LA STAMPA DEL SETTEMBRE 2014
Perù, dopo trent’anni riemerge dalle Ande il villaggio degli orrori
Il «cimitero» della comunità indigena di contadini Belen Chapi. Finora sono state trovate altre dieci fosse comuni disseminate nel Paese
Quando Dolores Guzman è stata raggiunta al lavoro dagli investigatori, ha capito che tutti gli sforzi degli ultimi 30 anni, per superare la morte della sua famiglia e dei suoi compaesani erano stati inutili.
Ha accettato di tornare in quel posto sperduto delle Ande, lei, l’unica sopravvissuta alla strage. Se c’era una speranza di ridare ai parenti i corpi di quei 21 contadini, uccisi nel 1984 dall’esercito del Perù che dava la caccia ai guerriglieri maosti di Sendero Luminoso, quella era lei.
Erano ancora tutti lì, ammassati sotto terra, come quando li vide morire.
«Abbiamo viaggiato in auto tutto il giorno, poi abbiamo proseguito altre 8 ore a piedi», racconta Soledad Mostacero, un’archeologa appena rientrata da una settimana in quota insieme a poliziotti, antropologi e uno psicologo.
Alla metà degli Anni Ottanta, il Partito Comunista del Perù, meglio noto come Sendero Luminoso, era mutato irreversibilmente in un’organizzazione terrorista, che controllava il 40% del Paese. Nella guerra che condusse contro lo Stato e in cui morirono 70 mila persone, la regione di Ayacucho era la sua roccaforte. Gli indigeni della comunità di Belen Chapi, tutti originari della zona, volevano starne fuori e si addentrarono nelle montagne. «Erano arrivati da due giorni – ricorda il dottor Calcina, un altro dei membri della spedizione – poi l’esercito li ha raggiunti». Avevano fatto appena in tempo a costruire le capanne e disboscare una radura per gli ortaggi.
«Dolores non ha avuto dubbi – precisa Mostacero – ha indicato esattamente il punto in cui scavare». Quel giorno del ’84, la donna che oggi ha 50 anni, era solo una ventenne incinta. Per i soldati chi non collaborava nella caccia all’uomo era un fiancheggiatore degli insorti.
I contadini furono accompagnati fuori dal villaggio e messi a scavare la loro tomba. «È una modalità tipica – spiega Jesus Romero, dell’Epaf, una ong che ha ritrovato decine di fosse comuni come questa – a volte, gli dicevano che erano vasche per allevare i pesci». In questo caso, furono scavate quattro buche e la prima fu riempita verso sera, poi si proseguì il giorno dopo. In tutto, furono undici adulti, nove adolescenti e un neonato.
Dolores fu risparmiata perché tra i miliziani c’era un suo parente, che implorò gli ufficiali, la obbligò a cucinare per i condannati, poi le fece capire che il silenzio era il prezzo per sopravvivere. «Mano a mano che emergevano le spoglie, si sentiva sempre peggio», dice Calcina. A un certo punto, ha detto: «I bambini erano quelli che gridavano di più», e ha avuto una crisi, forse, dicono gli psicologi, quella di cui aveva bisogno per superare il trauma.
Sebbene alcuni irriducibili di Sendero Luminoso continuino in clandestinità, la guerra civile peruviana si considera conclusa nel 2000. I suoi principali responsabili, l’ex presidente Alberto Fujimori e il comandante Abimael Guzman, sono detenuti nello stesso carcere.
Il problema, oggi, sono soprattutto quelli come Dolores: i parenti delle vittime, che senza una salma da seppellire, non riescono a darsi pace.