DELMORE SCHWARTZ , Nei sogni cominciano le responsabilità– traduttore : Attilio Verardi– NERI POZZA, 2013 + DELMORE SCHWARZ – America ! America ! Ventura, 2022

 

 

 

NERI POZZA, 2013

Traduttore : Attilio Verardi

 

 

 

DELMORE SCHWARTZ

Nei sogni cominciano le responsabilità

 

Poeta e scrittore ineguagliabile, personaggio versatile e affascinante, nonché autodistruttivo, tanto da finire i suoi giorni solo e alcolizzato in uno squallido albergo di New York, Delmore Schwartz è a tutti gli effetti una figura leggendaria della letteratura statunitense. John Berryman e Robert Lowell gli dedicarono alcune poesie, Lou Reed, che lo ebbe come professore alla Siracuse University, gli dedicò una canzone (European Son) e Saul Bellow ne fece addirittura il protagonista del suo romanzo Il dono di Humboldt.
Ancora oggi, buona parte della scena intellettuale americana sa di essere in debito, quanto a ispirazione, verso la scrittura di Delmore Schwartz, soprattutto verso i suoi racconti e, in particolare, verso la straordinaria raccolta che qui presentiamo.
Con rara maestria letteraria, Schwartz affronta in queste pagine il registro onirico, come Nei sogni cominciano le responsabilità, il racconto che fornisce il titolo all’intera raccolta, dove un ragazzo assiste per incanto a un film incentrato sul primo incontro dei suoi genitori e, in un crescendo angoscioso, avverte sempre di più la necessità di entrare nelle immagini per ammonirli entrambi e convincerli a non concepire; abbraccia la satira lucida e sofferta degli ambienti intellettuali newyorkesi, tanto pretenziosi quanto vulnerabili, in Il mondo è un matrimonio e nel caustico Capodanno; schiude al lettore vivi spaccati di vita borghese, al tempo stesso ironici e commoventi, come in America! America! e in I figli sono il senso della vita. Storie che mostrano una straordinaria capacità di acutezza e sintesi oltre a uno stile incomparabile.

 

 

COME SPESSO SUCCEDE, L’EDITORE CI OFFRE ALCUNE PAGINE DA LEGGERE IN ANTEPRIMA:

  1. L’introduzione di Lou Reed; .
  2. l primo racconto, forse intero, che si  chiama : ” Il mondo è un matrimonio “

 

apri qui per leggere

https://www.google.it/books/edition/Nei_sogni_cominciano_le_responsabilit%C3%A0/js_bCgAAQBAJ?hl=it&gbpv=1&printsec=frontcover

 

 

COMMENTI DI LETTORI

Cristiano Cant

13 ottobre 2017

Come posso trasmettere la felicità di parlare di questo libro? Un segno di sorriso sul fondo di una tazza di caffè, davanzali di neve a inizio giornata in una New York immersa nel silenzio, attimi meno che attimi, ma ugualmente densi e lunghi, bastevoli a saziare e a salvare una vita: “il tempo è una vecchia storia, una vecchia scusa”. Un corteo di nobili perdenti, sognatori irrisolti, fragili e infelici, amici preparatissimi e colti, ma scansati dalle mascelle del sociale che finisce sempre per scegliere “la marmaglia, i succedanei, le mezzecalze, le mezzecartucce, le mezzeseghe…”. E contro questi precetti, contro le avide cecità del prossimo, le furberie corali, gli sgambetti dietro l’angolo, sempre e soltanto il Dare e il Bene come unici timoni a contrastare il canagliume diffuso e l’ovvietà di esistenze da nulla, convinti, per contrasto, che il bene fatto ritornerà nel tempo, non scorderà quelle azioni, ripagandole. C’è una novella in tal senso (si intitola Cinembola) che spezza il cuore in tutto il suo andamento e che è davvero specchio e taglio di tutta questa morale, l’unica in assoluto che migliori le cose. Una grande riflessione sul tempo, sul finire della vita, sul bisogno dell’altro e sul dargli piacere nonostante si cada di continuo, giorno per giorno, senza toccarne le ferite ma consapevoli che si stanno formando, invisibili, innocue fattezze di una fine presto o tardi arriva. Ma la meraviglia che vorrei far passare è che è un libro niente affatto triste. Aleggia come una tenerezza cosciente, un realismo giocato con ironia rassegnata dove complessità e stranezze sono messe in conto e cadenzano i giorni ma senza sopraffarli, scorrendo accanto a gesti, a conversazioni vivaci, amicizie vere, e tanto Amore. E’ lì la gioia di cui parlavo all’inizio, quel guardare, anche nella frana,il ramo di insensata speranza a cui aggrapparsi e tentare l’allungo. Poi sarà lo stesso un cadere, ma fra un momento e l’altro quanta poesia c’è stata! Commovente e geniale !

 

 

 

Poche volte vi capiterà nella vita di leggere racconti di una tale bellezza.

 

 

 

 

IL GIORNALE  9 NOVEMBRE  2022
https://www.ilgiornale.it/news/schwartz-angelo-e-demone-poesia-americana-2083483.html

 

Schwartz, angelo e demone della poesia americana

Per la prima volta esce in Italia un’antologia di versi dell’autore amato da Bellow e Lou Reed

 

 

 

 

Schwartz, angelo e demone della poesia americana

 

 

In un passaggio, Saul Bellow scrive che «era impossibilmente bello». E poi scrive, riferendo le parole di Von Humboldt Fleisher, cioè di Delmore Schwartz, «E da ultimo ricorda, non siamo esseri naturali, siamo esseri soprannaturali». Nato nel 1913 a Brooklyn da ebrei rumeni, cresciuto per lo più orfano genitori divorziati, papà che muore quando lui è ragazzo, piccola eredità che gli consente di frequentare la New York University Delmore Schwartz sembrava un angelo. Era bello, soprannaturale, impossibile. Sembrava uscito da uno dei rotoli apocrifi del Primo Testamento, il Libro dei Vigilanti, per dire, che brulicano di angeli meravigliosi e crudeli, sembrano vampiri. Ai confini del mondo, è detto, ci sono le inquietanti prigioni degli angeli ribelli. Dell’angelo, Delmore Schwartz portava lo stigma: l’ascesa, incredibile; la caduta, micidiale; il volto, abbacinante. Incline a clamorose tenerezze «Cerchiamo di essere informati sulle autentiche enigmatiche divinità», attacca in una poesia dedicata a L’amore e Marilyn Monroe non poteva essere amato: tutto ciò che Delmore tocca questo è il carisma, la condanna deperisce, muore. Eppure, chi passa attraverso Delmore, chi si nutre della sua carne, risorge, diventa un genio.

Per sdebitarsi con lui, Saul Bellow ha scritto un romanzo, Il dono di Humboldt, dedicato agli anni gloriosi di Delmore Schwartz, «scrittore d’avanguardia… bello, biondo, corpulento, serio e spiritoso, colto. Insomma, aveva tutto». Il romanzo gli consentì il Pulitzer, nel 1976. Delmore Schwartz era morto dieci anni prima, d’estate, al Columbia Hotel. Vagava di albergo in albergo. Reprobo e recluso. Angelo alienato. Pare che prima abbia distrutto la camera. Aveva 52 anni. Lou Reed, un altro graziato dal genio angelico e scismatico di Delmore, in una memoria del 2012, O Delmore How I Miss You, lo ricorda nei suoi ultimi anni. Era il suo insegnante alla Syracuse University. «Eri troppo bravo per sopravvivere. Le ispirazioni ti hanno carpito. Le aspettative. La fama… Ho idolatrato il tuo ingegno e la tua conoscenza, immane. Sei e sarai sempre il solo». Per tre giorni nessuno ha reclamato il corpo di Delmore Schwartz, l’angelo ribelle della poesia americana. C’è qualcosa di cristico in questo. La lurida stanza del Columbia Hotel come il sepolcro vuoto. Non bastarono tre giorni a Delmore per risorgere.

Eppure, ha ragione Saul Bellow. Delmore Schwartz aveva tutto. Nel 1938 pubblica In Dreams Begin Responsibilities: la raccolta di racconti edita, in Italia, da Neri Pozza piace un po’ a tutti. Thomas S. Eliot, il suo poeta prediletto, sommo cardinale della modernità, ne è affascinato, gli scrive. Secondo Vladimir Nabokov, di cui è nota l’arguzia, crudele, il racconto che dà titolo al libro è uno dei più belli della letteratura americana, insieme «a un’altra mezza dozzina». Ma Delmore, per lo più, prima di tutto, è poeta. La sua poesia è vertiginosa e spiazzante, elettrificata da un talento spietato, rigorosissimo, che annienta per autorevolezza. «Sono un poeta dell’asilo (urbano)/ e del cimitero (metropolitano)/ Dell’estasi e del ragtime e anche della città nascosta nel cuore e nella mente», scrive in America, America!, poesia sacrificale, sbandierata come titolo per la prima antologia lirica di Delmore Schwartz pubblicata in questo Paese poeticamente stitico, evviva, evviva (ci è voluto un piccolo, audace editore marchigiano, di Senigallia, Ventura edizioni, pagg. 262, euro 15; la traduzione è di Angelo Guida). La poesia di Delmore Schwartz mitiga l’entusiasmo di Walt Whitman che si ravvisa, ad esempio, nel lungo poemetto La domenica pomeriggio lungo la Senna di Seurat: «Cosa contemplano? Il fiume?/ Il sole che illumina il fiume, l’estate, l’ozio,/ O l’opulenza e il nulla della coscienza?» in barometri barocchi, alterna piscio e incanto («Oh Amore, oscuro animale,/ Le tue stranezze ti fanno sembrare/ Un eccentrico o un pagliaccio:/ Consola la bambina che è in lei/ Perché è sola»). Come l’angelo contraffatto, catramato di dolori, Delmore Schwartz disseziona la civiltà «A quattro anni la natura è impervia,/ Enigmatica e misteriosa. Anche// Un bambino di città lo capisce, ascoltando la metropolitana/ Borbottare nel sottosuolo…» , prende per mano l’uomo, di cui conosce le scaturigini del pianto, lo porta in un «interminabile viaggio notturno verso il noto insondabile abisso» (Per tutta la notte).

I padri di Delmore Schwartz sono William Blake, Friedrich Hölderlin e il libro di Giobbe; presso la Beinecke Library, a Yale, si può sfogliare, anche in digitale, la sua copia annotata del Finnegans Wake di Joyce, opera di adamantina dedizione. «Sovrano e re di tutti i poeti»: così Delmore Schwartz scriveva di James Joyce. Aveva una grafia infantile, da ragazzo imperituro, scriveva in stampatello: martoriava i testi di correzioni.

Charles Bukowski lo ammirava, da incazzato, «davvero, era una puttana più che un bardo / la sua poesia, così leziosa e delicata». Delmore Schwartz appartiene al lignaggio più nobile della poesia americana, e dunque negletto, è dalla parte dei visionari, gli Hart Crane, gli Allen Tate, i Robert Penn Warren, i Robinson Jeffers. Poeti ostinati e ostili, che con la lingua hanno costruito un mondo, un’epica, un’epoca, a cui bisogna conformarsi senza conferme, pretendono obbedienza.

Quando ottenne il Bollingen, nel 1959 il poeta più giovane a cui sia mai stato assegnato quel premio aveva già bruciato due matrimoni, infilandosi nel tumulto della depressione. Dieci anni prima, il Bollingen era andato a Ezra Pound, con cui Delmore intratteneva, da tempo, un furibondo scambio epistolare. Litigavano intorno all’importanza di Tommaso d’Aquino nella Divina Commedia. Nel 1938, su Poetry, Delmore Schwartz aveva scritto un lungo studio sui Cantos, dal titolo Ezra Pound’s Very Useful Labors: ne riconosceva l’importanza fondamentale, il fondamento di una poesia nuova, sprezzante; preferiva W.H. Auden e Eliot. «Trovo le tue osservazioni sui semiti, o sulla razza ebraica, dannose… dò le dimissioni dai tuoi ammiratori e studiosi più fedeli», gli scrisse, l’anno dopo.

Alcune poesie sono memorabili e folli. La più nota quella che piace di più a Lou Reed s’intitola L’ingombrante orso che cammina con me e inizia così: «Un variegato miele imbratta il muso/ Dell’ingombrante orso goffo e sgraziato/ Che mi segue dappertutto». In un saggio del 1951, The Vocation of the Poet in the Modern World, Delmore scrive che «in poesia, molti sono i chiamati e pochi gli eletti». Cosa vuol dire? Che molti scrivono poesia e pochi, pochissimi sono poeti. Uno dei caratteri dell’eletto alla poesia, secondo Delmore Schwartz, è la «rinuncia»: per non perdere la vocazione bisogna rinunciare a tutto. Soprattutto, rinunciare a se stessi. Perdita, perdizione, spoliazione sono i criteri che fondano il carisma del poeta; «né il perdono né la grazia vengono elargiti alla poesia, ai poeti, alle poesie», scrive Delmore Schwartz in The Poet.

Ovviamente, morì solo e dimenticato, il poeta, imbarcato nella propria turpe miseria. Lo trattavano come un ubriaco, un insolito insolente: d’altronde, che senso ha un poeta nel mondo delle atroci macchine? «Quanto a me, mi sentivo come uno che cade,/… che precipita senza sosta e sente l’immensa/ Corrente dell’abisso trascinarlo sempre più giù,/ Un pagliaccio sconvolto e impotente coinvolto in un’incessante caduta», scrive. Paul Celan ha cantato il potere del «sedicesimo Salmo», che «ti manda un bagliore attorno/ all’angolo destro della bocca».

Chissà quale salmo ha sbavato Delmore Schwartz mentre moriva, perché il poeta lo capisci lì, nel punto in cui muore; chissà se gli angeli hanno fatto scempio del suo cadavere, appena prima o appena dopo. All’origine di ogni grande poesia c’è il corpo morto del poeta: i lettori devono lucidarlo con l’olio, purificarlo con l’issopo.

 

 

 

 

Traduzione di Angelo Guida


AMERICA!AMERICA!

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