LIMESONLINE — 4 OTTOBRE 2024 — 15.36
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Che cosa succede se Israele colpisce i siti atomici iraniani
Lo Stato ebraico prepara una risposta all’offensiva dell’Iran. La capacità di Teheran di produrre un ordigno nucleare in poche settimane rappresenta un rischio esistenziale per Gerusalemme, ma colpire gli impianti della Repubblica Islamica comporta dei rischi non trascurabili.
Dettaglio di una carta di Laura Canali. La versione integrale si trova nel corpo dell’articolo.
È del 1° ottobre il massiccio attacco lanciato contro Israele dall’Iran. È il secondo di quest’anno dopo quello di aprile. Sono stati impiegati circa 450 vettori: droni, missili da crociera, missili balistici e ipersonici. Per Teheran questa operazione militare è stata la punizione per l’omicidio del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, e del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah.
La dinamica di questi attacchi israeliani e iraniani è tattica.
Per l’Iran è basata sull’uso massiccio di vettori missilistici. Infatti sia la sua aviazione militare sia quella civile sono alquanto datate, poiché il paese è di fatto escluso dalla tecnologia più avanzata e dispone di pochi aerei d’attacco funzionanti, alcuni dei quali acquistati ancora prima della rivoluzione del 1979.
Per questa ragione Teheran ha puntato tutto sui vettori missilistici, il cui impiego massiccio a sciami può rendere poco efficace il formidabile sistema di difesa israeliano, il cui vertice di eccellenza è il cosiddetto Iron Dome (Cupola di Ferro). Esso rappresenta una parte dei sistemi di difesa missilistica a più livelli di cui dispone Israele ed è progettato per intercettare razzi a corto raggio a una distanza massima di 70 chilometri.
L’Iran dispone di un vasto complesso nucleare, che dall’estrazione dell’uranio naturale al suo raffinamento e trasformazione nel gas noto come esafluoruro di uranio viene immesso in sistemi dedicati che operano come “lavatrici superveloci”, ovvero centrifughe. Sono circa 15 mila le centrifughe con avanzamento tecnologico diversificato che si trovano nell’impianto di Natanz. Il loro scopo è estrarre e accumulare dall’esafluoruro di uranio la componente costituita da un isotopo dell’uranio stesso, capace di sostenere una reazione nucleare controllata – come nei reattori nucleari civili – ma anche di provocare un’esplosione analoga a quella della bomba atomica. Il processo fisico noto come fissione nucleare fu scoperto nel 1938 dai chimici nucleari tedeschi Otto Hahn e dal suo giovane assistente Fritz Strassmann.
Nella carta si può vedere l’esteso complesso nucleare iraniano. Ciò non basta però a indicare che Teheran abbia un programma nucleare militare, in quanto ogni paese nucleare dispone di un simile complesso o di una parte di esso. Ad esempio nel dicembre 2023 si contavano nel mondo 437 reattori nucleari, operanti in 32 nazioni in 4 diversi continenti.
Carta di Laura Canali – 2024
Ad oggi, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), organizzazione intergovernativa di natura scientifico-tecnologica, autonoma per statuto in quanto parte della famiglia delle Nazioni Unite, non ha ancora scoperto alcuna smoking gun che denoti l’esistenza di un programma nucleare militare in Iran. Ma i sistemi di verifica e controllo dell’Aiea non possono garantire al 100% lo scopo esclusivamente pacifico di tale programma.
In Israele, così come negli Usa, cresce il timore della propria vulnerabilità strategica nel caso in cui le minacce da parte di gruppi terroristici quali Hezbollah, Hamas e Huthi non dovessero essere eliminate totalmente.
Inoltre gli impianti di arricchimento dell’uranio al livello bombabile a Natanz e a Fordow, cioè con arricchimento al 90% dell’isotopo uranio 235, si trovano nel sottosuolo e sono difesi da sistemi missilistici antiaerei russi S300. Quindi la vera domanda concernente il vantaggio strategico di Israele si riduce a chiedersi se sia possibile distruggere questi impianti.
Si presuppone che il tempo di break out per produrre il materiale fissile per una bomba atomica da parte dell’Iran sia di una, massimo due settimane. A partire da oggi la Repubblica Islamica potrebbe avere un quantitativo di uranio 235 per costruire una bomba atomica in un tempo relativamente breve, anche se ciò non dovesse implicare l’ottenimento di un ordigno performante.
È noto che per una bomba atomica con uranio 235 non sono necessari test, poiché un ordigno simile “esplode sempre”, anche se il suo effetto distruttivo potrebbe essere inferiore a quello ottenuto nelle simulazioni numeriche.
Carta di Laura Canali – 2012
Nonostante questi potenziali problemi è opinione diffusa che il rischio esistenziale per Israele sia troppo alto, per cui l’unica opzione possibile è il raid aereo contro gli impianti di arricchimento di Natanz e Fordow, probabilmente preparati da atti di sabotaggio cibernetico come quello del 2021 messo a segno dagli Usa e da Israele tramite il cosiddetto computer virus Stuxnet, che distrusse circa un quinto delle centrifughe di Natanz.
Il pericolo prodotto dall’attacco a un impianto di arricchimento dell’uranio è soprattutto chimico, oltre che radiologico. L’uranio è un metallo pesante e quindi non si disperde nell’atmosfera. Le conseguenze più gravi deriverebbero dalla distruzione degli impianti di gassificazione dell’uranio naturale.
Riteniamo che l’attacco militare agli impianti di Fordow e Natanz sarà un’opzione inevitabile per Israele se i bombardamenti da parte di Teheran continueranno e se non si arriverà a una svolta positiva, significativa e verificabile nei negoziati sul nucleare.
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