ad oggi, la dichiarazione di Travaglio è senza fondamento e dunque FALSA.

Ecco come facciamo il fact-checking. Vuoi inviarci una segnalazione? Clicca qui.

 

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GRETA ARDITOarditoLaureata con lode in Economia e Scienze Sociali all’Università Bocconi, frequenta attualmente il MSc in Economic and Social Sciences. Ha studiato anche all’ISPI e alla London School of Economics. Fa parte dell’associazione internazionale European Youth Parliament. Fact-checker presso lavoce.info.
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LORENZO BORGAborgaStudente di Economia, Mercati e Istituzioni presso l’Università di Bologna. Collaboratore de Il Foglio e fact-checker de lavoce.info. Vive a Trento e su Twitter è @borga_lor.
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MARIO LORENZO JANIRIjaniriNato a Roma, frequenta attualmente il Master in Economics and Management of Government and International Organizations presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi. Fact-checker e research assistant presso lavoce.info.
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