La Voce è stata una rivista italiana di cultura e politica. Fu fondata nel 1908 da Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini. Attraverso diverse fasi continuò le pubblicazioni fino al 1916. Nonostante la breve vita, è considerata una delle più importanti riviste culturali del Novecento: si caratterizzò per la spregiudicatezza delle battaglie culturali e di costume, oltre che per la vivace polemica sul conformismo della borghesia italiana d’inizio Novecento. (WIKIPEDIA)
Renato Serra
Esame di coscienza di un letterato Opere e personaggi: Da Guido Gozzano a Renato Serra
Nel 1915 il critico letterario Renato Serra (autore di testi —2 volumi– di straordinaria sensibilità e finezza di lettura—anche se poco citato) scrive a Giuseppe De Robertis, direttore de “La Voce”, in forma di lettera, “L’esame di coscienza di un letterato”. Nello stesso anno venne pubblicato sulla rivista. Ma l’autore, Renato Serra, era caduto sul monte Podgora.
“Crediamo pure, per un momento, che gli oppressi saranno vendicati e gli oppressori saranno abbassati; l’esito finale sarà tutta la giustizia e tutto il maggior bene possibile su questa terra. Ma non c’è bene che paghi la lagrima pianta invano, il lamento del ferito che è rimasto solo, il dolore del tormentato di cui nessuno ha avuta notizia, il sangue e lo strazio umano che non ha servito a niente. Il bene degli altri, di quelli che restano, non compensa il male, abbandonato senza rimedio nell’eternità. E poi, di qual bene si tratta? Anche gli esuli che aspettano la fine come il compimento della profezia e l’avvento del cielo sulla terra, sanno che il sogno è vano.
Forse il beneficio della guerra, come di tutte le cose, è in se stessa: un sacrificio che si fa, un dovere che si adempie. Si impara a soffrire, a resistere, a contentarsi di poco, a vivere più degnamente, con più seria fraternità, con più religiosa semplicità, individui e nazioni: finché non disimparino …
Ma del resto è una perdita cieca, un dolore, uno sperpero, una distruzione enorme e inutile. Parlavo prima di coloro che vorrebbero, per un istinto del cuore, sospendere quasi il corso dell’universo: obbligare tutte le cose a subire l’effetto di questa guerra, a conservarla, a continuarla, a non lasciar perdere niente dello sforzo durato dall’umanità.
È un’illusione; non meno naturale che vana. Il cuore, che s’è ribellato per un istante, torna presto alla sua quiete usata: si rassegna a questa che non è maggiore né minore di tutte le altre ingiustizie, intollerabili e tollerate, del vivere. Il mondo è pieno di cose senza compenso. Tale è la sua legge. Penso che anch’io ho pianto fanciullo sulle corone antiche, sui popoli scomparsi senza colpa dalla scena del mondo, su tutte le cose che si sono perdute e più di lor non si ragiona: ho letto con una lacrima negli occhi fissi, i denti stretti in silenzio, la storia delle conquiste e delle distruzioni, le vittorie dei Romani e dei barbari, le guerre degli Spagnuoli e le rivolte dei villani, le guerre dei trent’anni e le guerre di religione. Ero un fanciullo solo, e non sapevo come avrei potuto continuare a vivere. Ma ho potuto continuare. Ho rinunciato a vendicare le vittime, ho dimenticato di consolare quelli che erano morti senza consolazione: ho vissuto egualmente. (Ho vissuto accanto ai miei cari che sono morti. Li ho lasciati sotto terra e me ne sono andato per le strade del mondo). Posso fare così anche adesso. Questa storia, che chiamiamo presente, non è diversa da quelle, che crediamo di aver letto soltanto nei libri: partecipiamo all’una come alle altre con lo stesso titolo. Vicini, ma anche così lontani! […]
Non c’è tempo per ricordare il passato o per pensare molto, quando si è stretti gomito a gomito, e c’è tante cose da fare; anzi una sola, fra tutti.
Andare insieme. Uno dopo l’altro per i sentieri fra i monti, che odorano di ginestre e di menta; si sfila come formiche per la parete, e si sporge la testa alla fine di là dal crinale, cauti, nel silenzio della mattina. O la sera per le grandi strade soffici, che la pesta dei piedi è innumerevole e sorda del buio, e sopra c’è un filo di luna verdina lassù tra le piccole bianche vergini stelle d’aprile;…..”