MI SEMBRA CHE OGGI TOCCHI A DONATELLA! —- cinque raccontini, solo cinque, ma li tiro fuori da un immenso bidone rosa!

 

 

gerry mulligan —bellissimo!

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STORIE MINORI

 

 

Sono sempre stato appassionato di storia, da quella più antica a quella più recente, soprattutto  mi piace la storia minore ( adesso è di gran moda ), tipo : come si viveva in un dato periodo, cosa si mangiava, come ci si divertiva, di cosa si aveva paura, insomma, le cose che contano davvero. Quando ero molto giovane ero  curioso in modo quasi maniacale della storia  della mia famiglia. Tormentavo i miei parenti con domande del tipo: “Il nonno ha fatto la Resistenza? Perché   lo zio ha fatto la borsa nera? E’ possibile che un nostro antenato sia stato alle Crociate? E’ vero che siamo stati noi  e non le oche ad avvisare i Romani che i  barbari stavano arrampicandosi sul Campidoglio?” Questa dei Galli e del Campidoglio era una vecchia storia  di famiglia. Sapevo che, se l’avessi appena accennata, nessuno dei miei parenti, anche quelli più pigri  come lo zio Pierino che pensava solo a mangiare e a dormire , avrebbe resistito a contarmela su daccapo. Io l’avevo sentita ormai decine di volte, ma  proprio per questo mi piaceva immensamente sentirla ripetere. Era estremamente rassicurante, eroica ed avventurosa nello stesso tempo e sapete benissimo quanto queste cose siano importanti quando si è piccoli. Ogni parente tralasciava alcuni particolari ma ne aggiungeva altri, per cui alla fine riuscivo a farmi un quadro completo e grandioso della situazione. Devono essere stati quei racconti a creare in me la passione per la storia. Purtroppo nella genealogia non sono potuto risalire  molto  perché i documenti si fanno sempre più rari man mano che si  va  indietro nel tempo.  Tuttavia, anche recentemente, ho avuto notizia di miei antenati le cui ossa sono state ritrovate in Cina, sulle rive del grande Fiume Giallo e sappiamo come  quello sterminato Paese sia stato per millenni all’avanguardia della civiltà, quando ancora in Europa si viveva nelle caverne. Alcuni miei progenitori, o almeno quanto ne rimaneva, sono stati ritrovati accanto alle tombe dei grandi faraoni, nei villaggi dove vivevano gli operai che costruivano le piramidi. Persino sull’Acropoli di  Atene e nel Foro Romano un bel po’ di  miei remoti ascendenti hanno vissuto e prosperato, contribuendo allo sviluppo e al progresso. Non ci è mai importato molto di non avere  avuto i riconoscimenti che avremmo meritato;  una caratteristica di famiglia è sempre stata la discrezione, il fare senza mostrarsi, la consapevolezza profonda di contare, eccome, che ci ha permesso di vivere all’ombra della grande storia senza risentimenti ma anche senza mollare mai.  Questa intima certezza, che ha tradizioni antichissime e che  per fortuna mi è stata trasmessa col DNA, mi permette di avere un atteggiamento abbastanza distaccato  di fronte agli eventi, sia positivi che negativi, che non riescono mai veramente ad intaccare la mia  pellaccia. I malevoli mi prendono per snob o per insensibile, i più accorti invece sanno che possono contare su di  me e sulla  mia innata solidità di carattere, che nasconde  intime e  sicure dolcezze. Avrete capito che fin da piccolo sono stato curioso e non solo di storia. Quando vedevo qualcuno dei miei che partiva, chiedevo sempre dove andava, quando sarebbe tornato, se mi avrebbe portato un regalino. L’unico che mi dava molta soddisfazione era un parente alla lontana, che viveva  un po’ da selvatico e che tutti consideravano un originale. Era pieno di peli che non si curava di far crescere e che gli davano un aspetto da orco. Mi aveva preso in simpatia e mi raccontava di certi nostri vicini, anche loro un po’ imparentati con noi, i cui antenati si erano imbarcati molto tempo prima, forse già ai tempi delle repubbliche marinare e che erano diventati  abilissimi  a fiutare la terra.  Non c’era spedizione per mare che non li vedesse protagonisti. Erano anche andati con Colombo a scoprire le Americhe ed  in realtà erano stati loro i primi ad avvistare  quel po’ po’ di continente, anche se al solito nessuno , tanto meno quell’ambizioso  genovese, gliene aveva mai dato atto. Lo zio Orco ( così lo chiamavo e lui non ne era minimamente offeso anzi, gli sembrava  un diminutivo)  mi dava dei consigli utilissimi. ” Non fare tutte quelle domande personali ai tuoi. Ci si scoccia ad essere bombardati dai perché. Finché si è insieme goditi la compagnia  di quelli simpatici ; gli altri sarà un sollievo quando se ne andranno. Anch’io  alla tua età  facevo tante domande ed è anche per questo che sono stato un po’ isolato da tutti. Io ci sto bene da solo, ma tu mi sembri un tipo socievole e ne soffriresti”.

Devo dire che col tempo mi sono abituato non solo a fare meno domande, ma anche a vivere più per me stesso. Ho  imparato a godere delle piccole cose: le foglie tenere della primavera, l’odore del bosco bagnato dalla pioggia, i frutti  e le bacche dell’autunno, le  dolcezze  e le ansie amorose, il tepore  di un rifugio sicuro quando fuori il tempo è nemico .

Non riesco più a capire i miei simili che si accontentano di  vivere solo in funzione degli uomini. Che ne sa la razza umana di noi, ci ha mai riconosciuto qualche merito, se non quello di essere buoni da mangiare? Un tempo ero orgoglioso di sentire i miei che dicevano:” Sai che quel cugino di San Daniele è stato dichiarato il prosciutto più buono  a livello europeo? Con un po’ di buona volontà e di dieta appropriata anche noi potremmo forse salire di grado”. Eh no, personalmente ho imparato a dissentire e a salvare la pelle, con annessi e connessi. Ho capito quello che mi voleva dire quel mio zio, anche se  non c’è più per ringraziarlo. So per certo però che è morto di vecchiaia, con una discendenza numerosissima che perpetuerà a lungo la sua provvidenziale selvatichezza. Mi sono dato alla clandestinità e vi assicuro che ho le mie belle soddisfazioni: cibo naturale in abbondanza, ampi spazi in cui girovagare, cinghialette dorate e un po’ selvagge che adorano i miei modi raffinati. Ho sentito che gli uomini, nella loro diabolica capacità di inventarne in continuazione ed ormai  sazi di ogni cibo possibile (  ad una certa età sono  tutti grassi come noi ma non altrettanto buoni), hanno tirato fuori che siamo degli ottimi animali da compagnia, che abbiamo un carattere sensibile ed un’intelligenza acuta, che il nostro olfatto è meglio di quello del cane, che il nostro aspetto  gioviale e bonario è estremamente rassicurante per loro. Spero solo che i miei simili non cadano in questo tranello, anche se purtroppo ho saputo proprio l’altro giorno di un mio cugino, con cui da piccolo giocavo  a prendere il codino, che circola tenuto al guinzaglio e viene lavato tutti i giorni con il bagno schiuma. Mi vengono i brividi e mi si rizzano tutti i peli perché temo che faremo la fine di quel bavoso del cane. Ad ogni modo io da qui, dalla mia tana tiepida ed odorosa di erbe e di ghiande, non mi sposto. A volte l’esempio può servire più di tante prediche. E poi ho in mente di riscrivere la storia, anche quella  più importante, ma questa volta dalla parte dei maiali.

 

 

La cucina economica

 

Se ripenso alla mia prima infanzia, sento il tepore di una bella cucina economica. E’ inverno, fuori fa freddo, ma noi in casa stiamo bene.  La mamma sta impastando una torta, io e mio fratello stiamo giocando con le figurine ritagliate dai budini Elah. Dietro ad una sedia con lo schienale vuoto mio fratello improvvisa una piccola commedia con i personaggi che ha a disposizione: la meravigliosa donna del budino che tiene in mano un piatto con l’incredibile, enorme dolce, un marinaio di gesso e l’orso Pilù, peluche ormai privo di pelo ma carico di affetto e di amore struggente che noi bambini continuiamo a tributargli. Io sono attratta dalle manovre che fa la mamma per impastare. La mamma canta mentre lavora e ogni tanto dice, rivolta più a se stessa che a noi:” Li avessimo avuti durante la guerra questi ingredienti, farina, zucchero, uova. Ma sapete che per fare una torta bisognava aspettare dei mesi?” Noi sentiamo questi racconti, ma ci interessa di più il presente e l’immediato futuro. Siamo al caldo, stiamo giocando, la mamma è di buon umore e si sente l’acqua che ribolle nella pentola sulla stufa. C’è anche un leggero profumo di legna bruciata La mamma mi dà un pezzo di pasta, perché anch’io possa imparare. Lo metto nella casseruolina della bambola e  viene anche questa infornata come quella vera. Sono cose che danno soddisfazione e che ti fanno sentire grande. Poi mio fratello ed io cantiamo una canzoncina che abbiamo imparato dalla mamma:” C’era una bambina piccina picciò che fece una tortina piccina picciò, la mise in una stufa piccina picciò con un fuoco piccino picciò e poi la diede alla sua sorellina piccina picciò…..” La storia può andare avanti all’infinito, ma la mamma ne escogita un’altra. Dà un nome a tutte le dita, indiciun, mignulun, polliciun e noi imbastiamo delle favole con questi fantastici personaggi. Com’è bella la mamma! Oggi ha un grembiule  che si è cucita lei, nero con i volants rosa, che  a me sembra un vestito della festa, Io e mio fratello giochiamo d’amore e d’accordo  e non c’è neppure un piccolo bisticcio. Intanto si diffonde il profumo della torta che sta cuocendo, viene estratta dal forno la mia, mentre l’altra continua a cuocere.  Sono felice, il freddo è fuori, la guerra è un’avventura strana di cui non ricordo assolutamente niente e che fa risaltare ancora di più l’attuale felicità ed abbondanza. Penso che tutti i bambini dovrebbero avere una cucina economica come la nostra con dentro delle torte fatte dalla mamma.

 

 

 

 

VERSI SCIOLTI

 

Credo di essere sempre stato molto equilibrato.  Mi ricordo che da piccolo tutti ammiravano la mia ragionevolezza, il fatto che non facevo capricci, che anche nei miei desideri più vivi tenevo sempre conto della loro compatibilità con le esigenze degli altri.  Mia nonna racconta ancora oggi ai parenti increduli che, quando volevo un gelato, le dicevo:” Nonna, se non te lo chiedo, me lo compri il gelato?” Capite che con una partenza di  questo genere, non ho mai  avuto grosse difficoltà ad inserirmi nel mondo degli adulti. Anzi, a pensarci bene, io sono sempre stato meglio con  i grandi. Fanno discorsi più terra  terra, parlano di quanto costa la fettina di carne, di quanto sono aumentati il filetto e il controfiletto, si divertono a fare i conti di quanti loro conoscenti si sono rovinati in borsa, di quanti anziani nel palazzo sono morti di influenza  nell’ultimo inverno, di quanto può ragionevolmente rubare l’amministratore del condominio. Io ho sempre preferito la realtà  alle sciocche fantasie che  i grandi propagandano come merce per  bambini. I bambini non hanno affatto bisogno di quelle  melense sciocchezze che vanno sotto il nome di fiabe: si tratta semplicemente di un’esigenza di evasione degli adulti, che investono i loro figli e i figli dei loro amici con una valanga di stupidaggini.  I miei coetanei mi hanno sempre sfuggito, io credo perché non si sentivano all’altezza. Durante la ricreazione, mentre loro giocavano a prendersi e a fare chiasso, io  mi divertivo a calcolare  quanti soldi  guadagnava la bidella  a vendere le focacce con un leggero sovrapprezzo rispetto alla panetteria vicina alla scuola. Penserete che io fossi un piccolo Paperon De’ Paperoni, interessato ai soldi. Niente affatto, non era quello che mi affascinava. Ero attratto dal potere che i calcoli mi davano sulla realtà. Vedevo ad esempio l’insegnante di italiano, che leggeva  poesie noiose e lunghissime, infervorarsi e commuoversi.  Io provavo veri e propri  brividi di soddisfazione cercando di calcolare mentalmente quante parole complessivamente erano occorse  per fare quei versi, quanti punti, quante virgole, quanti puntni di sospensione.  La storia l’ho adorata esclusivamente per le date,  la geografia mi ha dato delle grandi soddisfazioni per le altitudini dei monti, le superfici delle nazioni, la densità di popolazione. Avrete già capito che con queste mie decise attitudini, non ho avuto problemi al momento della scelta dopo la scuola dell’obbligo. Ho intrapreso lo studio della ragioneria, informatica, si intende. Anche qui mi sono dimostrato molto ragionevole. Eravamo di  condizioni troppo umili, troppo in basso per aspirare ad una laurea in ingegneria  o in economia. Io stesso ho insistito con i miei genitori per fare un corso relativamente breve di studi. Le lauree sono ormai cose  un po’ astratte, un lusso  per gente che non inizia da zero come me. La ragioneria mi dava la possibilità di avere un buon impiego, di mantenere i piedi per terra, di contare da subito su me stesso, di non fare pericolosi salti in avanti. I miei si sono convinti, perché anche loro, pur  dando letteralmente i numeri per me, hanno sempre avuto una grande dose di realismo che mi hanno trasmesso. Si tratta sicuramente di DNA ed io sono molto soddisfatto del mio. Mi sono fatto una bella famiglia, solida e che non si perde in chiacchiere. Mia moglie conosce i prezzi di tutti i supermercati ed ipermercati della città  e mi dà dei rendiconti  con prezzi comparati e  tradotti in Euro che mi fanno letteralmente impazzire, come il primo giorno che ci siamo conosciuti. I miei figli più piccoli, che vanno ancora all’asilo, sanno  già dire in  perfetto ordine cronologico tutte le dinastie dei Faraoni. Alla domenica, invece di andare in chiesa, santifichiamo ripetendo tutti i nomi dei papi. La più piccola fa ancora qualche pasticcio con gli antipapi, ma alla sua età è comprensibile. Chi invece mi dà da pensare è il più grande, in piena crisi adolescenziale, che l’altro  giorno, un po’ risentito per delle mie osservazioni sul suo scarso senso dell’ordine, mi  ha detto  con odio:

” Insomma, non è detto che due più due faccia  sempre quattro, come per  te e per la mamma. A volte può fare tre, a volte sei, perfino dieci, se sei su di giri. Io non posso accettare l’idea che siamo solo dei numeri, che contiamo solo per questo. Voglio contare  anche per qualche altro motivo, altrimenti finirò per darli io i numeri. E poi, non hai mai sentito dire che tutto è relativo, che tutto dipende dalle diverse situazioni, dall’epoca, dall’ambiente? Altro che precisione: voialtri non capite proprio niente della realtà, io voglio iscrivermi al liceo classico. E questa ve la potete anche tenere”.  Si è strappato dal collo la catenina con la calcolatrice che i nonni gli  hanno regalato alla nascita e si è chiuso in camera sua a comporre versi sciolti.

 

 

 

Il suk di Genova

 

 

Genova la intravedevo al mattino, scendendo dal treno verso le otto, assonnata e di malumore, sia io che lei. Dal finestrino la città che mi era estranea si era annunciata con gli impianti rugginosi dell’Ansaldo, con piccoli corsi d’acqua color petrolio, con facciate di casa annerite e tarlate, con la scomparsa dell’azzurro del mare. Dalla stazione Principe fino a via Balbi dovevo correre per riuscire ad arrivare in tempo alla lezione di greco, che iniziava alle otto e quindici ed era all’ultimo piano dell’Università. Il professore esigeva la presenza, altrimenti niente ammissione all’esame . Lungo la strada e rasente i muri alcuni barboni, dall’aria sfinita, chiedevano l’elemosina per racimolare una dose. Il cuore mi si stringeva e pensavo solo al ritorno, alla mia città che non era grigia e da cui si vedeva sempre il mare.  Via Prè mi salvò allora dall’annientamento per tristezza. Finite le lezioni, mi incamminavo finalmente verso Principe per il treno del ritorno. Non rifacevo via Balbi ma prendevo la via malfamata, che tutti sconsigliavano di percorrere. Vi scendevo attraverso qualche vicolo scuro ed un mondo vivido e  variegato mi  accoglieva: profumo di caffè appena tostato, odore di pesci fritti  che stuzzicava l’appetito, botteghe strette come budelli che rigurgitavano di ogni tipo di merce,  montagne di vestiti in jeans,  maree di  borse di ogni tipo che rilasciavano un buon odore di cuoio. Ogni tanto profumi forti, violenti ti assalivano, seguiti dall’olezzo paradisiaco della focaccia appena sfornata e della farinata calda. Venditori di accendini e di sigarette  insistevano ad offrirti la loro merce, misera e colorata . Sedute sui gradini delle case ragazze africane, bellissime ed incomparabilmente eleganti nei loro costumi sgargianti, offrivano sfacciatamente la propria merce. Linguaggi  stranieri si incrociavano, si percepiva un  fermento di vita, un fiume di umanità che trascinava, che non ti isolava  ma anzi ti invitava con energia e calore  a farne parte .Avrei barattato volentieri il mondo dell’Università, il suo sapere un po’ imbalsamato e freddo con quel mondo agitat , forse violento di cui però si percepiva la forza vitale.  Avrei messo anni a comprendere che lo studio può essere altrettanto avventuroso, vivo, entusiasmante come la vita vissuta, ma intanto il suq di Genova mi ha  aiutato a sentirmi viva e a sperare.

 

 

 

La  sarta meravigliosa.

 

C’era una volta, in un paesino di cui non ricordo il nome, una sarta che campava a stento con il suo lavoro. Era una persona a modo, graziosa e gentile col prossimo. Il paese  era molto povero, per cui la sarta era modesta nei  prezzi e cercava sempre che le sue clienti fossero in grado di pagarla. Dato che era l’unica in paese che facesse quel lavoro, aveva tante clienti, anche se alla fine della giornata era tanto se le usciva il pranzo con la cena. Era una che si accontentava di quello che aveva, ma a volte si sentiva stanca per il troppo lavoro e delusa per non potere mai mettere da parte qualche soldo. Avrebbe voluto andare anche lei un po’ in vacanza, ma quando arrivava l’estate non aveva un soldo da poter spendere per pagarsi un viaggio. Si autoconvinceva che il suo era il paese più bello del mondo e che in fondo era già un privilegio poter vivere tutto l’anno in un posto come quello. Un giorno venne da lei una cliente che le era particolarmente simpatica: si trattava di un tipetto sveglio ed intelligente, ma molto timido, che faceva quasi fatica ad esprimere quello che voleva. Alla sarta venne in mente che doveva fare qualcosa per quella donna, perché era ingiusto che  non fosse apprezzata per quello che valeva. “ Del resto-pensò- è un po’ la mia storia. Anch’io non sono pagata per quanto faccio. Forse è per questo che lei mi è così simpatica”. Detto questo, si mise a prenderle le misure e scelse una stoffa molto bella, che teneva nel suo baule da un  po’ di tempo. La cliente fu d’accordo che quel tessuto valorizzava il suo incarnato, fu contenta del modello scelto dalla sarta e disse che sarebbe tornata tra una settimana. Ringrazio, salutò molto gentilmente e se ne andò. La sarta quella settimana lavorò soltanto a quel capo. Si disse che doveva metterci tutto l’impegno di cui era capace per creare un capolavoro. Tagliò, cucì, scucì, ricucì fino a che non si sentì intimamente soddisfatta. “ Adesso- pensò- deve solo indossarlo”.

Aspettò con ansia la cliente e quando finalmente arrivò il cuore le batteva forte. Il vestito andava a pennello, ma la cosa più bella e anche più strana era che quella persona, timida e insicura, come se la ricordava, non c’era più. La sua cliente era diventata sicura di se’, riusciva ad esprimere le proprie opinioni, aveva un’aria serena e sembrava in grado di affrontare il mondo. Naturalmente pagò il prezzo pattuito, la ringraziò ( perché fortunatamente era rimasta gentile), ma non si era accorta del grande cambiamento che il vestito le aveva procurato. La sarta un po’ fu delusa da quel mancato riconoscimento, ma poi si rincuorò. “ In fondo- si disse-  ho provato a me stessa quello che sono capace di fare. Farò anche per me un abito speciale, come alla mia cliente e poi vedremo”. Così fece e da allora è diventata una sarta richiestissima e pagatissima. Va in vacanza all’estero tutti gli anni, è piena di ammiratori, compare sulle copertine dei giornali di moda, però continua a lavorare anche per i suoi compaesani. Non si dà arie, ma si dà della stupida per non averci pensato prima.

 

 

 

 

FOTO BELLA PRIMO MARZO CIMG7264

 

 

 

 

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2 risposte a MI SEMBRA CHE OGGI TOCCHI A DONATELLA! —- cinque raccontini, solo cinque, ma li tiro fuori da un immenso bidone rosa!

  1. Roberto scrive:

    E’ un bidone strano quello di Donatella. C’è un po’ di tutto.Forse basta buttarci una mano dentro e tirarla su.
    C’è una poesia innata e nascosta in tutto quel che racconta
    Anche se a volte la trovo un po’ prolissa, ma guarda un po’ da che pulpito arriva la predica!

    • Chiara Salvini scrive:

      il tuo commento è perfetto dall’inizio alla fine, grazie, ciao caro Roberto, buona festa per domani, deve essere una festa religiosa…ma

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