ore 19:16 —– MGP :::::: L’ANNO NUOVO ++++ ( un nuovo racconto per noi )

 

 

 

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L’ANNO NUOVO

 

 

La sirena della torre centrale suonava per la terza volta. Era già molto tardi.Raccolse le ultime cose in fretta, le sistemò nelle valige e uscì di casa. Non ebbe neppure il tempo di voltarsi indietro per riguardare il posto. Non era stato così male e poi, ce l’aveva fatta, giusto in tempo per la scadenza del contratto.

Fuori la notte cadeva persistente e gelida. La luce del faro passava ogni trenta secondi, incendiava il nero delle facciate e subito precipitava dietro il tracciato della nuova metropolitana. Gli spigoli si ripetevano alti e lisci nelle costruzioni di marmo. Non era rimasta neppure una luce accesa e questo lo faceva sentire ancora più in ritardo. Tutti erano già andati. Doveva camminare abbastanza a lungo per arrivare all’appuntamento e con quelle due valige pesanti avrebbe impiegato almeno tre quarti d’ora. Al cartellone 34, prima del ponte, prese fiato, si stropicciò le mani indurite dal freddo a dal peso, poi si spostò in mezzo alla strada, era più prudente.

Quegl’ anni erano passati così in fretta, non voleva pensarci più, l’importante era il rinnovo del contratto, per il resto si sarebbe arrangiato. Aveva le valige piene e quello doveva bastare. Sapeva che l’Uomo della scala badava alla qualità delle cose, così dicevano, e quell’anno, in occasione della ricorrenza decennale, gli avrebbe affidato compiti ancora più importanti. Un carico smisurato ormai, un bagaglio fatale che lo costringeva ad una vita asfittica con la testa dentro un’enorme matassa di scadenze, orari, pratiche e pagamenti ai quali si mescolavano scatolette di tonno, dentifrici e pesci surgelati. Gli pareva di vivere in un involto appiccicoso che gli insudiciava le mani.

Continuava a camminare sulla linea bianca della carreggiata, lontano dai bordi neri del marciapiede, cercando di evitare le crepe sgretolate dell’asfalto, sapeva bene che di notte la città brulica di animali affamati. Guardava avanti. Il faro del grande stadio accese una catasta scura in lontananza. Era il solito posto adibito agli ammassamenti. Un fumo violaceo usciva dalle condutture laterali dell’inceneritore, spandeva a getto un odore familiare, acre e denso di cui erano bagnati i suoi abiti e i suoi capelli. Teneva gli occhi puntati su quell’agglomerato luccicante e nero. Tutto sembrava fermo, ma non doveva fare rumore. Cercò di controllare i piedi, le braccia, il respiro mentre si spostava di lato a piccoli passi. Avanzava verso di lui un raspare confuso di materie intricate e secche, un rosicchiare accanito di ossa. Dovevano essere tanti. Riconobbe prima le code e poi il muoversi furtivo di corpi. Sulla banchina si sarebbe salvato, allungò il passo ma rovinosamente inciampò crollando a terra in un rimbalzo gravoso. Uno squittire impazzito riempì il silenzio, erano dappertutto, in una fuga di terrore. Non aveva tempo per imprecare e neppure per sputare per terra. Calcò tutto dentro la valigia che si era aperta, cercò qualcosa per richiuderla, poi con un gesto improvviso sfilò la cintura dell’impermeabile e legò il bagaglio. Era di nuovo in piedi, guardò l’orologio, commentò il suo ritardo con un mugolio sommesso e si rimise in strada. Ancora dritto fino al campo trincerato, poi a sinistra, la prima ancora a sinistra sul cavalcavia della ferrovia nord e in fondo finalmente nella piazzaforte del Mercato Vecchio. Il faro incrociava a tratti l’odore giallo della nebbia e pareva sostenere in larghezza il peso di tutto il cielo. Non vedeva molto davanti a sé, ma non doveva cercare altro che la scala. E quando vi giunse pensò di morire lì, sfinito, accartocciato a terra come una crosta secca. Le scale salivano fino al primo ingranaggio dell’impalcatura, poi si perdevano nel buio, non poteva sapere se c’era ancora qualcuno, doveva salire.

Cominciò a contare, contando gli sembrava di eliminare uno scalino alla volta. Prima faceva salire le valige, poi faceva il passo, era un buon sistema e andò avanti così per un po’. Al terzo ingranaggio dovette fermarsi, le ginocchia gli tremavano e la schiena non reggeva più il peso. Guardò in alto e scrutando attraverso la nebbia vide che ancora due persone dovevano consegnare. Poteva salire con un po’ più di calma. L’Uomo dal mantello nero era là in alto. Aveva molta paura, ma non poteva fare altro che salire, presentarsi, consegnare la merce e sperare nella buona sorte. Con il petto gonfio e gli occhi spalancati si presentò in prima fila.

– Sono Beniamino Scapelli nato a San Severo il 1 Dicembre del 1974.-

– Sei arrivato in ritardo – tuonò l’uomo da dentro il cappuccio.

– Deve scusarmi, mi si è rotta la valigia per la strada.-

– Consegni tutta la merce ?- chiese con voce rauca

– Si, si c’è tutto – rispose.

Posò le valige sull’ultimo scalino. L’Uomo dal mantello nero afferrò le maniglie, le strinse dentro i guanti di pelle e girandosi appena le fece cadere dietro di sé, nel vuoto. Beniamino ascoltò il sibilo senza fondo. Un precipizio gli attraversò il corpo verticalmente e di risposta

sentì un grumo di sangue salire dal ventre e stringersi in gola. Trattenne il fiato e chiuse le labbra tra i denti per non emettere alcun gemito. La testa gli ondeggiava nella vertigine dell’ abisso quando la voce dell’uomo lo tenne in piedi.

– Ho un nuovo indirizzo per te. Lo troverai nelle valige insieme al da farsi. Puoi andare.- Beniamino alzò la testa e aprì gli occhi per guardarlo.

– Puoi andare – ripeté l’uomo con voce potente – e non dimenticare di prendere le valige.-

 

 


 

 

 

 

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1 risposta a ore 19:16 —– MGP :::::: L’ANNO NUOVO ++++ ( un nuovo racconto per noi )

  1. Donatella scrive:

    Molto bello il racconto di MGP. Mi ricordo che lo aveva scritto parecchi anni fa, ma qui mi sembra che lo abbia migliorato.

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