GUSTAV HERLING ( 1919 – 2000 ), autore polacco famoso per ” Un mondo a parte “, dove parla della sua esperienza in un campo di lavoro russo– + altro

 

 

 

 

Un mondo a parte - Gustaw Herling - copertina

 

Un mondo a parte

 

 

Un mondo a parte - Gustaw Herling - copertina

2017

 

 

Con la pubblicazione nel 1951, in Gran Bretagna, di “Un mondo a parte” Bertrand Russel commentò: “Dei molti libri che ho letto sulle esperienze delle prigioni e dei campi di lavoro sovietici, questo libro di Herling è il più impressionante e quello scritto meglio. Un libro estremamente interessante e del più profondo interesse psicologico”. Identici giudizi espressero Albert Camus e Ignazio Silone.

Tra i ghiacci della Siberia, i prigionieri lavorano senza sosta nei boschi a temperature polari: nello stomaco brodo di cavoli e pochi grammi di pane. Sola via d’uscita le automutilazioni che aprono le porte dell’ospedale; unico paradiso, qualche giorno di riposo e una coperta. Con una scrittura di straziante impersonalità che mette il lettore davanti ai nudi fatti, Gustaw Herling – intellettuale cosmopolita che ha vissuto sulla propria pelle lo scandalo del Male nella storia del Secolo breve – racconta il gulag in questo libro-testimonianza che è quasi un Bildungsroman ( romanzo di formazione ). Pubblicato a Londra nel 1951, in Italia nel 1958 e solo negli anni Ottanta in Polonia, “Un mondo a parte” – ha scritto Ignazio Silone – «malgrado tutti gli orrori che descrive, è un libro di pietà e di speranza».

 

 

 

GARIWO – LA FORESTA DEI GIUSTI
https://it.gariwo.net/giusti/totalitarismo-sovietico/gustaw-herling-1296.html

 

 

GUSTAW HERLING (1919 – 2000)

lo scrittore del Male del “mondo a parte”

 

 

NOTA : Commissariato del popolo per gli affari interni, noto anche con l’acronimo  NKVD(in russo Народный комиссариат внутренних дел, НКВД, Narodnyj
https://it.wikipedia.org/wiki/Commissariato_del_popolo_per_gli_affari_interni

 

 

 

Gustaw Herling-Grudziński, scherzando, si definiva un “polacco-napoletano”. Era infatti nato a Kielce, nel sud della Polonia ed è morto (e sepolto) a Napoli, dove era vissuto dal 1955, dopo aver sposato, in seconde nozze, Lidia, figlia di Benedetto Croce.

Era di origini ebraiche (nasce a Kielce, Polonia del sud, ilo 20 maggio 1919, anche se su questo aspetto preferì sempre mantenere, in pubblico, una certa riservatezza. Alla domanda se fosse ebreo, rispondeva di esser polacco. Molti si scandalizzavano per questa reticenza. Ma spiegava che il suo atteggiamento era dovuto al fatto di non aver vissuto di persona l’Olocausto e di non voler usurpare un ruolo non suo: quello dello scrittore ebreo sopravvissuto (G. Herling-Grudziński, Dziennik pisany nocą 1989-1992, Diario scritto di notte 1989-1992, Czytelnik, Warszawa 1997, p. 250).

Entrava in gioco però, in questa sorta di occultamento delle sue origini, anche il difficile rapporto col padre patriarca e il trauma per la prematura scomparsa della madre, Dorota Bryczkowska: (“Mia madre, che amavo molto, è morta giovane, aveva appena quarant’anni. Sono rimasto solo con mio padre, anch’egli ebreo e proprietario di un mulino a Kielce, e da allora hanno avuto inizio nella mia vita diverse traversie che hanno reso la mia giovinezza molto difficile”).

 

Studiò letteratura a Varsavia e, dopo lo scoppio della guerra, si rifugiò nella Polonia occupata, il 17 settembre, dai sovietici (in base al Patto Ribbentrop-Molotov).

Nel marzo 1940, ricercato dalla polizia segreta sovietica, tentò di passare in Lituania per andare in Francia o in Inghilterra a combattere con l’esercito polacco ricostituito in esilio. A causa di una soffiata, fu arrestato e rinchiuso nella prigione di Vitebsk, in Bielorussia. Durante l’interrogatorio disse che, come molti suoi coetanei, voleva andare a combattere contro i tedeschi. “Non sapete,” gli fu chiesto, “che l’Unione Sovietica ha firmato un trattato di amicizia con la Germania?”.

Fu così condannato a cinque anni e inviato al campo di lavoro di Ercevo, che faceva parte del comprensorio concentrazionario di Kargopol’, vicino ad Arcangelo (sul Mar Bianco).

Tornò libero il 20 gennaio del 1942, grazie al ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra l’Urss e la Polonia, dopo l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica. Assieme a molti altri polacchi scampati al Gulag si arruolò, in Kazakistan, nelle truppe del generale Władysław Anders che combattevano, sotto bandiera polacca, nell’esercito inglese e, nel dicembre 1943, sbarcarono in Italia e combatterono, tra l’altro, a Monte Cassino.

 

Basandosi sulle sue esperienze nel Gulag, Herling ha scritto uno dei libri più importanti del Novecento: Un mondo a parte (Inny świat. Zapiski sowieckie) che fu pubblicato inizialmente in inglese (A World Apart: a Memoir of the Gulag), nel 1951, ed ebbe un grande successo. Nell’introduzione, il filosofo Bertrand Russell scrisse: “Dei molti libri che ho letto sulle esperienze delle vittime delle prigioni e dei campi di lavoro sovietici, Un mondo a parte di Gustaw Herling è il più impressionante e quello scritto meglio. Egli possiede a un grado assai raro il potere della descrizione semplice e vivida, ed è del tutto impossibile mettere in dubbio la sua sincerità in ogni punto. I compagni di strada che rifiutano di credere all’evidenza di libri come quelli di Herling, sono necessariamente gente destituita di umanità, perché se così non fosse essi non respingerebbero l’evidenza, ma al contrario ne sarebbero turbati…”.

Il libro fu osteggiato in Polonia, Francia e anche in Italia perché faceva vedere come i Gulag sovietici furono una “macchina di annientamento” pari ai lager nazisti:

“Ora che ho letto qualche testimonianza sui campi di concentramento tedeschi mi rendo conto che un trasferimento a Kolyma, nei campi di lavoro sovietici, era l’equivalente della scelta delle camere a gas dei tedeschi. L’analogia diviene ancora più precisa quando si considera che, come per le camere a gas, i prigionieri per Kolyma erano presi tra quelli in peggior stato di salute; in Russia tuttavia non venivano inviati a una morte immediata, ma a un lavoro durissimo che richiedeva una forza e una resistenza fisica eccezionali”.

Herling ricordava spesso il finale del saggio autobiografico del poeta russo Iosif Brodskij, intitolato In una stanza e mezzo (1985), dove il figlio parla con il padre del passato: “Mi sorpresi a domandargli quali campi di concentramento, secondo lui, fossero peggiori: quelli dei nazisti o i nostri. ‘Per conto mio,’ fu la risposta ‘mi farei bruciare sul rogo, subito, piuttosto che morire di morte lenta e scoprire che senso ha’.”

Herling conosceva perfettamente e comprendeva a fondo la letteratura e la cultura russa: non odiava, al contrario di molti suoi connazionali, i russi. Tra gli scrittori russi, si sentiva particolarmente vicino a Varlam Šalamov, autore de I racconti di Kolyma (VEDI), il testimone più profondo della realtà del Gulag, al quale dedicò, nel Diario scritto di notte (1978), un bellissimo racconto che descrive la sua terribile fine nel manicomio dove il KGB lo aveva fatto rinchiudere.

È come se Šalamov, con la sua opera, affiancasse e completasse idealmente Un mondo a parte. A Herling interessava in particolare un aspetto che Šalamov, seppur ateo, e in conflitto con il padre pope, ha messo in luce: quello della fede religiosa come risorsa per sopravvivere e non trasformarsi in bestie che schiacciano gli altri.

Proprio riprendendo una sua idea esposta in Un mondo a parte (“l’uomo può essere umano solo in condizioni umane, e considero assurdo giudicarlo severamente dalle azioni che egli compie in condizioni disumane”), Herling scrive: “Il lato atroce dell’esperienza concentrazionaria è la mancanza di scelta, una cosa davvero orrenda, che pregiudica qualsiasi possibilità di vita morale. Perciò è giusto quanto dice Šalamov a proposito dei credenti che più spesso sono sopravvissuti: credere significa avere una chance, e anche la speranza in un’altra vita”.

In fondo, in questa impossibilità, o grandissima difficoltà, ad agire bene sta l’essenza del Male.

Nel suo “testamento spirituale”, Variazioni sulle tenebre. Conversazione sul male (1999), dopo aver definito il Novecento “un secolo del Male”, Herling si dichiara “manicheo”: convinto cioè che il Male esista davvero come entità autonoma.

Il Male Herling lo vedeva tangibile e si lamentava che la gente fosse diventata insensibile a esso, quasi assuefatta. Lo preoccupava (come preoccupava Primo Levi nel finale de I sommersi e i salvati) che il Bene e il Male non siano riconoscibili: “E’ come il cancro, una modificazione interna non immediatamente percepibile. E’ una devastante malattia spirituale; è necessario del tempo per rinvenire la malvagità dell’uomo (…) Quando leggo i giornali o vedo la televisione mi rendo conto che la gente non ha più il senso del Bene e del Male, non percepisce nemmeno la propria colpevolezza. C’è un’atrofia della sensibilità. Il Male si espande a tal punto che investe anche le persone che sembravano buone”.

Rifacendosi alla propria esperienza nel Gulag, e alle considerazioni di Šalamov, Herling concludeva la sua conversazione sostenendo che il rimedio contro il Male sia la solitudine:

“Secondo Šalamov, l’unica cosa che difende dal Male, nella cui esistenza crede fermamente dopo l’esperienza della Kolyma, è la solitudine. (…) Pure io, sebbene fossi molto giovane allora, ventuno, ventidue anni, mi resi conto istintivamente che solo così potevo salvarmi dal terribile male dei campi di concentramento.(…) Avevo amici, ma mi sentivo più forte quando ero solo. Quando tutti si addormentavano, io restavo sveglio, e solo, e quelli erano per me i momenti più belli. (…) Ritrovavo la mia identità originaria rimanendo sveglio. La solitudine era allora una vera difesa contro il Male”.

La fermezza morale di Herling si vede bene nel finale di Un mondo a parte: quando, nel giugno 1945, a Roma, il suo ex-compagno di prigionia, un architetto ebreo-polacco, gli confessa di aver denunciato e quindi mandato a morte quattro loro compagni tedeschi, completamente innocenti, per poter esser trasferito in un campo meno pesante. Vorrebbe che Herling gli dicesse “ti capisco”, ma lui si rifiuta addirittura di parlargli, lasciandolo solo col peso dei suoi rimorsi.

Libri:

– Un mondo a parte, trad. Gaspare Magi, Mondadori, Milano 2017 [con un dossier di testi e documenti e introduzione di Francesco M. Cataluccio];
– Dialogo su Solzhennitsyn con Gustavo Herling, in: Nicola Chiaromonte, Silenzio e parole, Milano: Rizzoli, 1978, pp. 225-33;
– Diario scritto di notte, trad. Donatella Tozzetti, a cura du Francesco M. Cataluccio, Feltrinelli, Milano1992;
– L’isola, trad. Donatella Tozzetti, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2003
– Gli spettri della rivoluzione e altri saggi, introduzione di Francesco M. Cataluccio, Ponte alle Grazie, Firenze 1994;
– Ritratto veneziano, trad. Mauro Martini e Donatella Tozzetti, Feltrinelli, Milano 1995;
– Le perle di Vermeer trad. Laura Quercioli Mincer e Piero Di Nepi, introduzione di Francesco M. Cataluccio, Fazi, Roma 1997, 2004
– Don Ildebrando e altri racconti, trad. Mauro Martini, introduzione di Francesco M. Cataluccio, Feltrinelli, Milano 1999;
– Ricordare, raccontare. Conversazione su Šalamov, con Piero Sinatti, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 1999;
– Variazioni sulle tenebre. Conversazioni sul male, a cura di Édith de la Héronnière, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2000;
– Breve racconto di me stesso, a cura di Marta Herling, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2001;
– Introduzione, in Nikolaj Berdjaev, Gli spiriti della rivoluzione russa, a cura di Mauro Martini, Bruno Mondadori, Milano 2001;
– Requiem per il campanaro, trad. Vera Verdiani, postfazione di Francesco M. Cataluccio, L’ancora del Mediterraneo, Napoli, 2003;
– La notte bianca dell’amore, trad. Vera Verdiani, con una conversazione con Wlodzimierz Bolecki a cura di Marta Herling, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2004;
– Il pellegrino delle libertà. Saggi e racconti, a cura di Marta Herling, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2006.
– Etica e letteratura, a cura di Krystyna Jaworska, con un saggio introduttivo di Wlodzimierz Bolecki e una testimonianza di Goffredo Fofi; cronologia redatta da Marta Herling, Mondadori Milano 2019.

 

 

 

 

Gustaw Herling e il suo mondo

La Storia, il coraggio civile e la libertà di scrivere

a cura di Andrea F. De Carlo e Marta Herling

Collana: Alia, 17
Pubblicazione: Luglio 2022

 

Questo volume, che raccoglie gli Atti del festival letterario Napoli di Herling tenutosi nel 2019 nel centenario della nascita dello scrittore

nel link, c’è un video del dibattito di Radio Radicale
https://www.viella.it/libro/9788833138886

 

segue da :

Governo polacco
https://www.gov.pl/web/italia/marta-herling

 

 

 

TESTIMONIANZA DELLA FIGLIA MARTA HERLING

 

Volti polacchi

 

Marta Herling, nipote di Benedetto Croce, torna nel “buen retiro” di Pollone - La Stampa

 

se vuoi leggere, apri il link sotto:

Marta Herling, nipote di Benedetto Croce, torna nel “buen retiro” di Pollone 

FOTO  E ARTICOLO DELLA STAMPA – 20. 08-2021

 

 

 

Sebbene sia nata a Napoli, Marta Herling, porta un cognome di particolare importanza nella cultura polacca. Le sue radici familiari affondano inoltre nella terra italiana e nella sua storia perché suo nonno era Benedetto Croce. Come ha riscoperto la sua identità polacca in questa storia familiare? “Ho esplorato, passo dopo passo, un mondo a parte”.

Il padre di Marta, Gustaw Herling Grudziński, era un illustre scrittore il cui destino è stato segnato dolorosamente dalla storia polacca. La sua vita è stata sconosciuta a Marta per molti anni ma da quando l’ha scoperta, ha deciso che sarebbe stata la sua missione divulgare le opere e le memorie paterne. Ne parla con grande entusiasmo: “A Napoli, la vita di mio padre non era facile. Nessuno era in grado di capire quello che provasse. Quando ero piccola, il ricordo più vivo che ho di lui è il suono dei suoi passi nella notte, nello studio dove era solito rinchiudersi, isolandosi dal mondo, per lavorare sui suoi libri. Il suo studio era diventato un piccolo angolo di Polonia, dove egli era solito scrivere per interi giorni e ricevere i suoi ospiti polacchi. Raramente ne ho avuto accesso, era il suo mondo, un mondo nel quale era totalmente immerso”.

Tutto questo non ha fatto che alimentare la curiosità di Marta, per questo ha dedicato i suoi anni di università alla conoscenza del paese natale del padre e allo studio della lingua polacca. “Mio padre per me era una figura affascinante e allo stesso tempo misteriosa. Decisi per questo di scoprire il suo mistero”.

“Sono andata in Polonia per la prima volta nel 1967, insieme a mia madre, perché a quel tempo a mio padre, in esilio, era vietato l’accesso. Chi fosse veramente Gustaw Herling Grudziński l’ho compreso con il viaggio successivo, nel 1979. All’università, ogni volta che mi presentavo, percepivo il rispetto che le persone mostravano verso il mio cognome. Questo è stato molto importante perché in quel periodo, in Italia, mio padre non era così conosciuto e compreso”.

Scoprire la Polonia, la sua lingua, la sua cultura, per Marta ha significato ritrovare la parte mancante di se. Durante i viaggi a Varsavia e nei luoghi d’origine della famiglia paterna, ha ritrovato la vera identità del padre, finora a lei sconosciuta. Un giorno, lo scrittore le chiese di tenere un diario del suo viaggio. Al suo ritorno in Italia nel leggere alcuni stralci dei suoi scritti il padre si commosse: era lei ora, la figlia, a fargli conoscere il suo paese.

Gustaw Herling Grudziński fece ritorno in Polonia solo nel 1991, dopo un esilio forzato di mezzo secolo. “Ricordo molto bene quel volo da Roma a Varsavia perché avevo accompagnato mio padre insieme a mia madre. Era da poco decollato l’aereo quando incominciò a raccontarci della sua infanzia, dei suoi genitori e dei suoi anni all’università. Udii raccontare storie mai sentite prima. Inizialmente rimasi senza parole, solo in seguito mi resi conto che soltanto al suo ritorno in Polonia, avrebbe riacquistato un senso per lui parlare degli anni antecedenti la guerra. Non meno toccante è stato il momento in cui mio padre è sbarcato all’aeroporto Okęcie. Ad aspettarlo c’era sua sorella, gli amici, molti lettori e giornalisti. Sembrava per un attimo come se non avesse mai lasciato la Polonia”.

 

 

bibliopolis– 2023
Una raccolta di articoli dal “Mondo” di Pannunzio a “Tempo presente” di Silone e Chiaromonte, al “Corriere della Sera” di Spadolini e al “Giornale” di Montanelli, fino alla “Stampa” e al “Mattino” negli anni ’90..
https://www.poloniaeuropae.it/diario-di-giorno-per-la-seconda-patria/

 

 

IL MANIFESTO  19 MARZO 2023
https://ilmanifesto.it/herling-lurgenza-della-storia-e-della-politica-in-una-lezione-di-stile

 

Herling, l’urgenza della storia e della politica in una lezione di stile

PERSONAGGI DEL SECOLO. Gustaw Herling (1919-2000) si definiva umoristicamente «polacco napoletano»: e a Napoli, dove si stabilì dopo aver sposato una figlia di Croce, esce ora la corposa raccolta degli Scritti italiani, due volumi Bibliopolis. La sua esistenza drammatica e avventurosa è sviscerata da studiosi e testimoni nel libro «Gustaw Herling e il suo mondo», Viella

 

Herling, l’urgenza della storia e della politica in una lezione di stile

Gustaw Herling a Napoli, Galleria San Carlo, nel 1988, foto di Bohdan Paczowski

prof. Lett. Italiana a Roma Tor Vergata dal 1988 al 2018; dal 2018 Letteratura italiana contemporanea. Ha vinto molti premi per la saggistica
https://it.wikipedia.org/wiki/Raffaele_Manica

 

Quando Gustaw Herling arriva a Sorrento nel 1943 – fuciliere del Secondo corpo d’Armata polacco del generale Anders che sta risalendo l’Italia – ha alle spalle l’esperienza del gulag sovietico e ha davanti quella dell’esilio. Nato nel 1919, alla spartizione della sua terra tra nazisti e sovietici nel 1939, Herling è tra gli organizzatori della resistenza e viene arrestato dalla polizia segreta di Stalin mentre tenta di raggiungere l’Occidente: dopo la carcerazione, nel 1940 è condannato a cinque anni di gulag, nel campo di Ercevo. Nel gennaio 1942, liberato in seguito all’amnistia per i prigionieri polacchi, cominciano anni di peregrinazione, fino a Kazakistan e Iran, Iraq, Palestina, Egitto per unirsi alla missione militare e per l’addestramento.

A Sorrento, convalescente dopo un ricovero, nel marzo 1944 va in visita a Benedetto Croce. Il filosofo annota nei suoi diari di aver ricevuto quel giovanotto che ha letto le sue opere in tedesco e – sappiamo da Herling – resta stupito nel ricevere informazioni sulla diffusione dell’Estetica e del suo pensiero filosofico in Polonia. Di Croce, Herling diventerà genero, sposandone la figlia Lidia in seconde nozze nel 1951.

Intanto ha preso parte alle battaglie di Montecassino e sulla linea gotica. Decorato al valor militare, subito dopo la guerra, a Roma, ha diretto iniziative culturali e letterarie, scegliendo l’esilio dopo Jalta e all’instaurarsi del regime comunista in Polonia. Inizia di lì a poco la pubblicazione della rivista «Kultura», voce decisiva degli intellettuali polacchi all’estero e del dissenso politico contro il totalitarismo.

Una vita così avventurosa, senza tratti estetizzanti, avrebbe potuto dare materiale a schiere di narratori e di memorialisti: in Herling, oltre che a memorabili racconti, ha contribuito alla serietà, a formulare giudizi cristallini, duri e severi, tenendo dritta la rotta verso la giustizia e la libertà. Il libro nato dall’esperienza di Ercevo, Un mondo a parte, tra le prime testimonianze sui gulag a vedere la luce, si è assestato con forza tranquilla nel suo posto di classico, non senza «strane» vicende in Italia: stampato due volte senza nessuna fortuna, ha dovuto aspettare la metà degli anni novanta per rendersi visibile, nel momento di quella che si può pur chiamare la «riscoperta» di Herling, passata in quegli stessi anni per la pubblicazione di una prima scelta di pagine dal suo libro capitale, Diario scritto di notte, e dei suoi saggi, Gli spettri della rivoluzione (entrambi in collaborazione con Francesco Cataluccio), nonché attraverso il rifiuto einaudiano di pubblicare un suo dialogo pensato quale introduzione ai Racconti di Kolyma di Varlam Šalamov.

 

«Il Mondo» e «Tempo presente»

In Italia Herling collabora dal 1954 al «Mondo» di Pannunzio e poi a «Tempo presente» di Ignazio Silone e di Nicola Chiaromonte; in seguito col Corriere della Sera diretto da Giovanni Spadolini e, per vicinanza con Enzo Bettiza, col Giornale, dal quale si allontanerà in seguito alle aperture di credito concesse da Montanelli al generale Jaruzelski durante la stretta militare nella Polonia di Solidarnosc, che si muove sotto lo sguardo del Papa polacco.

Infine, al Mattino di Napoli, la città dove ha deciso di vivere (e dove muore nel 2000), definendosi con umorismo, sulla scia di un film di Totò, il polacco napoletano. Qualche trasferta se la concederà, regolarmente, a Parigi, durante le riunioni periodiche di «Kultura» a Maisons-Laffitte: «continua a scrivere – gli dirà in una lettera del 1972 Zbigniew Herbert, per Herling un’anima fraterna –. I giovani in Polonia ti leggono con entusiasmo. Ciò che preferisco di te è il tuo mélange di collera e di scetticismo» (la si legge in Combat et création).

Fino alla fine detesterà una parola: «riabilitazione», troppo in odore di cattiva fede, perché non si spiegava come mai la riabilitazione dovesse arrivare da coloro che erano accecati nel condannare e che erano sempre lì, sempre gli stessi (o al massimo i loro eredi) a far la morale eterna a chi aveva subito i danni del loro accecamento. L’argomento principe degli scritti italiani di Herling è quanto succede all’Est, con particolare attenzione alle ragioni del dissenso, ma il lettore non dimentica nemmeno per un momento che Herling nasce critico letterario, così che basta talvolta una frase, un rigo appena, a lasciar intendere quanto il suo giudizio debba a quella formazione. Non è un letterato che parla di civiltà e di politica, ma un esule che sa aggiungere allo sguardo politico, civile e morale una tensione della quale solo la letteratura è capace.

E sotto gli occhi del lettore passano tanti scrittori, da Pasternak a Solženicyn, da Czapski a Miłosz, e tante idee e riflessioni sull’equivalenza dei totalitarismi e sul male nel Novecento.

Oltre Un mondo a parte, il titolo più celebre di Herling è Diario scritto di notte, che va dal 1970 al 2000: migliaia di pagine pensate e scritte in polacco dove si susseguono articoli, riflessioni, saggi, novelle, commenti: un’opera di grande estensione, un’ampia scelta della quale è stata pubblicata nel «Meridiano» Mondadori Etica e letteratura nel 2019 a cura di Krystyna Jaworska: in coda allo stesso volume, aperto da una irrinunciabile cronologia firmata da Marta Herling, si leggeva il catalogo degli scritti italiani, allora «in preparazione» e che oggi escono in due splendidi volumi: Gustaw Herling, Scritti italiani 1944-2000 (a cura di Magdalena Sniedziewska, pp. XXVIII-1278, Bibliopolis / Instytut Literatury, € 60,00); vi vanno affiancati, per la ricostruzione di molteplici aspetti della biografia e dell’opera, gli interventi contenuti in Gustaw Herling e il suo mondo La storia, il coraggio civile e la libertà di scrivere (a cura di Andrea F. De Carlo e Marta Herling, Viella, pp. 430, € 35,00)

Non si può darne conto minutamente, ma sia consentito ricordare l’ampia ricostruzione del sentire geopolitico di Herling di Paolo Morawski e il nome di Wojciech Karpinski, al quale le cose di Herling furono familiari quanto quelle di Chiaromonte e che scrisse (in uno dei saggi usciti in francese sotto il titolo Ces livres de grand chemin) di «un’opera difficile da classificare, che parte per destinazioni diverse e che ricomincia, ancora e ogni volta di nuovo, a definire il posto dell’uomo nel mondo contemporaneo. Un’opera difficile da situare sulla mappa della letteratura: segretamente moderna, si stringe coraggiosamente ai i generi classici».

Un giudizio che si riflette ora sugli scritti italiani, i quali s’inarcano come un’opera dal flusso continuo, che si frange sugli avvenimenti, li avvolge, li riporta a terra, si ricompone: come un diario scritto di giorno che nelle sue singole pagine e nel suo insieme va molto oltre le occasioni all’origine dei pezzi che lo compongono. Un’energia irruenta – che trova oggetti diversi nel corso degli anni e resta fedele a se stessa perché quegli oggetti appartengono a una medesima serie – ma tenuta entro la giurisdizione di una limpidezza argomentativa che va dritta al sodo, alla questione centrale delle cose. Se per assurdo volessimo sottrarre queste pagine all’urgenza della politica e della storia dalle quali furono originate, ne resterebbe una lezione di umanità straordinaria e di stile di pensiero: ma a quell’urgenza non si può né si deve sottrarle. Diventano così il racconto di buona parte del secolo scorso affidato a lettere pubbliche dall’esilio e la testimonianza di una lunga lotta contro la menzogna: vale qui quanto scritto nel Diario: «voglio essere un cronista. La mia ambizione è dipingere, come posso, l’epoca nella quale vivo (…) vedo me stesso come un piccolo autoritratto nell’angolo di un grande quadro».

 

La polemica su Pasternak

 

Di tutte le pagine che si potrebbero citare ce n’è una che, nella sua brevità, mi pare esemplare della mente di Herling. 1958: nella polemica sul Dottor Živago la «Literaturnaja Gazeta» cita, tagliando maldestramente, un giudizio di Herling, che così replica sul «Mondo»: i difetti del romanzo non intaccano la grandezza dell’opera: «Dostoevskij ha scritto una sola cosa ineccepibile dal punto di vista della struttura e tecnica del romanzo – Delitto e castigo. Ma ciò non cambia in nessun modo il fatto che – se è ammissibile in casi simili stabilire una graduatoria di valore – la grandezza dei Demoni, dei Fratelli Karamazov e dell’Idiota supera spesso la perfezione narrativa della storia dello studente Raskolnicov». Un esempio minimo e imperfetto della grandezza degli Scritti italiani.

 

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