Grigory Sokolov in Paris (live 2002)
http://www.youtube.com/watch?v=o7qUMHm3LOI&feature=player_detailpage
Beethoven Sonata Opus 14, #1 & 2
Beethoven Sonata Opus 28
Prokofiev Sonata 7
Sogomon Komitas 6 Danses
Chopin Mazurka, Opus 63, #3 & 68 #4
Couperin Tic Toc Choc & Soeur Monique
Bach-Silot Prelude B Minor
Specialista del tocco, Sokolov è maestro incontrastato delle dinamiche, ha la più vasta gamma dinamica mai udita: il suo “pianissimo” è irraggiungibile; il suo trillo è inimitabile. E anche il suo pubblico è un pubblico di intenditori. Se la massa incompetente che vuole distendersi e talvolta sorprendersi va a sentire il bravo Pollini, i pianisti ascoltano il dio Sokolov”
Ecco una mia intervista di circa due anni fa (eravamo a Bolzano), strappatagli in camerino mentre ancora si asciugava il sudore dopo uno dei suoi magnifici concerti:
Chissà come si sentono i giovani partecipanti di un concorso pianistico quando la sera prima della prova assistono a un concerto di qualcuno che ce l’ha fatta, da tempo, e che ora sembra un termine di paragone troppo distante e irraggiungibile. Si spera che ne siano stimolati, perché di certo la giuria il giorno dopo non sarà tanto tenera. C’era anche Grigory Sokolov tra i grandi ospiti del Bolzano Festival Bozen, in seno al quale si svolge il prestigioso concorso Busoni (giunto alla sua 57esima edizione), e anche lui ha iniziato la carriera vincendo un premio, il Čajkovskij, a sedici anni. Poi la sua completa votazione al pianoforte lo ha fatto diventare da subito uno dei pochi incontrastabili re della tastiera: «c’è solo il pianoforte nella mia vita. Suonare è l’unica cosa che mi interessa davvero». Vedendolo alle prove sembrerebbe che sia lo strumento stesso la sua sola ragione di vita: lo esplora, lo scandaglia ben bene con una lampada tascabile tra corde e martelletti, come se vestisse i panni di un otorino. Fa rabbia vedere che le sale da concerto quando c’è Grigory non trabocchino di gente. Poiché il pubblico conosce la regalità di Zimerman, la fama di Pollini, l’ascetismo di Radu Lupu, l’addio alle scene di Brendel, ma la magia di Sokolov sembra sfuggirgli. D’altro canto il pianista russo non si aiuta (e non gli interessa aiutarsi). Schivo, inavvicinabile, conduce un’esistenza del tutto innaturale, attaccata alla musica e staccata dai nostri tempi. Prova un’anacronistica repulsione per le registrazioni in studio. Cosicché non esistono in circolazione molti oggetti a testimoniare la genialità di quello che – e qui voglio permettermi di usare la prima persona per asserirlo – è il più grande pianista vivente. Per esempio il solo indizio videografico che lo ritragga all’opera, lo splendido Dvd “Live in Paris”, Sokolov ha accettato di girarlo soltanto per stima nei confronti del regista Bruno Monsaingeon. In fase di visione delle immagini infatti avrebbe voluto buttare via tutto il materiale. Eccessivo perfezionismo? Forse ha ragione: non avrebbe bisogno di incisioni alcune, tanto perfette sono le sue esecuzioni dal vivo. E neanche di interviste, dato che il suo pianoforte parla per lui e parla a tutti (pochi sono gli artisti che, come Sokolov, mettono d’accordo critica e pubblico senza riserve). Così è una fortuna e un onore incontrarlo, pur infilandosi di sorpresa dentro il camerino, dove – tra una stretta di mano e l’altra – ancora sta asciugandosi il sudore dopo quei sei bis che abitualmente regala al pubblico.
Maestro, cosa le hanno fatto i dischi? Perché incide così raramente?
«I concerti sono sempre più interessanti delle registrazioni. Ho nel cassetto diverse registrazioni dal vivo e ci sono diverse varianti di alcune esecuzioni tra cui posso scegliere. Ma le ho lì da anni e non mi decido mai».
Il suo repertorio dal vivo invece è vastissimo, va dal barocco al contemporaneo. Sceglie i pezzi da eseguire in concerto in base al proprio gusto o va incontro al pubblico?
«Scelgo i brani esclusivamente seguendo il mio gusto. Invece i bis dipendono dal pubblico. A me suonare piace, se la gente vuole che suoni ancora io lo faccio volentieri. C’è soltanto il pianoforte nella mia vita. Suonare è l’unica cosa che mi interessa davvero».
Alla luce della sua esperienza di fanciullo dotato, quanto peso deve dare un pianista al talento e quanto allo studio?
«È impossibile separare le due cose. Se c’è talento si vuole suonare, è una conseguenza. Bisogna comunque studiare ma quella pulsione o l’hai o non l’hai. Un vero talento d’altra parte ha bisogno dello studio che però non è una tortura, è piacere. È vero che è duro ma se diventa una dannazione è meglio lasciare».
Ma un giovane è in grado di capire le sue potenzialità? Conosce a cosa va incontro un pianista professionista?
«A14 anni già si deve capire qualcosa, più tardi bisogna essere già sulla strada del professionismo. È abbastanza raro iniziare una carriera da adulti».
Le capita di ascoltare i giovani pianisti? Chi può essere secondo lei una promessa per il futuro?
«Ci sono sicuramente molti giovani musicisti che hanno possibilità di arrivare. Ma non riesco mai ad ascoltarli. Io sono sempre in viaggio, e delle registrazioni non mi fido, non mi danno un grande quadro di come siano questi musicisti. Vanno valutati esclusivamente dal vivo».
Quali sono invece i colleghi che stima?
«Sono tanti: Gilels, Sofronickij, Rachmaninov, Schnabel, Lipatti, Gould, Horowitz… e mi piace sempre aggiungere il vecchio Anton Rubinštejn, mai sentito, ma personaggio incredibile».
Ma sono tutti defunti…
«Sono tutti vivissimi invece. È pieno il mondo di morti che camminano».