ORE 19:33 UN ALTRO MODELLO DI RAPPORTO PARTE SANA /PARTE MALATA CHE E’ QUELLO DI CHIARA (“altro modello” rispetto al “Convivio”, che trovate in fondo, preceduto dalle considerazioni di Chiara e attenzione, e’ dopo la musica che vi pregherei di sentire perché è parte del testo…come non lo so) E’ NOTTE, QUASI TROPPO NOTTE, IL CIELO SARA’ DI UN NERO RAMEZZATO DALLA PIOGGIA CHE CI ACCOGLIERA’ DOMANI E I 7° DEL MATTINO PRESTO, VERSO LE SETTE/LE OTTO)– CHIARA PER I REUMATISMI VIVE SIGILLATA IN CASA E HA LA MUFFA GIA VERDE…)

 

introduzione

 

Ricordando il racconto il “Convivio”, con le mie considerazioni, vi presento adesso un modello di rapporto parte sana – parte malata di una persona che è chiara. Si è ammalata gravemente di mente, si è curata con farmaci e ricerca personale (i quaderni) e psicoanalisi: prima classica (sul lettino) e poi “adattata agli psicotici” (vis a vis)  // dal ’76 al 2009, perché il Professore  è mancato, se no ogni tanto sarei ancora lì…/ Come vedete è un’analisi personale, come si chiama di solito, che è durata oltre i trent’anni, anche se con intervalli anche lunghi—Quando ho scritto questo pezzo, chiamavo lo stato di mente che vi presento un “modello di psicotica-sana”.

 

Il tipo di modello è molto simile a quello del “Convivio” e cioè “un equilibrio-squilibrio” tra la parte sana e malata.  In  quest’ultima  (devo aggiungere alla nota precedente) vanno  incluse tutte le passioni, spesso oscure e girovaganti come  fiumi carsici, che danno origine, con il loro fuoco ( o forse meglio, “ardore”, più umano, ma anche acqua / e terra  e cielo, ad  un’opera d’arte.

In entrambi i modelli presentati, si parla di equilibrio-squilibrio perché entrambe le persone non gettano lontano nella mente: impulsi, infanzia ecc, ma se li tengono vicini nel loro “adesso”. Certamente usano entrambe sistemi di sicurezza:

  1. sottochiavi, sempre con chiavi che poi si riescono a rubare… (come nel modello del “Convivio”, MGP)
  2. nel modello Chiara, chiamiamolo così, tanti anni tanti anni hanno imposto, per inclinazione della persona, la “rieducazione” che ha richiesto tanti anni, e un impegno che io stessa non saprei come descrivere: ecco l’ho visto in un’altra persona, un “paziente” che ha lavorato con me quasi ventanni (apparteneva all’altra tribù, quelle  definita con l’etichetta squizofrenia), una terapia di appoggio.  Non ha mai mancato una seduta, mai una volta non e’ venuto con la relazione da me all’inizio richiesta, si è ammalato dopo la laurea in Bocconi e un lavoro in Canada  cioè avrà  avuto 25-26 anni e sta ancora curandosi con la stessa diligenza oggi  che ne avrà 65-66; con il piccolo dettaglio che alla morte di Zapparoli, suo psicoanalista, i terapeuti si sono moltiplicati da uno a quattro,  che ormai vede tutti i giorni. Cosa voglio dire? Che la persona lavora e lotta contro la sua parte non solo come fosse l’unico impegno vitale che ha, ma con la certezza che fuori da quel lavoro c’è la morte della mente. Difficile forse da credere per dei sani, ma quella è temuta molto di più della morte fisica che, pur con una malattia, porta ad un basta. La morte mentale ti devono sparare per darti pace.

 

 


Uso una pagina dei quaderni per essere più chiara

 

 

“Dopo l’esperienza del delirio, dopo tante e, meditate a lungo, esperienze del delirio, ho imparato a ricordare e raccordare il mio animo a questi fatti mentali nel modo che racconto adesso.

 

Ho potuto addomesticare queste energie dette “malate”, come si fa con quei cavallini lasciati crescere troppo liberi e selvaggi, che, ad un certo punto della nostra vita, scopriamo voler usare per attraversare tranquille strade di campagna, dove, “gentili e assolutamente normali vicini”, possono osservare ogni loro eventuale bizzarria.

 

Ci accorgiamo, allora, della fatica, del dolore e dell’alto prezzo che dobbiamo pagare, per indurli, non dico “alla ragione”, perché sarebbe compito impossibile, e neanche ad accettare quel leggerissimo morso, che, nella nostra estrema cattiveria e senza alcuna gratitudine per i servizi resi, abbiamo anche provato a metter loro.

 

Ma la fatica, dicevo, a far acquisire loro appena un po’ di “savoir vivre”, che sarebbe a dire, in buon italiano: stare al loro posto, anche se a buone condizioni, pattuite ed accettate: sempre lodati e adulati (sono molto sensibili alle lodi e alle adulazioni), sempre “cullati e cantati, con favole diverse”, perché si divertano e non si agitino (sono nervosi perché hanno fantasia e si annoiano con la realtà); sono di razza, perciò sensibilissimi a tutto, e, inoltre, devo ammettere, anche infantili, quindi, devono avere l’impressione che ci sono solo loro al mondo.

 

Questo “loro posto”, poi, non è mica laggiù in un canto: è a fianco a noi, che guidiamo il carrettino, senza chiedere alcuna superiorità, anzi,  riconoscendo davanti a qualunque giudice supremo che, senza la loro energia, la loro fantasia e saggezza, vera sapienza, noi saremmo diventati polvere nel delirio.

 

Ma, allo stesso tempo, nonostante la nostra eterna gratitudine, abbiamo imparato, nella più estrema delle sofferenze, che una cosa devono accettarla.

 

(l’ho detto loro, e ripetuto tante volte, poiché da loro si ottiene qualcosa solo con grande ripetizione; hanno un estremo bisogno di “buone abitudini”, che dovrebbero acquisire subito, perché, come è successo a me, è quasi impossibile dargliele in seguito).

 

Per riuscire a convincerli ho imparato a parlare loro sempre pianamente nell’orecchio (un tempo strepitavo); per ubbidire, infatti, vogliono sentire solo voci dolcissime e bassissime, ma, a volte, anche così, recalcitrano, perché la loro natura è sempre un po’ selvaggia.

 

Alla fine hanno capito: devono lasciare le briglie a me che ho il compito di guidare la carrozzina nell’ambiente esterno.

 

E più che loro, siamo noi, finalmente, dopo tantissimi anni di terapia, ad averlo capito.

 

(Non volevamo la responsabilità di condurre il nostro carrozzino: le redini di due cavalli, che tirano un carro intero, possono essere pesanti dipendendo anche dal tipo di cavalli che uno si è trovato al nascere).

 

Così organizzati, fatti i patti ben chiari, guidando noi, possiamo vedere, per noi e per loro, dove si va nello spazio e nel tempo, e discriminare i vari momenti, se piove e se fa sole, e, soprattutto, per quanto tempo, e in che condizioni esterne-interne, possiamo portar fuori il carretto e i cavallini, e quando tenerli nella loro magnifica dimora (pazzia privata), stante la nostra sincera assicurazione che più li facciamo uscire, meglio stiamo anche noi.

 

Adesso, addomesticati come sono  (e con una bella ripassata ogni tanto, magari scrivendo un libro, come sto facendo  in questo momento), stiamo così bene noi tre insieme che possiamo anche osare di andare in società, ma una società scelta, dove non ci siano “normali troppo normali”.

 

Fortunatamente  troviamo molta gente come noi, per cui ci sentiamo parte di una società, anche se questa (nostra) vive meglio fuori da ogni luce di ribalta.

 

 

 

1956  —GUAGLIONE DI AURELIO FERRO –E’ UN’EDIZIONE FEDELE A QUELLA DI ALLORA.—AVEVO 12 ANNI ED ERO ANCH’IO-D’ESTATE –UN “GUAGLIONCELLO” / PERCHE’ MI SEMBRI LA MUSICA ADATTA A QUESTE “CONFESSIONI DI MISTER ORTIS JACOPONA ”  // LO LASCIO INTERAMENTE A VOI INTERPRETARE.

https://www.youtube.com/watch?v=8cy6IVcoD98

 

le parole di chiara e il Convivio di   MGP che con il titolo ha già detto tutto—

https://www.neldeliriononeromaisola.it/2014/12/110568/

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