LE FORMAZIONI AUTONOME NELLA RESISTENZA ITALIANA –a cura dello storico Tommaso Piffer — 14 saggi di vari autori, introduzione riportata di T. Piffer + Alfredo Pizzoni ( dall’ Anpi ) + altro

 

 

 

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Le formazioni autonome nella Resistenza italiana - copertina

Le formazioni autonome nella Resistenza italiana

 

A lungo ignorata dalla storiografia, la Resistenza autonoma rappresentò una componente estremamente significativa del movimento di liberazione dal punto di vista numerico, militare e politico. Formazioni come il primo Gruppo Divisioni Alpine di Enrico Martini Mauri, le Fiamme Verdi o la Osoppo inquadrarono migliaia di uomini, che spesso portarono in dote l’indispensabile esperienza militare acquisita nel Regio Esercito. Fu grazie a uomini come Alfredo Pizzoni, Edgardo Sogno e Raffaele Cadorna che il CLNAI poté garantirsi la fiducia degli alleati occidentali. Finita la guerra, così come era nelle intenzioni dei leader della Resistenza autonoma, il paese rigettò ogni tentazione rivoluzionaria e si dotò di solide strutture democratiche. Questa raccolta di saggi restituisce per la prima volta alla Resistenza autonoma il ruolo che le spetta nella storia della guerra di liberazione, mettendo a confronto le esperienze politiche e militari di diversi contesti regionali. Saggi di: Marco Andreuzzi, Danilo Aprigliano, Alfredo Canavero, Eugenio Capozzi, Giampaolo De Luca, Ernesto Galli della Loggia, Rossella Pace, Marco Patricelli, Paolo Pezzino, Tommaso Piffer, Roberto Tagliani, Francesco Tessarolo, Roberto Tirelli, Fabio Verardo

 

 

 

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iconur

 

* Il testo che segue riproduce l’Introduzione di Tommaso Piffer al volume Le formazioni autonome nella Resistenza italiana, Marsilio, Venezia 2020, pp. 9-12.

https://www.iconur.it/oltre-l-isola/74-le-formazioni-autonome-nella-resistenza-italiana

 

 

 

INTRODUZIONE DI TOMMASO PIFFER

 

 

di Tommaso Piffer**

 

Il libro di T. Piffer

1. Quattordici saggi sulla Resistenza autonoma

 

In questa raccolta di saggi si analizza per la prima volta in modo organico il tema della Resistenza cosiddetta “autonoma” mettendo a confronto le esperienze politiche e militari di diversi contesti regionali.

Adottando una definizione ampia di “Resistenza autonoma”, nelle pagine che seguono si affrontano realtà molto diverse tra loro, dalle formazioni Osoppo sul confine orientale al primo Gruppo Divisioni Alpine in Piemonte, dalle Fiamme Verdi nel bresciano alla brigata Maiella che operò a fianco degli alleati nel Sud Italia, dai circoli della Resistenza liberale nell’Italia del nord ai volontari italiani che operarono per assistere i prigionieri Alleati in mano tedesca.

 

Non è agevole, a fronte di tale disomogeneità, tracciare le caratteristiche comuni alle varie esperienze per interrogarsi sul ruolo che nel loro complesso esse ebbero all’interno della storia della Resistenza italiana. Tanto più che le differenze politiche tra le formazioni erano certo rilevanti ai vertici delle stesse, mentre la gran parte dei partigiani era spesso digiuna di politica e militava in questo o quel gruppo per le ragioni più varie.

 

Un tratto distintivo di tutte le realtà qui analizzate e che ne giustifica la trattazione unitaria in questa sede fu sicuramente il rifiuto dei vertici delle formazioni autonome di declinare la guerra di Liberazione in un senso di rottura dell’ordine sociale, in netta opposizione quindi sia con il collettivismo di stampo sovietico, che costituiva il DNA del movimento comunista internazionale, sia con la cosiddetta rivoluzione liberale di marca azionista.

Nell’esperienza degli “autonomi”, la Resistenza si configurava essenzialmente come lotta di Liberazione nazionale dall’occupante nazista, allo scopo di rimettere il Paese nelle condizioni di scegliere liberamente l’ordinamento politico del quale dotarsi alla fine del conflitto.

 

Partigiani della brigata Osoppo
2. Partigiani della formazione Osoppo

Non stupisce quindi che il rapporto tra le formazioni autonome e quelle del Partito comunista e del Partito d’azione sia stato caratterizzato generalmente dalle incomprensioni e dai contrasti che a livello globale caratterizzarono la grande coalizione tra gli alleati occidentali e l’Unione Sovietica. Né può sorprendere che nel dopoguerra gran parte delle associazioni di combattenti sorte da queste esperienze siano confluite nella Federazione italiana volontari della libertà (FIVL), nata nel 1948 come reazione alla progressiva egemonizzazione dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (ANPI) da parte del Partito comunista.

 

L’interpretazione dell’antifascismo in senso democratico e antitotalitario che fu propria dell’esperienza degli autonomi fu alla radice di precise opzioni militari, strategiche e politiche che si ritrovano in modo trasversale in tutte le realtà qui analizzate. Uno dei motivi di conflitto più frequenti con le formazioni garibaldine, ad esempio, fu il rifiuto degli autonomi di impegnarsi in azioni che si ritorcessero a danno della popolazione civile senza un significativo vantaggio dal punto di vista militare.

Peculiari furono anche il costante richiamo al patriottismo e il legame con l’esercito. Su queste opzioni, e sulla loro declinazione nei vari contesti locali, si soffermano in modo diffuso i saggi delle pagine che seguono, e non è quindi necessario approfondirle in questa sede.

 

La Resistenza autonoma rappresentò una componente estremamente significativa del fronte resistenziale dal punto di vista numerico, militare e politico. Formazioni come l’Osoppo, le Fiamme Verdi o il primo Gruppo Divisioni Alpine di Enrico Martini “Mauri” inquadrarono migliaia di uomini, che spesso portarono in dote l’indispensabile esperienza militare acquisita nel Regio Esercito. Fu grazie a uomini come Alfredo Pizzoni, Edgardo Sogno e Raffaele Cadorna che il CLN Alta Italia poté garantirsi la fiducia degli alleati e quindi il sostegno militare ed economico senza il quale, come ebbe a dire Ferruccio Parri, la Resistenza avrebbe dovuto praticamente “chiudere bottega”.

In Italia come in tutta Europa all’interno dello scontro tra fascismo e antifascismo si sovrapposero e si intersecarono una pluralità di altri conflitti più o meno violenti, la cui posta in gioco era il volto etnico e politico del continente alla fine della Seconda guerra mondiale. In Jugoslavia lo scontro etnico tra serbi e croati si sovrappose inestricabilmente a quello tra i comunisti di Tito e i partigiani nazionalisti di Mihailovic, che vide il primo prendere il potere al termine di un sanguinosissimo conflitto interno e instaurare un regime comunista che sarebbe durato per i decenni a seguire.

In Grecia la frattura tra il Partito comunista e i nazionalisti dell’EDES si sovrapponeva al conflitto sul ruolo della monarchia che divideva il Paese da decenni e causò una guerra civile che si protrasse ben oltre la fine del conflitto mondiale.

In Polonia l’impossibile collaborazione tra Mosca e il governo polacco in esilio a Londra causò un violento scontro tra la resistenza filocomunista e quella fedele al governo. Questa fu poi decimata nel corso dell’insurrezione di Varsavia e lasciò il campo libero all’instaurazione di un regime fedele a Mosca. Ovunque la guerra contro il fascismo fu anche una guerra per il futuro dell’Europa.

 

In Italia furono le formazioni autonome a vincere la competizione politica per il dopoguerra. Finita la guerra il Paese si dotò di robuste strutture democratiche, mentre le velleità rivoluzionarie della sinistra del CLN si infransero contro la presenza degli alleati occidentali, l’opposizione di Stalin e soprattutto l’indisponibilità della maggioranza degli italiani a imbarcarsi in arditi e non meglio precisati progetti di rinnovamento sociale o “democrazie progressive”.

 

Enrico Martini 'Mauri'3. Enrico Martini ‘Mauri’, fondatore e comandante della formazione autonoma “1º Gruppo Divisioni Alpine”

 

Vittoriosa sul piano politico, la Resistenza autonoma perse però la guerra della memoria. La narrazione dell’esperienza resistenziale affermatasi fin subito dopo la fine del conflitto rimase infatti ancorata al binomio “progressisti” e “conservatori”, secondo il quale solo le formazioni politiche e partigiane che puntavano a un complessivo rinnovamento dell’assetto politico e sociale italiano ne avrebbero rappresentato l’anima autentica. Per riprendere un’espressione che Alessandro Galante Garrone utilizzò a proposito di Edgardo Sogno, le formazioni autonome, al contrario, sarebbero state intimamente estranee «al moto di rinnovamento che fu l’impronta vera della resistenza» e furono per questo espulse da una storia che avevano contributo in gran parte a scrivere.

Questa lettura è sopravvissuta ben oltre la fine della guerra fredda, trovando spazio anche in volumi innovativi come il saggio Una guerra civile di Claudio Pavone o in opere di sintesi quali il Dizionario della Resistenza edito da Einaudi nel 2006.

 

Le associazioni che rappresentavano i reduci delle formazioni autonome, dal canto loro, si rivelarono sostanzialmente incapaci di imporre una lettura alternativa che rendesse giustizia al ruolo da loro svolto. A pesare furono in parte la frammentazione di queste realtà nel territorio nazionale, in parte la sottovalutazione compiuta dalla cultura moderata in genere dell’importanza del mondo della cultura. È certamente significativo che la principale raccolta di documentazione sulle formazioni autonome sia stata pubblicata dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, che ne affidò la cura ad autori che non si mostrarono certo simpatetici verso questa esperienza.

 

Alfredo Pizzoni4. Alfredo Pizzoni, presidente del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI).

 

La storia prima che la storiografia si è incaricata di archiviare l’impostazione marxista a lungo predominante nella storiografia resistenziale. Ma la lettura iper-politicizzata della storia della Resistenza che ha imperversato per decenni ha avuto un costo che va ben al dì là della sottovalutazione del contributo delle formazioni autonome. Questa lettura non aveva infatti alcuna possibilità di dar vita a una narrazione collettiva nel quale l’intero Paese potesse identificarsi, e così è stato. A settantacinque anni di distanza dalla fine della guerra, la memoria della Resistenza non solo resta un fattore profondamente divisivo all’interno del Paese, ma mostra sempre meno capacità di suscitare interesse nelle nuove generazioni.

La riscoperta della Resistenza autonoma giunge quindi in un momento di generale stanchezza della storiografia, che da una parte ha ormai del tutto abbandonato vecchi schemi interpretativi, dall’altra pare insicura sulla direzione da prendere per leggere quello che resta un periodo cruciale della storia recente. Il tentativo di questo volume è quello di dare un contributo in questa direzione, mettendo in luce quell’intersecarsi di conflitti e opzioni politiche che rappresenta un tratto saliente di tutta la storia della Seconda guerra mondiale in Europa.

 

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ANPI

DALL’ANPI — BIOGRAFIE ::

Alfredo Pizzoni

 

Nato a Cremona il 20 febbraio 1894, morto a Milano il 3 gennaio 1958, “perno organizzativo” del CLNAI.
Figlio di un generale, Pizzoni aveva combattuto valorosamente durante la prima guerra mondiale guadagnandosi una Medaglia d’Argento. Si era poi laureato in legge ed aveva cominciato a lavorare in banca, divenendo un finanziere molto apprezzato. Il secondo conflitto mondiale lo vide indossare di nuovo la divisa, col grado di Maggiore dei bersaglieri (fu decorato con una Medaglia di bronzo al valor militare), ma ancor prima dell’armistizio, Pizzoni s’impegnò per riportare la democrazia nel Paese. Fu, infatti, dopo il 25 luglio 1943, tra coloro che parteciparono a Milano alle riunioni di quel ” Comitato delle opposizioni “ che – avendo come “perno organizzativo”, come lui stesso ebbe a definirsi, proprio Pizzoni – sarebbe diventato in seguito CLN di Milano e poi Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia.

Pizzoni non era iscritto a nessuno dei partiti del CLN e, proprio per questo, fu ritenuto la persona più idonea a mantenere l’equilibrio interno del Comitato, di cui, dal settembre 1943 e per tutto il periodo della lotta clandestina, fu il Presidente. Un ruolo di grande rilievo nella Resistenza, Alfredo Pizzoni (che si chiamò, via via, “Alfredo”, “Biancardi”, “Melino”, “Paolo Felici”, “Pietro Longhi”), lo ebbe grazie alla sua esperienza professionale e alle sue conoscenze internazionali, che gli permisero di concludere importanti operazioni con gli Alleati: il 9 dicembre 1944, a Caserta, stipulò accordi finanziari che portarono nelle casse della Resistenza 160 milioni di lire mensili; sempre a dicembre, con i “Protocolli di Roma” ottenne dagli angloamericani il riconoscimento ufficiale del Comitato di Liberazione come unico centro coordinatore dell’attività resistenziale.

 

Secondo Ferruccio Parri, presente alle trattative insieme a Pajetta e Sogno, fu quello un accordo al ribasso, ma servì tuttavia a rafforzare la lotta contro i nazifascisti, così come servì l’accordo che “Pietro Longhi” seppe concludere con il movimento partigiano jugoslavo.

A ridosso dell’insurrezione d’aprile, a presiedere il CLNAI fu chiamato il socialista Rodolfo Morandi (Alfredo Pizzoni era in missione al Sud), anche per sottolineare – come ebbe a dire il rappresentante del Partito d’Azione – che il CLNAI “intendeva contribuire alla costituzione di un nuovo Stato italiano, in cui le masse siano chiamate a risolvere i problemi di interesse nazionale”.

Dopo la Liberazione, Pizzoni continuò fino al giugno 1945 la sua attività all’interno del CLNAI, presiedendone la Commissione finanziaria. Partecipò quindi alla Costituente e poi, tornato all’attività bancaria, assunse la presidenza del Credito Italiano.

 

PREMI

Nel 1946, Alfredo Pizzoni (unico italiano) fu insignito della Medal of Freedom la più alta onorificenza concessa dal Congresso degli Stati Uniti. Otto anni dopo ricevette la Medaglia d’oro dei benemeriti del Comune di Milano, quale presidente del Comitato lombardo della CRI. È stato nominato Cavaliere della Legion d’Onore dai francesi e Cavaliere di Gran Croce dalla Repubblica Italiana.

 

 

 

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Tommaso Piffer

 

Tommaso Piffer è professore associato di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Udine e presidente della giuria scientifica del Premio nazionale di Storia contemporanea Friuli Storia. È stato Marie Curie postdoctoral fellow presso le Università di Harvard e Cambridge, postdoctoral fellow della Higher School of Economics a Mosca e Bodossakis Junior Reseach Fellow del Churchill College di Cambridge. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Il banchiere della Resistenza (Mondadori, 2005), Gli Alleati e la Resistenza italiana (Il Mulino, 2010) e le raccolte di saggi Società totalitarie e transizione alla democrazia. Saggi in memoria di Victor Zaslavsky (Il Mulino, 2011), Porzûs. Violenza e resistenza sul confine orientale (Il Mulino, 2012) e Le formazioni autonome nella Resistenza italiana (Marsilio, 2020).

DA: Mondadori

 

 

 

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A CHI SI INTERESSA DI QUESTO  ” TIPO DI STORIE ” CONSIGLIO DI LEGGERE UN ARTICOLO DI MARCO FIORLETTA – SE POSSIBILE FINO ALLA FINE- SU:

DA :

 

 

Due libri che fanno discutere

Un’altra Resistenza

Alla riscoperta di Alfredo Pizzoni, quello strano “banchiere” che guidò il Cnl dell’Alta Italia e finì nel dimenticatoio perché non aderì ai due partiti egemoni del Dopo Guerra

 

GENNAIO 2016

Un’altra Resistenza

 

 

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