MGP UN RACCONTO NUOVO:::: ” IRIDESCENTI SUL DORSO ” —-

IRIDESCENTI SUL DORSO

di MGP

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Iridescenze di Angelica De Rosa,

La piattaforma Paradiso era la nostra base. Dominava la terra e il mare. Era un territorio riservato e ben difeso nel quale potevamo entrare solo noi e le ragazze che Luis decideva di portare. Gli altri, tutti gli altri abitanti dello stabilimento  balneare  erano  esclusi.

Era la nostra residenza estiva, l’unico posto invitante, asciutto e sicuro del mondo. Si ergeva sopra il tempo molle e stanco dei bagnanti. Non si curava della pesca, delle reti, dei sacchi delle dune, dei motori rugginosi delle barche in uscita. Controllava l’isola che emergeva rocciosa e selvaggia a due miglia di distanza e sorvegliava  tutti  gli  scogli  affioranti  nelle  vicinanze.

Verso terra guardava una lunga fila di finestre aperte, terrazze, archi, tetti luccicanti e pareti levigate che si addensavano in lontananza fino a diventare una striscia uniforme di cemento. Il confine tra il territorio calpestabile e la grande  distesa  salata.

Nessuno di noi tornò più in quel luogo dopo i fatti accaduti quell’anno  e  i  genitori  di  Luis  vendettero  la  casa.

Sulla piattaforma consumavamo l’estate: i fatti, le cose, gli incontri, gli amori erano tutti accessori, ciò che davvero facevamo era assistere alla nostra stessa esistenza in uno splendore esterno che osservava i nostri corpi muoversi. Al mare sacrificavamo la pelle nuda, la carne, la fame, le notti, la musica, le parole in un’incessante attesa di piacere e di dolore, di inquietudine e di calma, di eternità e di cambiamento.

Gli altri avevano un numero infinito di preoccupazioni, contavano i giorni, pensavano a quante ore dormivano per notte, a quanti soldi restavano per le vacanze, alle condizioni meteorologiche, si agitavano e  mugugnavano continuamente. Noi ci abbandonavamo al privilegio di esistere, seguivamo il crescere e il ritirarsi del mare con la sensazione di essere dentro e fuori, nel sangue delle cose e sulla pelle dei pensieri.

 

Non erano molte le parole che Luis diceva, sempre le solite battute lanciate in aria. Offriva altro. Non so se avesse un’anima dentro quel corpo di diavolo. Tutto ciò che diceva o faceva era quasi un tradimento; avrebbe dovuto recitare o danzare o fare il funambolo. Gli unici momenti di immobilità erano quando guardava il mare. “ Cosa pensi ?” gli chiesi una volta. “Non penso, non  c’ è  da pensare.” Non mi chiese “ e tu? ” avevo già la risposta pronta “all’eternità” avrei detto. Ma Luis non cercava forme universali, modelli, o principi cercava l’acqua non il mare, i progetti, i cimenti, le sfide, nell’attesa ideale di una vita guerriera, da protagonista.

Non  era  così per Philippe, lui leggeva e sapeva  tutto.  Non  faceva che parlare di strani animali osservati nel suo acquario e sosteneva  che i pesci non  sono muti  ma espansivi  e loquaci.

I nostri discorsi ondeggiavano tra gli scogli, il fondo del  mare, le grotte per approdare nei meandri selvaggi dell’isola. Parevano spinti là dal ritmo pressante delle parole e da un’eccitata gioia di ritrovare quelle cognizioni disordinate, rimaste nascoste in qualche angolo dell’anima, che finalmente prendevano vita. Diventavano piccole ombre umide con la coda lunga  del serpente  di  mare oppure corpi  minacciosi  che  affioravano dall’acqua per poi tuffarsi nelle profondità buie della nostra  immaginazione.
“ I pesci che vivono in profondità sono ciechi, diafani e trasparenti “ ci spiegava Philippe “ hanno un corpo piccolo e una testa enorme, si spostano rasentando il fondo con la bocca spalancata.  Inghiottono tutto.”

Chiudevo gli occhi  per stendermi al sole. Vedevo il nero del fondo  del  mare e migliaia di pesci scintillanti.  Nell’isola ne esistevano di specie mai viste neppure nei mari tropicali.  Avevano pinne così lunghe da provocare onde alte come una  nave. L’isola era sorvegliata da pesci voraci e uccelli che si radunavano in gran numero intorno agli scogli.

” I pesci vivono la loro estasi selvaggia nella lotta e nell’amore. Alcuni si trasformano prima del combattimento, diventano iridescenti sul dorso e luminosi come luci al neon “. Philippe ci spiegava ogni dettaglio  con la precisione di un chirurgo. Conosceva le cose più orrende, le chiamava “ i vizi carnali della natura “ e sembrava averli inventati lui stesso per poterli raccontare. Credo si sentisse il fratello maggiore di quella specie animale e non era impossibile una mutazione in quel senso, avrebbe potuto facilmente diventare un pesce combattente. Faceva anche le prove.

Si metteva in piedi e apriva le braccia. Diventava grosso e spinoso, con le guance incandescenti di uno scorfano. Dall’altra parte Marylù faceva il pesce grigio-bruno che se ne stava lì in un angolo con le pinne ripiegate. Poi i due si avvicinavano e quando si guardavano esplodeva un incredibile richiamo. D’un tratto le pinne si aprivano a ventaglio e iniziava la danza. Si muovevano sempre più vicini, finché il pesce grosso spalancava a tal punto le mascelle che tutti i denti restavano rivolti all’esterno e con tutta la forza del suo corpo li conficcava nel fianco dell’avversario. Bastavano pochi secondi per vedere il pesce grigio oscillare sul fondo.

Luis rideva delle storie di Philippe, non  ci  credeva  affatto.

Spalmava l’olio sulla schiena di Elsa o di Sally, sfogliava fumetti, mangiava, oppure guaiolava a quattro zampe intorno alla sdraio della francese. Valérie si limava le unghie e ripassava lo smalto d’argento. Luis le leccava i piedi, le caviglie, le gambe, lei canticchiava, sempre la stessa canzone. Prima di andarsene la mordeva sul collo, lei faceva qualche urletto e agitava le gambe. Era insopportabile. Anche Mauri e Joan la odiavano.

 

Intanto i pesci morivano. I pescatori buttavano le mine durante  la notte e al mattino i corpi galleggiavano pallidi e senza squame. Sotto le branchie gli insetti depositavano le uova. Era un posto sicuro.
Le larve di Philippe erano lunghe dodici millimetri ed erano voracissime. Divoravano qualsiasi cosa sapesse di animale.  Avevano la testa piatta e due  potenti  mascelle.  Se ne stavano in agguato tra le alghe, poi con un balzo si spostavano sotto la preda e sollevavano la testa. Una stretta mortale. La preda s’irrigidiva, sembrava gonfiarsi, poi gradualmente non restava che il flaccido involucro della pelle.

“Morte per dissoluzione interna.” commentava con voce gelida Philippe.

Io rabbrividivo, moltiplicavo la capacità dell’acquario per la superficie del mare e trovavo un numero sterminato di predatori. Ma i più voraci non andavano in mare aperto ma si aggiravano tra gli scogli e intorno all’isola abbandonata, così raccontavano i residenti. Erano pesci cannibali, con sembianze umane che sbranavano come lupi affamati.

“Le orche più affamate sembrano agnellini se confrontate alle tue larve.” Sosteneva ironicamente Luis.

“Metti, metti il braccio dentro.”  Lo incitava Philippe
“ Perché? Puoi farlo solo tu? Ma certo – e rideva forte – il nuovo Salomone. Parla con le tigri, le formiche e i vermi.”

“Con i pesci – ribatteva Philippe torcendo la bocca – solo con i miei pesci.”

A Philippe piaceva lanciare sfide, non si capiva bene perché lo facesse dato che sempre risultava perdente. Credo lo divertisse rendere ridicolo l’amico, incitandolo a reazioni esagerate; perché Luis faceva tutto con un’estrema esaltazione e ogni volta gli succedeva qualcosa.

Una sera in discoteca gli disse: “ ci stai a bere e a ballare senza sosta ? ”

Un ballo e un bicchiere, un ballo e un bicchiere. “

“Certo- rispose Luis – come no! “ E continuarono fino a notte. Io tremavo. Alla fine Luis cadde a terra come paralizzato. Rimase sulla spiaggia fino al mattino e io vicino a lui. Era freddo come un morto.

 

Nei primi giorni di Agosto ci fu una grande mareggiata. L’acqua era giunta a coprire tutta la spiaggia, fino alle prime  case. Ritirandosi  aveva lasciato mucchi di bastoni, alghe, tronchi d’albero e sotto la piattaforma erano rotolati due grandi galleggianti gialli e la prua di una barca.

Quel giorno Nolan il bagnino era seduto con noi sulla piattaforma e insieme guardavamo l’isola assediata dalle onde ancora in tumulto. Ci voleva circa un’ora e mezza per arrivare all’isola a nuoto, quando il mare era calmo. Non ci andavamo mai, era pericoloso per via degli scogli e delle correnti. Nessuno ci voleva andare. Raccontavano strane storie di morti annegati.

“ Ne è morto un altro il mese scorso – affermava Nolan- tutti finiscono contro quella maledetta isola. Con tutto il mare che c’è, proprio lì.“  Con tono eccitato elencava tutte le disgrazie accadute durante la sua permanenza in quello stabilimento. Poi ci indicò una zona precisa dell’isola. Tra la baia e il promontorio roccioso. Con il binocolo si vedeva bene, quel giorno non c’era che la schiuma delle onde sulle rocce.

  • Proprio lì, di giorno non si vedono, ma se guardate bene nelle notti di luna piena, potete vedere delle figure sugli scogli, sembrano  grossi animali con le ali. Si muovono “
  • Già. . . le sirene. . . ” lo interrompeva Luis con aria beffarda.
  • Tu ridi, ma sai quanti uomini non sono più tornati dalle grotte? Le barche girano al largo.” Continuava con aria convincente.
  • Eh, grazie ci sono gli scogli! ” Ridacchiava Luis

Nolan sorrideva con la compiacenza di chi sa che i giovani non vogliono capire, non si accaniva troppo, lasciava passare un po’ di tempo poi riprendeva a raccontarci le sue storie. Le informazioni sulla popolazione dell’isola aumentavano di giorno in giorno. ” Ma allora non sono animali? ” Chiedeva Philippe ” Sono uomini? Sono uccelli? O sono pesci?

 

  • marini e terrestri insieme.” Rispondeva Nolan sicuro delle sue affermazioni, come se parlasse di cose conosciute da sempre.Sono

Ognuno di noi aveva un’idea particolare degli esseri che abitavano quel pezzetto  di terra, ma tutti eravamo  giunti  a pensare che l’isola, fosse un luogo di trasformazione nel quale gli uomini subivano cambiamenti in qualche modo animaleschi e per lo più di ordine acquatico. Philippe parlava di mutazioni che ripercorrevano i caratteri più arcaici della storia umana.

Una volta giunsero a riva due code senza corpo e senza testa. Erano rigide e taglienti come due grandi timoni. Quel ritrovamento diventò la prova inconfutabile della loro esistenza, oltre al fatto che anche noi eravamo  riusciti a vedere quelle figure in movimento.

Solo Luis non vedeva niente

” Non ci sono che sassi e alghe secche – ripeteva – non c’è altro. ”
“Perché tu ci andresti? – aveva buttato là Philippe stuzzicandolo –
saresti capace di andarci ? ”

” Certo, io sì – rispose sicuro – non mi fanno paura i vostri mostri.”

Ci era sembrata la solita spacconata di Luis e invece col tempo divenne una vera impresa eroica. Luis e Philippe si procurarono una barca, studiarono la costa, gli scogli e le correnti su una mappa dettagliata. Infine ci comunicarono le loro intenzioni.

 

La data era fissata per il 29 Agosto.

Nei giorni precedenti ognuno di noi inventò qualcosa per trattenerli. Lo stesso Nolan li implorò di non andare perché c’era un maleficio e perché un uomo che lui conosceva era stato là e aveva perso ogni discernimento. Era diventato un altro.

  • Era un pescatore – cominciò a raccontare e subito ci sedemmo in circolo. – Aveva buttato le reti proprio vicino all’isola, quando sentì un gemito. Era come il pianto di un bambino malato, come il grido di un prigioniero. Si avvicinò con la barca alla riva e riconobbe il lamento della donna perduta. La luna splendeva alta nel cielo. La nostalgia riempì la bocca del pescatore che si aprì in un urlo uguale a tutti gli altri urli della notte. Vicino a lui apparve un’ombra. L’uomo le si scagliò addosso. Poi l’ombra cadde. Subito le fu sopra e con le unghie le spezzò il petto e le strappò il cuore. Lo alzò sanguinolente alla luna, poi accucciandosi come un animale lo divorò. “

Un grande sospiro chiuse il racconto e aprì i nostri commenti.

“Era diventato pazzo” “Era diventato una bestia come le altre che vivono lì” “Una malvagità per contagio” “Per colpa della luna” “No dell’amore” “Perché la sua donna l’aveva lasciato” “Perché lui l’amava ancora” “No era un uomo tigre” “Era un pescatore con uno squalo dentro” concluse Philippe.

L’uomo squalo non trattenne i due dall’impresa. Per Philippe era la possibilità di entrare in un vero acquario umano. Per Luis l’ennesima prova della sua esistenza eroica e coraggiosa, concreta e forte contro le insidie fugaci ed effimere del mondo.

 

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Iridescenze di Angelica De Rosa,

 

Partirono all’alba.

Noi in piedi sulla piattaforma con gli occhi puntati avanti. C’erano le onde bianche vicino all’isola e da un momento all’altro non riuscimmo più a vedere la barca. Prima di sera si mosse la guardia costiera per rintracciarli. Non trovarono nulla, né barca, né Luis, né Philippe. Setacciarono tutta la costa per due lunghissimi giorni. Noi fermi, bloccati sulla piattaforma per tutto quel tempo. Nolan ci portò il cibo e le coperte per la notte. Non diceva una  parola. Sulla sua faccia scavata dal vento e dal sale non si vedevano che solchi. Il terzo giorno si sedette vicino a me. “Li aspettavano – mi disse con voce rauca e appena sussurrata “forse da molto tempo, li aspettavano.” Fece una lunga pausa poi aggiunse: “Non torneranno più indietro.”

Nel pomeriggio trovarono la barca in una rada dell’isola, era semi distrutta, più avanti, sugli scogli i loro vestiti strappati.

 NOTA —-http://www.artegante.it/opera.html?id=8100.jpg

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