Linguafranca. Blog collettivo di traduzione poetica ( nota sotto ) — Il Fatto Quotidiano, 14 giugno 2024 :: Taras Ševčenko, il bardo ucraino, geniale autodidatta (traduzione di Paolo Galvagni) + altro

 

 

Nota :

Il blog di traduzione poetica LINGUAFRANCA nasce dall’esigenza di presentare in italiano le voci più interessanti della poesia del mondo, nella traduzione di autorevoli traduttori riuniti in un collettivo, a loro volta disponibili a ospitare altri contributi.
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IL FATTO QUOTIDIANO — 14 GIUGNO 2024


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Taras Ševčenko, il bardo ucraino, geniale autodidatta (traduzione di Paolo Galvagni)

 

Taras Ševčenko, il bardo ucraino, geniale autodidatta (traduzione di Paolo Galvagni)

 

Taras Ševčenko nasce nel 1814 nei pressi di Kyïv in una famiglia di servi della gleba. Rimasto orfano in giovane età, comincia a peregrinare da un villaggio all’altro, svolgendo i lavori più vari. Intanto frequenta per brevi periodi le scuole di campagna, rette da diaconi e chierici: impara a leggere e a scrivere, si appassiona al disegno. Entrato a servizio presso il nobile Pavlo Enhel’hardt, lo segue prima a Kyïv, poi a Vilnius. Nel 1831 arriva a Pietroburgo, allora capitale dell’impero zarista, dove viene collocato in uno studio artistico perché diventi un servo-artista (1). Qui avviene il fatto che cambierà la sua vita: Ivan Sošenko, un artista suo conterraneo, si entusiasma delle sue doti artistiche e lo presenta a illustri personaggi del tempo, tra cui il pittore Karl Brjullov e il poeta Vasilij Žukovskij, che nel 1838 riescono a riscattarlo dalla servitù: la somma necessaria per il riscatto si raggiunge grazie alla vendita di un quadro di Brjullov.

 

Come uomo libero, nel maggio del 1839 Ševčenko può iscriversi all’Accademia di Belle Arti, che frequenta con profitto. Inoltre, si dedica alla lettura con spirito da autodidatta. Spazia dalla storia dell’arte (Vasari) alla storia antica (Plutarco), ai maestri delle letterature europee (Dante, Shakespeare, Goethe, Hugo).

 

Il soggiorno pietroburghese è assai fecondo per la formazione del giovane. Frequenta i salotti più alla moda, i circoli più rinomati, incontra le personalità del tempo. Può assimilare lo spirito democratico e libertario, che aleggia nella società russa di quegli anni. La servitù della gleba (2), tristemente nota al giovane ucraino, è la questione che agita gran parte dell’intelligencija russa. Egli rivela doti letterarie e si dedica anche alla poesia. Nel 1840 esce la sua prima raccolta poetica Kobzar [Il menestrello(3). L’anno seguente escono altre sue liriche sull’almanacco «Lastivka» [La rondine]. Le opere che segnano l’esordio ševčenkiano vengono unanimemente salutate come la genuina espressione di un raro talento poetico. Però la maggioranza dei critici pietroburghesi deplora che siano scritte in ucraino.

 

Nel 1845 Ševčenko termina l’Accademia, specializzandosi nell’incisione e nell’acquaforte. Tra i quadri più famosi spiccano “La zingara – maga” (1841, acquerello), “Kateryna” (1842, olio), “Famiglia contadina” (1843, olio), la serie di acqueforti “Ucraina pittorica” (1844).

Tornato nella terra natia, trova impiego presso la Commissione Archeografica. Questa attività lo porta a viaggiare per tutta l’Ucraina: deve individuare oggetti, monumenti e palazzi di particolare valore artistico. Nel 1846 conosce lo storico Kostomarov, che lo introduce nella società Cirillo e Metodio, gruppo politico segreto, che lotta per un’unione spirituale e politica dei popoli slavi, tutti ugualmente liberi e indipendenti, per il riconoscimento dell’Ucraina come nazione autonoma. Nel 1847, in seguito a una perquisizione della polizia, la società viene sciolta. Ševčenko viene arrestato e trasportato a San Pietroburgo, dove rimane in carcere per due mesi. Ispirandosi a questa esperienza, scrive il ciclo “V kazemati” [Nella casamatta]. Condannato al servizio militare obbligatorio in Siberia, il poeta viene mandato sotto scorta prima a Orenburg, poi nella fortezza di Orsk. Sono anni tremendi: può sopportare il gelo e il lavoro pesante grazie alla tempra robusta. Nonostante il divieto di scrivere e dipingere, Ševčenko continua a dedicarsi alla poesia: porta, nascosto in uno stivale, un quadernetto di versi.

 

Nel 1857, dopo la morte dello zar Nicola II, grazie anche agli influenti amici pietroburghesi, l’esilio decennale del poeta ucraino può terminare. Egli ritorna nella capitale russa, dove trascorre gli ultimi anni di vita. Frequenta l’ambiente letterario, incontra i romanzieri Turgenev, Gončarov, il critico democratico Černyševskij. Nel 1860 esce Kobzar in una nuova edizione. Stroncato da una lunga malattia, si spegne nel marzo 1861.

 

Taras Ševčenko da umile servo della gleba si innalza alla dignità di poeta nazionale, segna la rinascita letteraria e culturale di tutto il suo popolo. È un geniale autodidatta, la cui poesia è l’espressione più genuina della cultura popolare, che certamente egli ha modo di conoscere nell’infanzia trascorsa nei campi e nei villaggi. Rappresenta quindi il passaggio dalla tradizione orale alla letteratura scritta.

 

1) Nell’impero zarista è normale che un nobile istruisca uno o più servi per avere a disposizione attori o artisti. 2) Lo zar Alessandro II abolisce la servitù della gleba nel 1861. 3) Kobzar, menestrello che accompagna il canto con la kobza, sorta di liuto ucraino a otto corde.

 

P. G.

***

 

È gravosa la prigionia, anche se,

in verità, non ho avuto la libertà.
Comunque si viveva in qualche modo,
sia pure in un campo estraneo…
Adesso occorre attendere
quella mala sorte, come un dio,
e l’attendo, sto in guardia,
maledico il mio malvagio intelletto,
che ha ingannato gli stolti,
soffoca la libertà in una pozza.
Mi si gela il cuore a ricordare che
non in Ucraina sarò sepolto,
che non in Ucraina vivrò,
amerò la gente e il Signore.

[Tra il 19 e il 30 maggio 1847, San Pietroburgo]

***

Pensieri miei, pensieri miei,

voi miei soli,
non abbandonatemi almeno voi
nell’ora malvagia.
Arrivate, colombi miei
con le ali grigie,
dall’ampio Dnipro
alla steppa per passeggiare
con i miseri kirghizi,
sono ormai miseri,
ormai spogli… E in libertà
pregano ancora Dio.
Arrivate, miei cari,
con discorsi quieti
vi saluterò, come bimbi,
e piangerò con voi.

[Seconda metà del 1847, Fortezza di Orsk]

***

Il sole tramonta, neri sono i monti,
un uccellino si quieta, muto è il campo,
liete sono le persone per il riposo,
E io guardo… volo col cuore
a un buio giardinetto, in Ucraina,
volo, volo, penso un pensiero,
e il cuore sembra riposare.
Nero il campo, il bosco, i monti,
esce nel cielo azzurro una stella.
Oh stella! Stella! – e le lacrime scorrono.
Forse sei già sorta anche in Ucraina?
Forse gli occhi castani ti cercano
nel cielo azzurro? Forse ti dimenticano?
Se hanno dimenticato, possano assopirsi,
per non sentire della mia sorte.

[Seconda metà del 1847, Fortezza di Orsk]

***

 

 

 

Autoritratto 1843

 

 

Ognuno ha il proprio destino

  E la sua larga strada,

  Chi costruisce, chi distrugge,

  C’è chi avido 

  Guarda al confine del mondo,

  Se c’è un paese

  Da prendere e

  Portare con se alla tomba.

  “Il sogno”

 

 

A me è indifferente 

se vivrò in Ucraina o no.
Che qualcuno mi ricorderà o mi dimenticherà
nella neve in una terra straniera,

A me è indifferente.

Nella servitù sono cresciuto tra gli estranei,
E, non rimpianto dai suoi,
Nella servitù, piangendo, morirò,
E porterò tutto con me,
Non lascerò una piccola traccia
Nella nostra gloriosa Ucraina,
Sulla nostra – non è nostra terra.
E il padre con il figlio non si ricorderanno,
Non dirà al figlio: “Prega,
Prega, mio figlio: per l’Ucraina
È stato torturato”.

A me è indifferente se pregherà
Quel figlio o no… 

Ma non mi è indifferente

Quando la gente malvagia addormenterà l’Ucraina,
E i disonesti la sveglieranno derubata e in fiamme,
Oh, non mi è indifferente!

 

 

 La mia stella serale,
Scendi sulla montagna,
Parleremo serenamente
Nella servitù con te.

 

Raccontami come dietro il monte

Il sole tramonta,

Come nel Dnipro l’arcobaleno

Sta prestando l’acqua.

 

 

 

“Caterina”, 1842

 

 

 

 

 

ucrainistica.blogspot.com

marzo 2020

https://ucrainistica.blogspot.com/2020/03/taras-shevchenko-sevcenko.html

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