— dedicato ai liguri ::: ” Bulesumme ” –dal blog ” La sostanza dei sogni “, 10 dicembre 2011 — in questo blog, non so se è ancora vivo, trovate molti piccoli racconti alcuni proprio belli

 

 

10 dicembre 2011 – La sostanza dei sogni

Bulesumme

 

 

Bulesumme

Condannata dal destino e dalla pigrizia a un nefasto piattume padano, a volte sento ribollire nelle vene quel po’ di mare che vi scorre per nascita savonese e DNA paterno. E quando m’incazzo dico parolacce liguri, perché il turpiloquio nella lingua natia, ricca di suoni duri e vocali strette, dà molta più soddisfazione.

In casa mia si è sempre parlato un italiano accademico, perfettamente atono e privo di coloriture dialettali, ma vi sono parole liguri bellissime, onomatopeiche o talmente precise da essere intraducibili, che mi piace ripescare ogni tanto come tesori nascosti nel doppiofondo di una valigia.

Prendi, per esempio, la rumenta, che ingiungo di raccogliere nei miei saltuari furori di pulizia, quando mi sento sommergere dalla sporcizia esteriore ed interiore.

La rumenta non è semplice “spazzatura”, ma quel mucchietto di schifezze (polvere, capelli, “gattoni” di lana delle coperte), che ti si accumula sotto la scopa con appiccicosa riluttanza, inducendoti a riflettere sul tuo pattume esistenziale che non riesci a spazzare via.

Ru-men-ta, con le sue sillabe dure, contiene in sé lo schifo e la fatica della rimozione.

Sì, perché è un momento di odiosa impasse, come una barchetta a remi in balia del mare bulesumme: non si è in pericolo, ma non si riesce ad andare, né a riva né in mare aperto.

Bulesumme è quel mare increspato da onde dispettose schiumanti finta innocenza: non sono alte e minacciose come cavalloni, ma ti impediscono di nuotare e ti fanno bere litri d’acqua salata. Insomma, non muori ma t’incazzi parecchio, di solito con te stesso. Ti dai dell’abbellinou, che poi vuol dire “pirla”. Solo che tutte quelle labiali hai bisogno di dirle, quando sei arrabbiato con un deficiente, tanto più se il deficiente, l’abbellinato, sei tu.

Sì, perché il ligure è un po’ masochista, ipercritico ad oltranza con gli altri ma soprattutto con se stesso. Stundaio, insomma. Stundaio è una parola che anche Montale ha evocato parlando dell’atteggiamento dei suoi conterranei, “orgoglio e timidezza misto a diffidenza”.

Con noi stundai è difficile entrare in relazione: ci sono cocci aguzzi di bottiglia su cui ferirsi, prima di arrivare al di là di una muraglia di sospetti e cautele.

Poi, però, si trova un mare di affetto e fedeltà. E quel mare non è mai bulesumme…

 

 

 

10 dicembre 2011

Prigioniero della nebbia

 

 

Prigioniero della nebbia

 

Sette anni fa moriva mio padre. Era nato al mare, ma per tanti anni fu prigioniero della nebbia. La nostalgia non lo abbandonò mai, come testimonia questa sua poesia in dialetto savonese, che pubblico con la “traduzione” per i non liguri.

 

SANTA LUSIA

Ti te ricordi, Mingo

in sce-i banchetti

che festa de culuri

che allegria…

E  ûn mä de zente

inseme ai babanetti

insci-a a salita de Santa Lusia

E belle balle de sereoja pinn-e

tiê de tanti figgi de bagasce

se desfavan in tësta ae scignurinn-e

e i negusianti ne vendeivan casce

A quelli tempi ëmu in mezu ai venti

Ëmu  züeni, ëmu beli, ëmu cuntenti.

Oua in-ta nebbia sëmu  in salamoia

coe balle pinn-e, ma nun de sereoja.

 

“Traduzione”

Ti ricordi Mingo,

in quei banchetti

che festa di colori,

che allegria.

E un mare di gente

coi bambini

su per la salita di Santa Lucia.

E belle palle piene di segatura

tirate da tanti figli di puttana

si disfavano in testa alle signorine

e i negozianti ne vendevan casse.

A quei tempi eravamo in mezzo ai venti

Eravamo giovani, belli e contenti

Ora in mezzo alla nebbia siamo in salamoia

Con le palle piene, ma non di segatura.

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *