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PALESTINA STATO (Chiara Cruciati)

 

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15 ottobre 2014

 

 

Palestina. Mozione bipartisan del parlamento britannico che preme su Cameron. Il segretario Onu Ban Ki-moon tra le macerie di Gaza: «Devastazione al di là di ogni descrizione».

La Pale­stina vince 274 a 12. Campo di gioco, il par­la­mento bri­tan­nico che – seguendo la volontà della società civile e sfi­dando il pre­mier Came­ron – ha votato a favore di una mozione di un diviso par­tito labu­ri­sta che chiede al governo di rico­no­scere lo Stato di Pale­stina. Un voto che non vin­cola e a cui hanno preso parte solo metà dei par­la­men­tari, ma dal forte signi­fi­cato simbo­lico oltre che diplo­ma­tico: la pres­sione di parte della comu­nità inter­na­zio­nale non fa dor­mire sonni tran­quilli al governo Netanyahu.

Il sì al rico­no­sci­mento della Pale­stina come Stato, «accanto a quello israe­liano», è arri­vato dai ban­chi della mag­gio­ranza e dell’opposizione (sep­pur nel par­tito di Mil­li­band non siano man­cati mal di pan­cia e asten­sioni). Il voto, spiega la mozione, è «un con­tri­buto al raf­for­za­mento della solu­zione a due Stati». Die­tro, le piazze inglesi colme di mani­fe­stanti nei giorni ter­ri­bili dell’attacco israe­liano con­tro Gaza, 2.150 morti pale­sti­nesi che già ave­vano con­vinto il sot­to­se­gre­ta­rio agli Esteri, Sayeeda Warsi, ad uscire dal governo.

Came­ron abbozza e pro­mette all’alleato israe­liano che nes­suna deci­sione uffi­ciale sca­tu­rirà dalla presa di posi­zione del par­la­mento: Lon­dra «si riserva il diritto di rico­no­scere bilateralmente lo Stato di Pale­stina quando que­sto potrà aiu­tare il pro­cesso di pace», ha com­men­tato il mini­stro degli Esteri Hague. La nar­ra­tiva è iden­tica a quella israe­liana: il diritto allo Stato pale­sti­nese passa per Tel Aviv e per il fan­to­ma­tico pro­cesso di pace che il guer­ra­fon­daio Neta­nyahu invoca quando gli fa comodo.

Ieri da Tel Aviv sono pio­vute cri­ti­che su West­min­ster, col­pe­vole di for­zare la mano in un ambito che è appan­nag­gio del nego­ziato. Ma quale nego­ziato? Dal 1993, anno degli Accordi di Oslo che hanno avuto come solo risul­tato l’istituzionalizzazione dell’occupazione, Israele pro­se­gue indi­stur­bato nella colo­niz­za­zione sel­vag­gia dei Ter­ri­tori Occu­pati, la tra­sfor­ma­zione uni­la­te­rale di Geru­sa­lemme, le vio­la­zioni strut­tu­rali dei diritti umani, i cri­mini di guerra con­tro la Stri­scia e il con­trollo totale delle risorse natu­rali pale­sti­nesi. Coperto, spesso, dall’ombrello dei nego­ziati: l’ultimo round, lan­ciato dal segre­ta­rio di Stato Usa Kerry nel luglio 2013, ha garan­tito l’impunità neces­sa­ria a radi­care l’occupazione.

La scon­tata rea­zione israe­liana al voto (a stretto giro dal rico­no­sci­mento della Sve­zia dello Stato pale­sti­nese) è arri­vata dal Mini­stero degli Esteri: «Il pre­ma­turo rico­no­sci­mento internazionale manda un mes­sag­gio sba­gliato alla lea­der­ship pale­sti­nese, che così può elu­dere le scelte dif­fi­cili che entrambe le parti devono com­piere, e mina le pos­si­bi­lità di una pace vera».

E sep­pure la mozione dei Comuni non indi­chi entro quali con­fini tale Stato dovrebbe nascere, Neta­nyahu ha pre­fe­rito igno­rare, almeno sul piano uffi­ciale, un voto che lo disturba molto e che giunge men­tre il segre­ta­rio gene­rale dell’Onu Ban Ki-moon visita Gaza, il giorno dopo la pro­messa del mondo di donare 5,4 miliardi di dol­lari per la rico­stru­zione di una Stri­scia deva­stata dalle bombe. Pas­sato tra le mace­rie del quar­tiere tea­tro del peg­gior mas­sa­cro di «Mar­gine Pro­tet­tivo», Sha­jaiya, Ban Ki-moon ha detto che «la distru­zione vista a Gaza va al di là di ogni descri­zione. Le radici delle vio­lenze sono un’occupazione restrit­tiva lunga mezzo secolo, la nega­zione dei diritti pale­sti­nesi e la man­canza di pro­gressi nel negoziato».

Più espli­cito è l’ambasciatore bri­tan­nico a Tel Aviv, Mat­thew Gould, che alla radio israe­liana fa notare che «il vento sta cam­biando, Israele ha perso soste­gno dopo il con­flitto e una serie di annunci sulle colo­nie». Dello stesso avviso è l’opposizione israe­liana: anche Her­zog, lea­der labu­ri­sta, cita «il vento freddo che sof­fia verso Israele e sta por­tando una tem­pe­sta diplomatica».

Che il vento cambi dav­vero, è dif­fi­cile da cre­dere: nono­stante le cri­ti­che dell’Onu, le velate pres­sioni Usa e le nuove norme della Ue sui pro­dotti delle colo­nie, gran parte dei governi occiden­tali non intende far venir meno lo sto­rico soste­gno al figlioc­cio israeliano.

A festeg­giare è la lea­der­ship pale­sti­nese. Hanan Ash­rawi, mem­bro dell’Olp, ribatte a Tel Aviv: «Il rico­no­sci­mento della Pale­stina non è legato al risul­tato di nego­ziati con Israele, o qualcosa da barat­tare con qualcos’altro. È una deci­sione di prin­ci­pio e un passo signi­fi­ca­tivo verso pace e giustizia».

 

 

 

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