ANPI III Municipio Roma “Orlando Orlandi Posti” @ANPIRomaPosti ( link sotto ) – 7.02 –23 agosto 2024 — RUZA PETROVIC — grazie di farci sapere questi orrori ! — altro +++ Davide Conti, Gli orrori del fascismo di frontiera all’origine della tragedia delle foibe, IL MANIFESTO  10 FEBBRAIO 2021 ++ video, 52 min. ca – Davide Conti, Sull’uso politico della storia

 

 

 

 

 

Ruža Petrović (Gimino17 ottobre 1911 – Pola23 agosto 1958) è stata una partigiana e antifascista croata, alla quale i fascisti italiani in Istria cavarono entrambi gli occhi durante la guerra di liberazione popolare della Jugoslavia; dopo la guerra, è stata vicepresidente dell’Associazione dei Ciechi di Pola.

 

Ruža Petrović è nata col nome di Roža Hrelja in un piccolo villaggio di Hreljina vicino a Gimino. Era la più grande di otto bambini. Prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, sposò Josip Hrelja con il quale ebbe due figlie, una delle quali morì pochi mesi dopo la nascita. Da quando Josip morì prima della guerra, Ruža sposò Vazmoslav Paškvalin Petrović, che abitava nel piccolo insediamento di Režanci nel villaggio di Sanvincenti.

 

Ruža Petrović aiutava i partigiani jugoslavi fin dall’inizio dell’occupazione dell’Istria da parte della Repubblica Sociale Italiana. Il 22 luglio 1944, 25 fascisti italiani da Sanvincenti fanno irruzione a Režanci e perquisicono la casa di Petrović perché sospettano che lei, suo marito e i suoi due fratelli stessero aiutando i partigiani. Dal momento che trovarono più vestiti e cibo di quello che la loro famiglia avesse bisogno, Ruža viene arrestata e costretta a trasportare tutti i prodotti che aveva conservati in casa per la guarnigione dell’esercito a Sanvincenti, dove alla fine viene anche brutalmente torturata. Nonostante le sevizie subite, Ruza non rivela alcuna informazione sui partigiani. Dopo essere stata rilasciata il giorno dopo, sulla via del ritorno a casa, un gruppo di fascisti la ferma e la picchia nuovamente. Dopo essere stata colpita in fronte con il calcio del fucile, cade a terra. A quel punto i fascisti la legano ad un albero, mentre uno di loro le cava entrambi gli occhi con un pugnale. Ritrovata dagli abitanti del villaggio Režanci e portata al villaggio di Skitača, dove partigiani avevano il loro quartier generale e un ospedale, la sottoposero ad intervento chirurgico al Policlinico di Pola, nel quale trascorre 70 giorni in riabilitazione. Dopo essere stata dimessa dall’ospedale, Petrović si unisce di nuovo al movimento antifascista, e, anche se cieca, aiuta i combattenti partigiani cucendogli camicie e calze a maglia, dandogli così sostegno morale.[1][2]

Prima della brutale mutilazione, Petrović era stata eletta dal Fronte antifascista femminile della Croazia (FAZ) come delegata alla conferenza regionale FAZ che si è tenuta il 7 luglio 1944 nei boschi sopra Rašpra nel Carso. Inoltre, è stata membro della delegazione delle donne istriane al Congresso delle donne croate che si è tenuto nel giugno 1945 a Zagabria, in cui ha tenuto il discorso di apertura e ha incontrato, tra gli altri, il presidente Vladimir Nazor.

Dopo la seconda guerra mondiale, Petrović fonda l’Associazione dei Ciechi di Pola, dove ricoprirà il ruolo di vicepresidente. Muore il 23 agosto 1958, all’età di 47 anni, e viene sepolta nel cimitero della città di Pola, Repubblica Socialista di Croazia.

Il nome di Ruža Petrović, tra gli altri monumenti, è stato dato alla “Casa dei bambini di Pola” da quando è stata fondata nel 1945 (nel 1996 il Ministero delle Politiche Sociali e della Gioventù sotto il governo dell’Unione Democratica Croata ha rimosso il nome di Petrović dal nome di questa istituzione, ma è stato ripristinato successivamente nel 20 giugno 2013 quando è salito al potere il Partito Socialdemocratico di Croazia)

 

 

 

 

Ruža Petrović (al centro) con gli ospiti della Casa per bambini abbandonati a Pola, (archivio fotografico Voice of Istra)

 

 

 

 

 

 

Ruža Petrović prima della seconda guerra mondiale

 

 

 

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da : https://www.istrapedia.hr/hr/natuknice/1731/petrovic-ruza

 

 

 

 

 

IL MANIFESTO  10 FEBBRAIO 2021
https://ilmanifesto.it/gli-orrori-del-fascismo-di-frontiera-allorigine-della-tragedia-delle-foibe

 

 

Gli orrori del fascismo di frontiera all’origine della tragedia delle foibe

 

 

Novecento. Il «Giorno del Ricordo» coincide quest’anno con l’ottantesimo anniversario dell’invasione della Jugoslavia. L’occupazione dell’Asse costò la vita a un milione e mezzo di persone. Alla fine del conflitto nessun italiano, pur iscritto nella lista dei criminali di guerra, fu mai processato

 

Gli orrori del fascismo di frontiera all’origine della tragedia delle foibe

Marzo 1941, le truppe italiane partecipano all’invasione del Regno di Jugoslavia

 

 

 

 

 


Ed. Forum, Udine, 2021
vedi video al fondo, se vuoi

 

 

 

Italijanski palikuci (italiani brucia case) gridavano i civili quando nel 1941 le truppe del regio esercito e i «battaglioni M» invasero la Jugoslavia per concludere l’occupazione dei Balcani avviata con le aggressioni di Albania e Grecia nel 1939-40.

Lungi dall’essere «italiani brava gente», come la narrazione autoassolutoria del dopoguerra avrebbe affermato come dogma intangibile dell’elusione della «colpa», i militari del re e di Mussolini venivano così apostrofati per l’uso sistematico dei lanciafiamme contro le case dei civili sfollati, fucilati o deportati nei campi di internamento in applicazione delle misure di controguerriglia antipartigianache l’Italia avrebbe conosciuto con l’occupazione nazista.

 

L’OTTANTESIMO anniversario dell’aggressione alla Jugoslavia ( 1941-2021 ) dovrebbe rappresentare, nelle celebrazioni del «Giorno del ricordo», occasione di elaborazione storica del nostro passato consegnando una interpretazione integrale alla legge istitutiva di questa giornata che invita a dare conto «della più complessa vicenda del confine orientale» ovvero a ciò che è accaduto prima delle foibe e dopo la fine della guerra.

 

Al crepuscolo dello Stato liberale e nel pieno «biennio rosso» 1919-20, lo squadrismo emerse in quelle terre come elemento di sintesi di istanze antislave (sul piano nazionalista) e anticomuniste (sul piano politico-sociale) dando rappresentanza a settori della società italiana che andavano dalla piccola-media borghesia alla proprietà terriera fino ai militari.

 

A Trieste e in Istria si sperimentò quel fascismo di frontiera che nel 1920-22 intensificò l’azione violenta in tutta la regione. In quelle terre nacque il moto reazionario che avrebbe investito il Paese ed instaurato la dittatura «In altre plaghe d’Italia – scrive Mussolini nel 1920 – i fasci di combattimento sono appena una promessa, nella Venezia-Giulia sono l’elemento preponderante e dominante della situazione politica».

 

Così mentre nel 1919-20 i tribunali a Trieste e Pola, non ancora fascistizzati, emettevano 50 condanne per complessivi 120 anni di carcere contro ferrovieri e metalmeccanici in sciopero accusati di «anti-italianità, filo-slavismo, cospirazione contro lo Stato e istigazione alla guerra civile»,

lo squadrismo fascista il 13 luglio 1920 assaltò la sede della Narodni Dom (Casa del popolo) a Trieste incendiando l’intero palazzo (l’Hotel Balkan che cento anni dopo sarà restituito alla Slovenia dal Presidente della Repubblica Mattarella) ed anticipando la condotta del regio esercito nel 1941. Mussolini chiarì il suo programma a Pola il 22 settembre 1920:

 

«Di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone io credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».

 

L’occupazione nazifascista della Jugoslavia costò la vita a circa 1 milione e mezzo di persone travolte dalle misure draconiane della «Circolare 3C» (che istruiva i soldati italiani alla repressione di civili e partigiani) firmata dal generale Mario Roatta; dalla «Cintura di Lubiana» (un perimetro di filo spinato e posti di blocco attorno alla città poi sottoposta a razzie e deportazioni); dalle direttive di Mussolini ai suoi generali «al terrore dei partigiani – disse a Gorizia nel 1942 – si deve rispondere col ferro e col fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri è cominciato un nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto».

 

 

DALL’IMPIANTO IDEOLOGICO della «guerra totale» fascista discese la condotta dei comandi militari del regio esercito che fece mostra di sé nella città di Podhum il 12 luglio 1942 (91 uomini fucilati sul posto e 800 deportati) o nei villaggi di Zamet e Danilovgrad, rastrellati e rasi al suolo nell’agosto 1942 o con il «governatorato» del generale Alessandro Pirzio Biroli in Montenegro.

 

Pratiche belliche che facevano seguito alla snazionalizzazione teorizzata da Mussolini:

«quando l’etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi; gli scambi di popolazioni e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali».

 

 

Alla fine del conflitto nessun italiano iscritto nella lista dei criminali di guerra stilata dalle Nazioni Unite (750 per la Jugoslavia) fu mai processato.

 

La Guerra Fredda e le necessità anglo-americane di riorganizzare l’esercito italiano e inserirlo nell’Alleanza atlantica permisero impunità e continuità dello Stato, determinando quella «mancata Norimberga» che segnerà la più vistosa delle aporie della nostra storia.

Molti criminali di guerra assumeranno ruoli apicali negli apparati della Repubblica. Diverranno questori, prefetti e uomini dei servizi segreti e saranno implicati in vicende tragiche e decisive della storia nazionale dalla strage di Portella delle Ginestre a quella di Piazza Fontana fino al golpe Borghese.

 

IL «SILENZIO» sulle foibe ( in realtà nel 1945 vennero istruiti alcuni processi ed emesse condanne ) non fu il risultato di una trama omissiva delle sinistre italiane.

 

Ad evitare la riapertura di quella pagina furono i governi De Gasperi nella consapevolezza che sollevare la questione avrebbe comportato per l’Italia l’obbligo di rispondere sia per i crimini perpetrati in Jugoslavia, Albania, Grecia, Libia, Etiopia, Urss e Francia sia per i risarcimenti economici fissati proprio il 10 febbraio 1947 con la firma del Trattato di Pace di Parigi.

 

La «più complessa vicenda del confine orientale» racconta questo lato della storia nazionale e deve spingere il Paese a fare i conti con il proprio passato contro un «populismo storico» che si diffonde pervicacemente nella società minandone i valori costituzionali ed antifascisti:

 

«Una generazione – scriveva Gramsci – può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà della generazione precedente, un periodo storico dal suo stesso modo di considerare il periodo storico da cui è stato preceduto».

 

 

 

Bibliografia ragionata

Sulle foibe:

Joze Pirjevec, «Foibe. Una storia d’Italia» (Einaudi), Raoul Pupo-Roberto Spazzali, «Foibe» (Mondadori), Giacomo Scotti, «Dossier Foibe» (Manni), Giampaolo Valdevit, «Foibe. Il peso del passato, Venezia Giulia 1943-1945» (Marsilio).

Sull’occupazione italiana della Jugoslavia e dei Balcani:

Davide Conti, «L’occupazione italiana dei Balcani 1941-1943. Crimini di guerra e mito della brava gente» (Odradek), Eric Gobetti, «Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia 1941-1943 (Laterza), Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa 1940-1943» (Bollati Boringhieri).

Sui mancati processi ai criminali di guerra italiani e sul mito degli «italiani brava gente»:

Michele Battini, «Peccati di memoria: la mancata Norimberga italiana» (Laterza), Davide Conti, «Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana» (Einaudi), Angelo Del Boca, «Italiani brava gente?» (Neri Pozza), Filippo Focardi, «Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale» (Laterza), Filippo Focardi, «Nel cantiere della memoria. Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe» (Viella).

https://multiversoweb.it/voci/luso-politico-della-storia/

 

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