DAVIDE CONTI, Il precedente dell’Italicus nel gorgo dei depistaggi –L’attentato neofascista del 1974 provocò 12 morti e 50 feriti. Nessuna condanna. Il manifesto del 2 agosto 2024 + IL FATTO QUOTIDIANO  3 AGOSTO 2024

 

 

 

Il manifesto del 2 agosto 2024
https://ilmanifesto.it/il-precedente-dellitalicus-nel-gorgo-dei-depistaggi

 

 

 

Il precedente dell’Italicus nel gorgo dei depistaggi

 

 

Bologna, 2 agosto 1980. L’attentato neofascista del 1974 provocò 12 morti e 50 feriti. Nessuna condanna

 

 

 

Bologna, 2 agosto 1980

Bologna, 2 agosto 1980

 

 

Il 31 luglio 1980 il giudice Angelo Vella chiudeva la sentenza-ordinanza sulla strage neofascista del treno Italicus del 4 agosto 1974 (12 morti e 50 feriti).

Nella conferenza stampa del giorno dopo lo stesso Vella dava notizia del rinvio a giudizio di tre imputati. Si trattava di Mario Tuti, Piero Melentacchi e Luciano Franci membri del gruppo toscano del Fronte Nazionale Rivoluzionario, una delle sigle dell’eversione nera nate all’indomani dello scioglimento del Movimento Politico Ordine Nuovo del novembre 1973.

Nel 1992 tutti saranno definitivamente assolti dalla Cassazione. Ancora oggi, per lo Stato italiano, non esiste colpevole.

Fino al 1 agosto 1980 quella era, nell’immaginario collettivo, la strage di Bologna poiché aveva colpito un treno nella provincia della città. Così la chiamò Pasolini nella sua celebre invettiva civile «Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974».

Meno di 48 ore dopo l’incriminazione dei neofascisti per l’Italicus, la strage di Bologna avrebbe cambiato luogo di riferimento spostandosi nel cuore della città; facendo 85 morti e 200 feriti; scrivendo un nuovo tragico capitolo del romanzo nero della Repubblica. Per il massacro del 2 agosto 1980 la Corte d’Assise d’Appello ha confermato, nel luglio scorso, la condanna di Paolo Bellini (neofascista, ’ndranghetista e collaboratore del Ros dei carabinieri), Piergiorgio Segatel (all’epoca capitano dei carabinieri) e Domenico Catracchia ovvero l’amministratore del condominio di via Gradoli a Roma (di proprietà di tre società riconducibili al Sisde) dove nel 1981 i Nar installarono una loro base.

I tre si aggiungono ai neofascisti Francesca Mambro, Giusva Fioravanti e Luigi Ciavardini (condannati definitivamente), a Gilberto Cavallini (condannato in appello) e ai mandanti/depistatori individuati in Licio Gelli e Umberto Ortolani (capi della P2); Federico Umberto D’Amato (capo dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno), Mario Tedeschi (senatore del Msi e direttore de Il Borghese).

 

A cinquant’anni di distanza la strage dell’Italicus racconta molto di ciò che avvenne prima e dopo quel 4 agosto 1974. Anticipa lo stretto legame tra manovalanza neofascista e P2 (con quest’ultima che «svolse opera – scrive la Commissione presieduta da Tina Anselmi – di istigazione agli attentati e di finanziamento dei gruppi della destra extraparlamentare toscana»); narra dei depistaggi eseguiti da alti esponenti degli apparati di forza e dei servizi segreti; rievoca l’apposizione del segreto di Stato da parte di due Presidenti del Consiglio (Spadolini nel 1982 e Craxi nel 1986) di fronte alle richieste di documenti da parte della magistratura;

ricorda che la strage fu preceduta (come quella di piazza Fontana) da una serie di attentati sulle linee ferroviarie (29 gennaio Silvi Marina, nei pressi di Pescara; 9 febbraio treno Taranto-Siracusa; 21 aprile Vaiano, provincia di Pisa); che seguì la strage di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio) e che venne seguita dall’attentato a Terontola (9 gennaio 1975).

 

Rammenta, infine, di un falso propalato dal padre della destra di ieri e di oggi: Giorgio Almirante. Il segretario del Msi (all’epoca alle prese con la richiesta di autorizzazione a procedere approvata dal Parlamento contro di lui per ricostituzione del partito fascista) annunciò al capo dell’Ispettorato Antiterrorismo Emilio Santillo l’attentato dell’Italicus 19 giorni prima della strage, accusandone i gruppi della sinistra extraparlamentare:

«Siamo stati in grado – disse Almirante alla Camera il 5 agosto 1974 – di comunicare il mattino del 17 luglio al dottor Santillo che un attentato era in via di preparazione alla stazione Tiburtina.
L’informazione era inesatta solo per un particolare di notevole importanza, perché si parlava del Palatino, il treno Roma-Parigi, e non dell’Italicus. Io fui in condizioni di mandare un biglietto al dottor Santillo e di farlo seguire da una telefonata. Gli mandai un biglietto nel quale erano indicati i nomi dei presunti organizzatori dell’attentato. So per certo che quei tre indiziati o presunti indiziati o presunti colpevoli o presunti organizzatori appartengono a gruppi extraparlamentari di sinistra operanti in Roma e più esattamente all’Università di Roma».

A pulire gli occhi da queste falsità ci penserà la «Piazza bella piazza» cantata da Claudio Lolli a Bologna il giorno dei funerali delle vittime, quando le alte cariche democristiane dello Stato saranno sonoramente contestate da una massa di popolo consapevole della vera matrice dell’eccidio.

Dopo mezzo secolo di impunità resta anche un’ultima evocativa immagine: quella del ferroviere Silver Sirotti che, in servizio sull’Italicus, tentò di spegnere le fiamme dell’incendio per salvare le vite dei passeggeri e morì travolto dal fuoco. Vittima aggiunta della strage come era stato nel dicembre 1969 un altro ferroviere, Giuseppe Pinelli, morto innocente nella Questura di Milano all’alba del primo capitolo del romanzo nero della Repubblica.

 

 

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO  3 AGOSTO 2024

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/08/03/italicus-i-50-anni-della-strage-dimenticata-i-morti-sul-treno-che-esplose-furono-12-e-48-i-feriti/7647087/

 

 

Italicus, i 50 anni della “strage dimenticata”: 12 morti, 48 feriti ma nessun responsabile

 

 

Italicus, i 50 anni della “strage dimenticata”: 12 morti, 48 feriti ma nessun responsabile

 

 

Dopo l’anniversario della strage di Bologna, il 4 agosto si ricorda il 50° anniversario dell’attentato dell’Italicus. All’1.23 della notte di domenica 4 agosto 1974 una bomba esplose sul treno Roma-Monaco con 342 persone a bordo – nel tratto di transito a San Benedetto Val di Sambro, sull’Appennino bolognese – causando 12 morti e 48 feriti. La strage fu rivendicata da Ordine Nero, ma i processi non sono riusciti ad attribuire la responsabilità.

 

Avevano fra i 14 e 70 anni e come per il massacro della stazione c’erano anche turisti stranieri. Tra i morti il 25enne forlivese Silver Sirotti, medaglia d’oro al valore civile, controllore che non doveva nemmeno essere in servizio quella notte. Fu tra i primi a soccorrere i passeggeri nella carrozza colpita, la quinta, sventrata quasi all’uscita dalla lunga galleria dell’Appennino toscoemiliano, e morì sopraffatto dal fuoco e dal fumo. “È una strage dimenticata, per la giustizia italiana non ci sono colpevoli – ha detto il fratello Franco a Repubblica Bologna – Siamo fermi alla Cassazione, dove i neofascisti furono assolti. Ci è mancato anche il non avere un’associazione delle vittime, e in questo Paese solo con l’impegno dei familiari si tengono i fari accesi. Sono in contatto con un pool di avvocati, non sarà facile ma puntiamo alle riapertura delle indagini”.

 

Il treno era partito dalla stazione di Roma Tiburtina alle 20.35, era transitato da Firenze Santa Maria Novella a mezzanotte e mezzo. Al momento dello scoppio – se l’ordigno fosse esploso più all’interno, il numero delle vittime sarebbe stato maggiore – avrebbe dovuto essere a Bologna. A bordo, riferì trent’anni dopo Maria Fida Moro, era salito anche il padre Aldo, all’epoca ministro degli Esteri, per raggiungere la famiglia in Trentino, ma prima che il treno partisse fu fatto scendere “per firmare carte importanti”.

 

Il 9 maggio a Palazzo Madama in occasione della Giornata in memoria delle vittime del terrorismo, alla presenza di Mattarella, Franco Sirotti ha lanciato un appello, chiedendo di togliere il segreto di Stato su tutte le stragi. Il fratello Silver domani sarà ricordato a Forlì in una cerimonia istituzionale al giardino pubblico a lui intitolato alla presenza del sindaco Gian Luca Zattini e dei familiari.

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