Danilo Dolci, Racconti siciliani, Sellerio – + Franco Lorenzoni, L’invenzione del futuro di Danilo Dolci, Internazionale, 20-06-2024 ++ Piero Melati, Danilo Dolci, un ” veggente del linguaggio “, Repubblica 28 giugno 2024

 

Nuova edizione accresciuta

Racconti siciliani

Danilo Dolci

Racconti siciliani

Introduzione di Franco Lorenzoni
Postfazione di Giuseppe Barone

Con uno scritto di Carlo Levi

 

In occasione del centenario della nascita di Danilo Dolci, uomo di svolta epocale nelle questioni sociali, considerato il Gandhi italiano, che negli anni Cinquanta spinse intellettuali e giornalisti a guardare finalmente al mondo degli ultimi, la rilettura dei suoi racconti, arricchiti con una Introduzione inedita di Franco Lorenzoni, rivela l’attualità e la necessità di un messaggio da affidare alle nuove generazioni.

Nuova edizione accresciuta

 

«Questo libro comprende alcuni racconti più significativi che ho raccolto dal 1952 al 1960 tra la povera gente di quella parte della Sicilia in cui operiamo. Ho scelto i meglio leggibili badando a non sforbiciare liricizzando, temendo soprattutto che la scoperta critica, il fondo delle reazioni di chi legge, rischino di dissolversi in godimento estetico: tanto sono espressive, belle direi, alcune di queste voci». Forse è tempo di una renaissance di Danilo Dolci, della sua lezione di metodo, dopo la clamorosa attenzione risvegliata nei suoi contemporanei e la parziale dimenticanza degli ultimi anni. Fu infatti, per la questione sociale in Italia, un uomo di svolta epocale, un Gandhi italiano, essendo riuscito a inserire tra l’indifferenza delle classi dirigenti e l’economicismo prevalente delle lotte sindacali, il cuneo della denuncia pacifista, fatta di resistenza passiva, di pratica dell’obiettivo, di scioperi alla rovescia, di digiuni collettivi, di fusione dei diritti sociali nei diritti umani.

Un acuto pungolo che spinse i migliori intellettuali italiani e gran parte del giornalismo a guardare finalmente al mondo degli ultimi, e costrinse l’opinione pubblica delle classi dirigenti a prenderne atto. Partiva dal presupposto, arduo allora come oggi, che per conoscere i poveri bisognasse vivere come loro, condividerne i bisogni materiali e la condizione spirituale; e che per far conoscere i poveri bisognasse render loro la voce.

Era ciò che chiamava «l’inchiesta»: la bocca dei piccoli che parla. E fece scoprire, come spiegava Carlo Levi nel brano riportato a introduzione del volume, «la forza dei piccoli: l’immensa energia che si libera nel momento stesso in cui l’esistenza si realizza per la prima volta e prende, per la prima volta, coscienza di sé».

Sono «inchiesta» questi racconti. Voci, vite vissute. Esse coprono tutto il ventaglio della stratificazione sociale della Sicilia arretrata di allora, dal cacciatore raccoglitore di conigli anguille e verdure, all’ultima principessa; e ci giungono in prima persona con effetto straniante dall’estremo lembo di un interminabile feudalesimo sul punto di fuoriuscire dalla storia. Documento di un passato prossimo inverosimile. Ma offrono anche il piacere letterario dell’opera di un poeta, quale Dolci era, che, per quanto tema lo smarrimento del lettore «in godimento estetico», non riesce a non soffermarsi beatamente nell’incanto di personaggi che sanno rappresentare il dolore di storie vissute in sogni magnifici di armonia con il tutto.

 

 

AUTORE

 

L'invenzione del futuro di Danilo Dolci - Franco Lorenzoni - Internazionale

Danilo Dolci a Partinico, in provincia di Palermo, 1963. (Ferdinando Scianna, Magnum/Contrasto)

DANILO DOLCI — foto Internazionale

 

Danilo Dolci (Sesana, 1924 ( oggi, Slovenia )-Trappeto, 1997), dopo l’esperienza di Nomadelfia, «la città dove la fraternità è legge», venne a Trappeto vicino a Trapani, iniziando un’instancabile attività di animazione sociale. Tra le sue opere: Spreco (1960), La struttura maieutica e l’evolverci (1996). Con questa casa editrice: Racconti siciliani (2008, 2024), Banditi a Partinico (2009), Processo all’articolo 4 (2011) e Inchiesta a Palermo (2013).

 

 

segue da :

 

INTERNAZIONALE – 20 GIUGNO 2024
https://www.internazionale.it/opinione/franco-lorenzoni-2/2024/06/20/danilo-dolci

 

autore dell’articolo:

 

 

“Ciascuno cresce solo se è sognato” è un verso noto e citato spesso nel mondo dell’educazione attiva. Assai meno nota è la vita di Danilo Dolci, nato il 28 giugno di cento anni fa a Sesana, allora in provincia di Trieste ( oggi in Slovenia ). Eppure i pensieri e le azioni di uno dei maggiori animatori di lotte nonviolente organizzate dal basso hanno molto da insegnare, ancora oggi, a chi creda all’educazione come terreno di emancipazione sociale.

Tutto comincia all’inizio degli anni quaranta quando Danilo, sedicenne timido e introverso, che si pensava poeta, arriva a Trappeto, piccolo paese della Sicilia occidentale, al seguito del padre ferroviere. In quel viaggio incontra la povertà estrema di un borgo di pescatori tra Palermo e Trapani, in cui le condizioni di sofferenza degli abitanti lo colpiscono così profondamente da indurlo a tornarci e rimanerci tutta la vita.

Don Zeno Saltini – Fondatore di Nomadelfia | "Cambio civiltà cominciando da me stesso"

Don Zeno Saltini (Fossoli ( Carpi/ Modena ), 30 agosto 1900 – Grosseto, 15 gennaio 1981) è stato un presbitero italiano.  — https://it.wikipedia.org/wiki/Zeno_Saltini

Dopo un passaggio decisivo a Nomadelfia, la comunità utopica fondata da don Zeno Saltini, che nel dopoguerra accoglie orfani e famiglie indigenti, Dolci desidera studiare a fondo la realtà siciliana, con l’intento di dar vita a trasformazioni efficaci e nonviolente. Ma per indole e per scelta ha, fin dall’inizio, l’intuizione che problemi così grandi e difficili da risolvere abbiano bisogno innanzitutto di un ascolto attento, per essere “lumeggiati dal di dentro”.

 

 

 

 

Siamo negli anni cinquanta, un tempo in cui l’orizzonte di un cambiamento radicale, dopo il ventennio fascista e la catastrofe della guerra, ha acceso speranze in gran parte tradite e deluse. A delineare il clima di quel tempo basti ricordare che una delle testimonianze raccolte e trascritte costa a Dolci una condanna a due mesi di carcere per “pubblicazione oscena” e “oltraggio al pudore”.Pena condivisa con Alberto Carocci, che la pubblica su Nuovi Argomenti, la rivista che dirige.

A quei tempi un questore poteva denunciare e pretendere, la galera per chi narra la storia di Gino che, essendo nato fuori dal matrimonio e avendo perso giovanissimo la madre, si è trovato solo perché “figlio del peccato, di cui nessuno voleva interessarsi”, incontrando poi e mettendosi in società con “un giovane il quale andava a borseggiare e cominciò a insegnarmi a me”.

Scrivere e pubblicare storie di questo genere offendeva il pudore di una società e di un potere per il quale i poveri dovevano stare al loro posto, nascosti. Nessuno doveva osare dare voce alle vittime e ancor meno portare alla ribalta vicende che rappresentavano un’esplicita accusa all’incapacità politica di garantire una vita degna a uomini e donne non considerati cittadini con dei diritti.

 

 

dove si trova Partinico

Dove si trova Partinico Italia? Mappa Partinico - Dove si trova
cartina da : Dove si trova Partinico Italia

Mappa interattiva delle aree di interesse per selezionare la regione dove vuoi effettuare la ricerca

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PORTELLA DELLA GINESTRA | I Luoghi del Cuore - FAI
CARTINA DEL FAI

 

Palermo: parte la progettazione della fognatura in via Cruillas -  Commissario Unico Depurazione

CARTINA : Commissario Unico Depurazione

 

 

 

Banditi a Partinico

 

Partinico è lontana nove chilometri da Montelepre, paese natale del bandito Salvatore Giuliano che, con la complicità dello stato, fu utilizzato da latifondisti e mafiosi per sparare sulla folla di contadini radunata nell’altopiano di Portella della Ginestra per festeggiare il 1 maggio 1947. Dolci arriva a Partinico cinque anni dopo quella strage, ma osserva con altri occhi la realtà alla base del banditismo.

 

Nel novembre 1955 pubblica la sua prima inchiesta sociale, dandole il provocatorio titolo di Banditi a Partinico (Sellerio 2009). Un libro particolarissimo in cui rivela la radicalità innovativa del suo sguardo e del suo agire politico ed educativo. Il volume ha una forma assai singolare, unica per quell’epoca. Comincia con una serrata analisi sociologica piena di dati riguardo a “come si campa, come si amministra, come si educa, come si assiste e cura”. Segue un breve capitolo intitolato “Come si potrebbe risolvere”, in cui Dolci elenca alcune proposte operative, sostenendo che “occorre promuovere azioni politiche morali, dal basso”, elencandole con precisione.

 

“Occorrono, in particolare, subito acqua a tutti (e ci può essere facilissimamente), le fognature che mancano, un vero servizio di igiene per le strade, famiglie che adottino i piccoli senza famiglia, case nuove, assistenza agli invalidi al lavoro, educazione morale nei pubblici uffici, scuola sicura ai bambini e ai giovinetti – e scuola che collabori alla realizzazione del mondo nuovo. Occorrono bagni pubblici, lavatoi pubblici, cantina sociale, ospedale e assistenza sanitaria efficienti, asili, biblioteca, università popolare, altre scuole elementari, professionali e tecniche, centri culturali, ecc. ecc.”.

 

L’aspetto più interessante di quel libro, così denso e propositivo, sta nel bisogno di Dolci di dare sostanza a quelle sue proposte, ancorando i motivi di una rivolta necessaria a volti e vite concrete. Ecco allora che, nella seconda e più corposa parte del testo, compaiono narrazioni in prima persona di decine di personaggi che, in una sorta di coro greco, danno voce a storie di angherie subite e delineano i tratti aspri di un mondo in cui regna incontrastata l’ingiustizia, intrecciate ad alcune testimonianze che aprono alla speranza e all’impegno, delineando una prospettiva di emancipazione collettiva e solidale, da costruire dal basso, con il metodo della nonviolenza.

 

 

 

Predicare e agire

 

Nella prefazione a Banditi a Partinico Norberto Bobbio delinea alcuni tratti della personalità del triestino trapiantato in Sicilia. “La via presa da Danilo Dolci è stata diversa, tanto diversa da essere insolita e singolarissima: è stata la via del non accettare la distinzione tra il predicare e l’agire, ma del far risaltare la buona predica dalla buona azione, e del non lasciare ad altri la cura di provvedere, ma di cominciare a pagare di persona. La figura morale e religiosa di Danilo, se dovessi esprimermi con una parola, è quella dell’obiettore di coscienza: «A nessun poliziotto, a nessun Prefetto ubbidiremo quando i suoi ordini saranno contro la legge di Dio». Ed è forse per questo che ascolto volentieri la sua voce e seguo con rispetto il suo cammino”.

Il cammino di Dolci è costellato da intuizioni e promozioni di forme di lotta straordinariamente innovative. Nel 1952 si sdraia nel letto di Benedetto, un bambino morto per denutrizione, e inizia uno sciopero della fame per attirare l’attenzione sulle drammatiche condizioni infantili in molte zone della Sicilia.

 

 

ALDO CAPITINI, ANTIFASCISTA

La resistenza non violenta di Aldo Capitini – Litis.it

Aldo Capitini (Perugia23 dicembre 1899 – Perugia19 ottobre 1968) è stato un filosofopoliticoantifascistapoeta ed educatore italiano.

 

Nel 1929 Capitini critica aspramente il Concordato con la Chiesa cattolica, da lui giudicato una “merce di scambio” per ottenere da Pio XI e dalle gerarchie ecclesiali un atteggiamento “morbido” nei confronti del fascismo. In uno dei suoi libri arriva ad affermare che «…se c’è una cosa che noi dobbiamo al periodo fascista è di aver chiarito per sempre che la religione è una cosa diversa dall’istituzione».

DA:

https://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Capitini

 

 

 

In seguito a questa sua azione nasce una profonda amicizia e condivisione d’intenti con Aldo Capitini,il più coerente e convinto militante nonviolento italiano, che nel 1961 promuoverà la prima marcia della pace da Perugia ad Assisi.

 

Nel febbraio 1956, seguendo l’esempio di Gandhi, Dolci propone a un folto gruppo di pescatori, costretti all’indigenza dal dilagare della pesca di frodo protetta dalla mafia, di dare vita a uno sciopero della fame collettivo, radunandosi sulla spiaggia di San Cataldo. La manifestazione pacifica è sciolta dalla polizia come adunata sediziosa, ma le proteste di Dolci cominciano ad avere un’eco nazionale e internazionale.

 

 

 

Sempre nel 1956 organizza uno sciopero alla rovescia, preparato da una mobilitazione capillare dal basso, in cui centinaia di disoccupati si ribellano alla loro condizione organizzandosi per lavorare volontariamente, per rendere percorribile l’unico tratturo dissestato che collega Partinico a Trappeto. Di nuovo interviene la polizia, che questa volta arresta Dolci, insieme a un gruppo di manifestanti.

Al processo i “sediziosi” sono difesi da Piero Calamandrei, che in una celebre arringa chiede ai giudici “di creare gradualmente la nuova legalità promessa dalla costituzione invece di difendere una legalità decrepita”. Aggiungendo: “Vorrei, signori giudici, che voi sentiste con quale ansia migliaia di persone in tutta Italia attendono che voi decidiate con giustizia, che vuol dire anche con indipendenza e con coraggio, questa causa eccezionale: e che la vostra sia una sentenza che apra il cuore della speranza, non una sentenza che ribadisca la disperazione”.

Calamandrei non è ascoltato dai giudici, che condannano Dolci a cinquanta giorni di carcere. Il processo ha tuttavia una grandissima eco perché la rivolta nonviolenta dei contadini e dei pescatori siciliani, fortemente osteggiata dalla Democrazia cristiana, dalla mafia e dalla chiesa, è sostenuta da molti intellettuali del tempo: da Carlo Levi a Giorgio La Pira, da Renato Guttuso a Bruno Zevi, Alberto Moravia, Elio Vittorini, Cesare Zavattini, Ignazio Silone, Enzo Sellerio e, a livello internazionale, Bertrand Russell, Erich Fromm, Jean-Paul Sartre, Aldous Huxley, Jean Piaget.

Dolci riesce nell’azzardo a cui tiene di più, quello di costringere l’opinione pubblica, attraverso lo schierarsi di un gruppo prestigioso di intellettuali progressisti, a confrontarsi e ad accorgersi delle gravissime condizioni di vita a cui sono costretti i più poveri, diseredati ed esclusi. Alcuni degli intellettuali che lo sostengono durante il processo frequenteranno, negli anni, il borgo educativo creato dal cosiddetto Gandhi italiano, candidato sette volte al premio Nobel per la pace.

Per contrastare ogni forma d’isolamento di quelle terre, nel 1970 dà vita, con altri, a Radio Libera Partinico, tra le prime radio a sfidare il monopolio informativo della Rai. Le trasmissioni durano solo 27 ore. Un tempo sufficiente, tuttavia, per denunciare le gravissime mancanze delle istituzioni nei confronti di una popolazione ferita e dispersa dopo il violento terremoto che, nel gennaio 1968, ha raso al suolo molti paesi della vicina Valle del Belice.

Chissà se i pesci piangono

“Lo studio per risolvere i problemi della scuola, oggi in ogni parte del mondo, è importante come lo studio del cancro”, scrive Dolci nel 1973, introducendo la ricca documentazione di un’esperienza educativa, che intitola Chissà se i pesci piangono (Mesogea 2018). Trecento pagine fitte di ragionamenti e dialoghi registrati, che coinvolgono contadini, pescatori, educatori, ragazze e ragazzi tra cui i suoi cinque figli, insieme a ricercatori e intellettuali da lui invitati in Sicilia da ogni parte d’Italia e d’Europa.

 

Chissà se i pesci piangono. Documentazione di un’esperienza educativa - Danilo Dolci - copertina

Mesogea, 2018

 

 

 

Si discute della noia e della rabbia, del destino e dell’importanza fondamentale della musica, ma anche della diga sul fiume Jato, nata dall’intuizione di un contadino che ne propone la costruzione in una delle innumerevoli riunioni organizzate da Dolci. La costruzione di quella diga, ottenuta dopo anni di mobilitazioni e proteste, è una dimostrazione tangibile dell’efficacia delle lotte che Dolci ha proposto e animato, cambiando l’agricoltura della zona.

Scopo di tanti fitti dialoghi, animati con il metodo maieutico praticato con costanza da Danilo Dolci, è anche la necessità di individuare e delineare alcune indicazioni per un nuovo centro educativo, in realizzazione a Partinico. E naturalmente in quel progetto sociale, che è prima di tutto educativo, il metodo ha un posto centrale. In quelle pagine si parla infatti anche di “come imparare a comunicare con franchezza”, di “come si realizza un libro (individuale o di gruppo), o un giornale, o un teatro, o una composizione musicale”. Ma anche di come in ogni comunità emerga sempre la questione del potere, domandandosi: “Chi decide? Cosa decide? Come decide?”.

Frammenti di pratiche e lotte sociali nonviolente che si intrecciano a un esperimento di costruzione collettiva della conoscenza particolarmente attuale e illuminante.

 

“C’è chi insegna / guidando gli altri come cavalli / passo per passo: / forse c’è chi si sente soddisfatto / così guidato. / C’è chi insegna lodando / quanto trova di buono e divertendo: / c’è pure chi si sente soddisfatto / essendo incoraggiato. / C’è pure chi educa, senza nascondere / l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni / sviluppo ma cercando / d’essere franco all’altro come a sé, / sognando gli altri come ora non sono: / ciascuno cresce solo se sognato”.

 

 

 

GOFFREDO FOFI  _ GUBBIO, 1937

 

Libri di Goffredo Fofi - libri Vita e Pensiero

Goffredo Fofi (Gubbio, 15 aprile 1937), è una voce autorevole del panorama culturale nazionale. Ha contribuito, con altri intellettuali, e molto con Grazia Cherchi, alla nascita di riviste storiche come i «Quaderni Piacentini», «La Terra vista dalla Luna», «Ombre rosse», «Linea d’ombra», «Lo Straniero». È tra i fondatori e coordinatori delle Edizioni dell’asino e della rivista «Gli asini».

 

 

Scompartimento per lettori e taciturni di Grazia Cherchi

Grazia Cherchi (Piacenza19 luglio 1937 – Milano22 agosto 1995) è stata una scrittricegiornalista e curatrice editoriale italiana.

 

 

 

Grazia Cherchi: ritratto di un'intellettuale militante - L'Indice dei Libri del Mese

( da sin. ) Goffredo Fofi, Grazia Cherchi, e Piergiorgio Bellocchio (Piacenza, 15 dicembre 1931 – /18 aprile 2022)

 

 

 

 

Goffredo Fofi, che da giovane ha accompagnato per alcuni anni Dolci in molte delle sue prime azioni, ripropone in Quante storie ( Altraeconomia,  2024) la bellezza di questi versi dello stesso Dolci dedicati all’educazione. E sottolinea che, nell’affermare che “uno cresce solo se qualcuno lo sogna”, “non tratta della pervasività dell’educatore, della potenza di qualcuno che ti plagia, non riguarda la creazione di cloni, servi o imitatori. Riguarda piuttosto l’idea di sognare ciò che il genere umano potrebbe diventare, di immaginare concretamente le potenzialità delle persone che hai di fronte, specialmente quando si tratta di bambini”.

 

Quante storie. Il «sociale» dall'Unità a oggi. Ritratti e ricordi - Goffredo Fofi - copertina

PREFAZIONE DI GIUSEPPE DE RITA  ( Censis )
Editore Altraeconomia, 2024

 

 

 

A testimoniare quanto l’attivista nonviolento abbia avuto la capacità di sognare i suoi interlocutori può essere utile tornare alle decine e decine di storie di vita che Dolci ha raccolto in tanti suoi scritti, e che Italo Calvino gli suggerì di raccogliere nel 1963, in un libro intitolato Racconti siciliani, che Sellerio sta per ripubblicare.

 

Questa selezione di racconti è preceduta da un’avvertenza, che tanto ci dice degli intenti del suo autore: “Ho scelto i meglio leggibili badando a non sforbiciare liricizzando, temendo soprattutto che la scoperta critica, il fondo delle reazioni di chi legge, rischino di dissolversi in godimento estetico: tanto sono espressive, belle direi, alcune di queste voci, nel lumeggiare dal di dentro i loro problemi”.

 

Dolci ci tiene a sottolineare che questa collezione di storie è composta da voci da ascoltare senza troppo compiacerci in estetismi, perché sono voci che si levano contro la fame, la povertà, l’ignavia e i ricatti della mafia; contro il carcere, il manicomio, la violentissima sottomissione delle donne e persino contro le frane, con cui si è costretti a convivere in case fatiscenti che scivolano via insieme alla terra; contro le imposture delle classi dominanti e la profonda ingiustizia che tutto pervade”.

 

L’idea di educazione per cui ha sempre lottato Danilo Dolci comportava una piena condivisione di esperienze e sofferenze.

 

 

Inventare il futuro

LATERZA, 1968

Nel 1967, in Inventare il futuro, scriveva infatti: “So come questo mondo stenta ad uscire dal suo tempo primitivo verso quello in cui la tua vita è la mia vita, la mia vita non può non essere anche la tua; so che abbiamo appena iniziato ad apprendere che gli uomini possono davvero imparare solo se vogliono ricercare e sanno cercare anche insieme; e che purtroppo è sempre presente il rischio di dimenticare quanto si sa”.

 

Libri - Centro Sviluppo Creativo Danilo Dolci

 

 

 

5 GIORNI TRA PALERMO E TRAPPETO

 

Comitato artistico e organizzativo del festival Palpitare di Nessi: Daniela Dolci, Andrea Fazzini, Giuseppe Barone, Alberto Castiglione, Alberto Biondo, Dario Ferrante.

https://danilodolci.org/centenario/festival/

 

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SEGUE DA REPUBBLICA :  28 GIUGNO 2024
https://www.repubblica.it/cultura/2024/06/27/news/danilo_dolci_il_cantastorie_degli_invisibili-423311944/

 

Danilo Dolci, il cantastorie degli invisibili

 

 

Ha seguito per il giornale “L’Ora” di Palermo la guerra di mafia e il primo Maxiprocesso a Cosa Nostra. Con “Repubblica” ha aperto le redazioni locali di Napoli e Palermo ed è stato viceredattore capo della cronaca di Roma. I suoi libri principali: vedi:https://www.ibs.it/libri/autori/piero-melati

 

 

 

Danilo Dolci, il cantastorie degli invisibili

 

Nel centenario della nascita l’eredità dello scrittore, paladino della disobbedienza civile e della Sicilia degli ultimi, è attualissima. Come dimostrano le sue opere

Profeta della non violenza, digiunatore per protesta, inventore degli scioperi “alla rovescia” (lavorare anche da disoccupati), Gandhi siciliano, teorico dell’agire e non del solo predicare, spalleggiato dall’Italia dei Bobbio e dei Calvino. Tanto è stato detto su Danilo Dolci, non solo in questo centenario dalla nascita.

Meno è stato sottolineato, invece, quanto fu un “veggente del linguaggio”, colui che prima di Andrea Camilleriinventò una parlata siciliana inedita, tra l’italiano corrente e il vernacolo, per farne letteratura nuova. Una tecnica che rese gli impersonali documenti degli storici un concentrato di poesia. Questa attitudine (per lui quasi una religione) fu anche la base della sua rivoluzione dolce.

Oggi i critici lo annoverano tra Foscolo e Mazzini: autori che seppero dare alle proprie istanze civili la voce della letteratura.

Nulla di meglio, per comprenderlo, che questi Racconti siciliani, usciti nel 1963 per Einaudi e oggi riproposti da Sellerio, dove Dolci – su suggerimento di Calvino – raccolse il meglio dei suoi libri precedenti.

Ma c’è un paradosso. Di questa cifra letteraria nuova, forse perché offuscata dalle sue avventure civili, si accorsero poco i contemporanei. Se ne avvidero, invece, magistrati e questurini suoi persecutori, che abbondantemente ne disquisirono. Tra i molti processi, uno gli era stato intentato per “pubblicazione oscena” e “oltraggio al pudore”, quando nel 1956 Nuovi Argomenti (con nota di Ernesto De Martino) anticipò il suo Inchiesta a Palermo. Al dibattimento testimoniarono a favore Bobbio, Lombardo Radice, Vittorini, Carlo Levi e la sua difesa venne assunta da Piero Calamandrei.

Ma il dato significativo è che due sentenze opposte sveleranno indirettamente l’arcano della sua “nuova letteratura dell’agire”. La magistratura del primo grado, infatti, nell’analizzare trentasei «racconti autobiografici», narrati «con il metodo della testimonianza diretta e con i termini precisi del linguaggio di chi racconta i fatti della vita» (come recita la sentenza) ammette il «valore letterario» degli scritti e tuttavia condanna Dolci per oltraggio. Nella sentenza d’appello, al contrario, Dolci verrà assolto, ma il dispositivo negherà ogni valore artistico ai testi, per via di un eccesso di «contenuto sociale», pur ammettendone «la forza di shock narrativi» che rendono «idee e sentimenti» dei protagonisti cui viene data la parola.

 

da sinistra :  Danilo Dolci e Carlo Levi  (Torino, 29 novembre 1902 – Roma, 4 gennaio 1975) è stato uno scrittore, pittore e antifascista italiano. ” Cristo si è fermato ad Eboli ” ( 1945 )

 

 

Processo all'articolo 4
Danilo Dolci e Pasquale Beneduce ( in seguito )- Sellerio 2011

Costituzione art. 4

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

 

 

 

Al commissario di polizia che era intervenuto per interrompere quello “sciopero alla rovescia”, come venne chiamato, Dolci rispose che “il lavoro non è solo un diritto, ma per l’articolo 4 della Costituzione un dovere: che sarebbe stato, era ovvio, un assassinio non garantire alle persone il lavoro, secondo lo spirito della Costituzione”. Ciò che avvenne intorno allo sciopero alla rovescia di Trazzera vecchia, nelle piazze, nelle camere di polizia, sui giornali, nei tribunali, fu lo scontro sui modi opposti di considerare la legalità in Italia: la Costituzione, come regola vivente dei cittadini, contro la pratica dell’autoritarismo gerarchico, eredità fascista. Da qui il titolo del libro, che significava che le autorità trascinavano alla sbarra, non tanto il gruppo dei manifestanti, quanto la Costituzione stessa.

 

 

E chi sono costoro? Il verghiano “popolo dei vinti”. Dolci ne scrive perché bisogna trarli dall’inferno. Pasquale Beneduce, a commento del volume Processo all’articolo 4quello costituzionale sul diritto al lavoro), che raccoglie atti e testimonianze dei dibattimenti, afferma che il poeta-sociologo era «un uomo in bilico fra i due blocchi freddi che negli anni ’50 dipingono il mondo in bianco o in nero».

Per di più, non era il classico scrittore piegato sulla scrivania. Anzi: le foto lo raffigurano in un tavolo da lavoro «cinetico, ingombro di enciclopedie, fascicoli, schedari, giornali. Si direbbe la scrivania di uno scienziato». La stessa cosa aveva scritto di lui nel 1959 lo scrittore britannico Aldous Huxley, nella prefazione a quella Inchiesta a Palermo per cui l’autore venne processato: «Danilo Dolci è uno di questi moderni francescani con tanto di laurea». E aveva sostenuto che a un Gandhi dei tempi moderni non può bastare il cuore, ma occorrono anche studi, competenze e specializzazioni.

Per questi motivi risulterà inclassificabile. Un «autore in piedi», che cercava di «fermare l’attenzione su fatti pubblici e visivi», cercandone però contesti e nessi. Come? Inventando «il nuovo linguaggio» che dava la parola agli invisibili. Ancora una volta fu una nota dei servizi segreti, chiamati a vigilare sul «sedicente digiunatore», «pseudo scrittore», «noto agitatore politico», «autore ateo e pornografico», «lo squilibrato Gandhi di Sicilia» (tutti appellativi di cui vi è traccia nei verbali delle prefetture) a rivelare la scandalosa verità: «Fa parlare pescatori e braccianti con le loro parole», annotarono gli 007 quasi con stupore.

Per Dolci era una fatica. «Un parto», arrivò a definirlo. Si trattava di stabilire un ponte tra quei dialetti aspri, non fatti per comunicare, e la lingua corrente. Dapprima sollecitava i suoi interlocutori, poi chiedeva il permesso di annotare, infine consegnava il tutto a Goffredo Fofi, collaboratore di Dolci sin da ragazzo, perché battesse a macchina.

Già apprezzato poeta, agli inizi dei ’50 aveva vissuto nelle comunità di don Zeno Saltini, ma il ricordo di un casuale viaggio del ’41 nella siciliana Trappeto lo porterà a trasferirvisi nel ’52. Vi approdò con Carlo Levi. Erano i tempi in cui il banditismo diventava mafia, alla vittoria del Blocco del Popolo alle regionali siciliane del ‘47 era seguita la strage di Portella, i sindacalisti contadini venivano trucidati.

Lui scrisse Fare presto (e bene) perché si muore e fondò un asilo nido. Nel ’55 uscì per Laterza Banditi a Partinico. Nel gennaio ’56 il primo digiuno collettivo di mille persone a San Cataldo, in febbraio lo “sciopero alla rovescia” in uno stradone abbandonato. Cariche della polizia e detenzione nel carcere dell’Ucciardone.

Vennero infine Inchiesta a Palermo e i nuovi processi. Dolci divenne un caso internazionale: da Sartre a Fromm, da Russell a Huxley, il mondo della cultura si schierò con il Gandhi della parola.

Il libro

“Racconti siciliani” di Danilo Dolci (Sellerio, pagg. 428, euro 15)

 

 

 

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