ore 21:17 VERYBELLO, ANZI VERYBRUTTO // LUCA MASTROANTONIO AD ALDO BUSI // L’ “EXPO E IL VIRUS DEL—FIGHETTISMO LINGUISTICO DI CHI USA L’INGLESE A SPROPOSITO…COME JOB’S ACT / SPENDING REVIEW…”

 

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Aldo Busi, l’Expo e il verybello. In evidenza

Aldo Busi, l’Expo e il verybello.

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L’intervista.

Aldo Busi, l’Expo e il verybello: «Divertente, ma ora basta La vera eleganza è semplicità».

No al fighettismo linguistico dei luoghi comuni. A un’apericena bevi poco e mangi meno.

di Luca Mastrantonio.

Con l’Expo c’è il rischio che si diffonda un pericoloso virus: il «fighettismo linguistico di chi usa l’inglese a sproposito». L’allerta lessicale è lanciata da Aldo Busi, che nel 2015 uscirà con il nuovo libro Vacche amiche (un’autobiografia non autorizzata) per Marsilio. Con il Corriere lo scrittore commenta gli ultimi eccessi dell’«ital-english», l’italiano inglesizzato, il nuovo latinorum. Busi non è un purista conservatore, ma un poliglotta attento allo stato di salute dell’italiano.

Ha visto il portale culturale per l’Expo «verybello»?
«Lo spirito con cui è pensato è divertente, vuole essere un gioco, perché c’è un’intenzionalità, non è una cosa che è sfuggita, cioè un lapsus. Verybello può avere il suo posticino nella comunicazione globale».
Condivide allora l’entusiasmo di Dario Franceschini? Su Twitter ha commentato con «verygrazie» a tutti.
«No, guardi, verygrazie no. È bruttissimo, verybrutto. Queste trovate devono essere una tantum, se le ripeti ti manca la fantasia, hai già fatto il callo e i calli fanno male, soprattutto sulla lingua. Il mio approccio è pragmatico: sono favorevole all’insegnamento dell’inglese al Politecnico di Milano, perché in certi ambiti l’italiano ha perso prestigio e mercato. Però la lingua italiana va scritta e parlata in italiano, come l’inglese va scritto e parlato in inglese».
Il sito «verybello» è stato lanciato solo in italiano.
«Questo è poco pragmatico. È provinciale. Come, all’opposto, l’uso dell’inglese per riferirsi a cose che esistono anche nel nostro Paese e hanno meravigliosi corrispettivi italiani. Penso a spending review, Jobs act, startup. È assurdo, come se questi concetti esistessero solo nella finanza e nell’economia internazionali. Perché non dire ‘taglio alla spesa’?, non è una parola meravigliosa? Lo capisce anche una casalinga. E la legge sul lavoro? non è meglio del Jobs act ? Il profilo intellettuale di chi usa questi termini inglesi è bassissimo».
Da dove viene questa nuova ondata di anglofilia?
«È il ‘fighettismo linguistico’ dei nuovi luoghi comuni. Ora è tutto know how, hashtag, startup. Ma io se dovessi aprire un’osteria non la chiamerei winebar startup; neanche ‘enoteca’ mi basta, è più bello ‘bottiglieria’, meglio ancora ‘fiaschetteria’… che meraviglia! Quasi provocatorio. Se aprissi una nuova attività nella ristorazione, importante, metropolitana e cool, la chiamerei ‘Polenta e baccalà’, ‘Lumache e spinaci’ o ‘Trippa in brodo’. Pensi: ‘Da Aldo trippa in brodo’, alla galleria Vittorio Emanuele di Milano, o dentro Expo, avrebbe un tale successo che non si farebbe in tempo ad ammazzare le vacche: amiche o nemiche che siano».
Oggi «happy hour» si è italianizzato in «apericena».
«Spero che al peggio ci sia fine! Se l’happy hour è triste, l’apericena è una fregatura: non si beve né si mangia, ma si fa poco dell’uno e meno dell’altro. Qui siamo allo Strapaese… mentre l’eleganza sublime è data dalla semplicità, che è frutto di secoli di ripensamenti, dalla ‘sprezzatura’, come diceva il Baldassar Castiglione: non c’è niente di disinvolto in ‘apericena’. Anzi, questo è il mio messaggio per l’Expo».
Prego.
«Meno stuzzichini e più piatti di portata. Non dobbiamo fare una cucina di pezzettini, no: voglio i pezzi. Tutto quello che è pezzettini, crema, carne haché, cioè tritata, non fa parte delle nostre tradizioni. Io poi odio il passato di verdura, preferisco il minestrone: voglio la cipolla tagliata grossa, la patata tagliata grossa, la carota a vista. Pezzi non enormi ma che siano nella misura di un cucchiaio e dell’apertura di una bocca. Vedere quello che si mangia oggi è il massimo privilegio per sfuggire a inglesismi gratuiti e cineserie varie… e lo dico senza razzismo, sono pieno di porcellane cinesi. Ma non amo questa moda del ‘ghe n’è minga’ nel piatto, fatta di pietanze sparite, a pezzetti».
(Dal Corriere della Sera, 26/1/2015).

Ultima modifica ilGiovedì, 29 Gennaio 2015 18:45

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