Due libri : ” L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa ? ” – di Philip Zimbardo, Cortina 2007 + Zygmunt Bauman, Le sorgenti del male, Erikson, 2013 — appena un suggerimento, sul quale – spero – torneremo.

 

 

L'effetto Lucifero

 

L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa?

 

Cosa fa sì che i buoni diventino cattivi? Philip Zimbardo, noto come l’ideatore dell’Esperimento carcerario di Stanford, racconta qui la storia di questo studio. A un gruppo di studenti furono attribuiti a caso i ruoli di “guardia” e “detenuto” in un ambiente carcerario simulato. Dopo una settimana lo studio fu interrotto perché quei normalissimi studenti si erano trasformati in guardie brutali e in detenuti emotivamente distrutti. Zimbardo descrive come certe dinamiche di gruppo possano trasformare in mostri uomini e donne perbene e ci permette di comprendere meglio fenomeni di estrema crudeltà, dalla disonestà delle multinazionali a come soldati americani prima degni di stima siano giunti a perpetrare torture su detenuti iracheni ad Abu Ghraib.

 

 

 

 

una recensione:

 

EFFETTO LUCIFERO – LA PSICOLOGIA DEL MALE

Di Ambrogio Giordano– ( notizie nel link )

 

La teoresi della psicologia del male si deve al Dr Philip Zimbardo, uno psicologo americano figlio di immigrati siciliani cresciuto nel Bronx, ancora oggi Professore Emerito di Psicologia all’Università di Stanford.

Egli nel famoso esperimento, noto come Stanford Prison Experiment, ideò, con un team di psicologi dell’Università di Stanford, dal 14 al 20 agosto del 1971, uno specifico contesto con l’intento di studiare il condizionamento operato dalle istituzioni sul comportamento dell’individuo in un gruppo strutturato.

Riprodusse perciò in modo fedele l’ambiente di un carcere e per far ciò Zimbardo si rifece alle idee di Gustave Le Bon, studioso francese del comportamento sociale del primo Novecento.

In particolare la ricerca fu incentrata sulla Teoria della Deindividuazione, secondo la quale gli individui inseriti in un gruppo coeso costituente una folla, tendono a perdere l’identità personale, la consapevolezza, il senso di responsabilità, alimentando la comparsa di impulsi antisociali e violenti verso cose e persone.

L’esperimento consisteva in una simulazione di vita carceraria condotta su 24 volontari che dovevano ricoprire i ruoli di prigionieri (12) e di guardie (12) per un periodo di 2 settimane. Fra i 75 studenti universitari che risposero a un annuncio apparso su un quotidiano che chiedeva volontari per una ricerca, gli sperimentatori ne scelsero 24, maschi, di ceto medio, fra i più psicologicamente equilibrati, maturi, e meno attratti da comportamenti sociali devianti.

I volontari furono ulteriormente selezionati sottoponendoli ad un test psico-attitudinale al fine di scartare tutti coloro che potevano presentare potenziali problemi di personalità, devianze comportamentali e atteggiamenti violenti e furono in seguito assegnati casualmente al gruppo dei detenuti o a quello delle guardie. Zimbardo assunse il ruolo di direttore del carcere. I prigionieri indossarono ampie divise sulle quali era applicato un numero, sia di fronte che dietro, un berretto, e una catena a una caviglia.

Dovevano inoltre attenersi a una rigida serie di regole. Le guardie, invece, indossarono uniformi color kaki, occhiali da sole a specchio che impedivano ai prigionieri di guardare loro negli occhi, erano dotate di manganello, fischietto e manette, e fu concessa loro un’ampia discrezionalità circa i metodi da adottare per mantenere l’ordine.

Zimbardo associò ad ogni ruolo dei simboli distintivi, abbigliamento ed accessori avevano lo scopo preciso di mettere entrambi i gruppi in una condizione di deindividuazione. L’esperimento iniziò con la simulazione, assolutamente realistica, dell’arresto dei futuri prigionieri che furono prelevati dal dormitorio dell’Università di Stanford da veri poliziotti e tradotti in carcere.

Dopo solo due giorni si verificarono i primi episodi di violenza: i detenuti si strapparono le divise di dosso e si barricarono all’interno delle celle inveendo contro le guardie che reagirono iniziando opere di intimidazione e umiliazione, cercando di spezzare i legami tra i prigionieri. Questi vennero costretti a pulire le latrine a mani nude, a defecare in secchi che non avevano il permesso di svuotare, a simulare atti di sodomia, a cantare canzoni oscene e spesso venivano denudati.

I detenuti tentarono di evadere e tale fuga venne sventata con difficoltà dalle guardie e dal direttore del carcere. Dopo 36 ore, delle crisi di nervi colpirono i prigionieri e uno di essi sentì la necessità di lasciare la sperimentazione. Dopo 5 giorni i detenuti mostrarono sintomi evidenti di disgregazione individuale e collettiva: erano docili e passivi e il rapporto con la realtà si stava deteriorando, mostrando seri disturbi della sfera emotiva. Le guardie continuarono a praticare comportamenti vessatori e sadici dimostrando anch’essi un distacco dalla realtà anche nel loro ruolo.

Sia le guardie che i prigionieri si erano identificati in maniera forte e impressionante sia nel ruolo che nel contesto, per quanto riguarda i secondi, pur soffrendo, questi ultimi non presero in considerazione l’idea di lasciare l’esperimento ma continuarono a rimanere nella prigione intraprendendo continui tentativi di evasione.

Dati gli esiti drammatici, al sesto giorno Zimbardo decise di troncare l’esperimento con grande sollievo dei prigionieri e conseguente amarezza da parte delle guardie.

A seguito degli esiti sperimentali inattesi e sconcertanti, Zimbardo sostenne che le straordinarie trasformazioni avvenute negli individui resi capaci di commettere azioni mostruose è dovuto a ciò che egli denomina “Effetto Lucifero”, risultato dell’interazione tra fattori disposizionali quali conformismo e assenza di senso critico e fattori situazionali e sistemici propri del contesto. Il sistema sociale influenza le due variabili prima menzionate e definisce le norme implicite o esplicite che prescrivono come agire, fornendo i ruoli cui gli individui devono attenersi supportandoli e legittimandoli dal punto di vista delle risorse, dell’ideologia e delle regole dell’azione contestuale.

L‘Effetto Lucifero identifica il “contenitore malvagio” nel quale alcuni individui si trasformano in bruti, adottando un comportamento efferato, mentre altri ne subiscono gli effetti, reagendo successivamente anche loro in modo violento e brutale, generando così nel medesimo contesto deviato, gruppi sociali divisi e in competizione tra loro. La teoria dei “barili cattivi” analizza gli aspetti organizzativi per spiegare comportamenti scorretti e deviati dei dipendenti sul posto di lavoro.

Ampliando il concetto su scala macro sociale il contesto deviato si identifica in un sistema politico-economico fortemente ideologizzato, burocratizzato e retto da un rigoroso sistema gerarchico e funzionale, con una comunicazione di massa controllata, determinando situazioni che fungono da “bad barrel” ( contenitore malvagio ).

 

 

da :

https://avantilive.it/effetto-lucifero-la-psicologia-del-male/

 

 

 

 

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ZYGMUNT  BAUMAN 

LE SORGENTI DEL MALE

 

Le sorgenti del male - Zygmunt Bauman - copertina

di Zygmunt Bauman (Autore)

Young-June Park (Curatore)
Riccardo Mazzeo (Curatore)

Erickson, 2013

 

 

RECENSIONE DI M. LANDO — link al fondo

 

Il potere non unifica e non livella le differenze né verso l’alto, né verso il basso: il potere divide e oppone. Il potere è nemico giurato e soppressore della simmetria, della reciprocità, della mutualità. La forza del potere consiste nella sua capacità di manipolare le probabilità di differenziare le possibilità così come le potenzialità e le opzioni di successo: tutto ciò suggellando le divisioni che ne emergono e immunizzando le ineguaglianze.[1]

 

 

Il volume è diviso in 12 capitoli che affrontano il significato del male inteso come negazione, distruzione del livello morale e comportamentale di ogni individuo con annesse le conseguenze che ne derivano, e che configurano una catena di azioni irrimediabilmente devastanti.

Che cos’è il male nella società odierna? In che modo si determina e si manifesta? Quali sono le cause scatenanti, le spinte, le modalità di aggressione dei tessuti sociali, culturali, ideologici e morali in cui si manifesta e si propaga?

Il saggio parte dalla ricezione degli studi di Adorno che hanno delineato una società occidentale “caratterizzata da forme di dominio interpersonale e da fenomeni di violento rigetto verso tutti i gruppi non integrati nella comunità amministrata”; Adorno punta ad una definizione della “personalità autoritaria” e propone una teoria che si basa fondamentalmente sull’idea di un’“autoselezione del malfattore,” determinata da fattori naturali più che culturali che caratterizza il carattere individuale di alcune persone. Cosa spinge un individuo apparentemente normale, in una qualsiasi società e in  circostanze  comuni, a partecipare ad atti violenti o alla perpetuazione di gesta malvagie?

Hannah Arendt, filosofa tedesca, ripercorrendo il processo storico all’origine delle dittature europee, delinea i momenti decisivi di tale processo: antisemitismo, imperialismo e trasformazione plebiscitaria delle democrazie e li interpreta come il risultato di una complessiva “politicizzazione” della cultura moderna. “La banalità del male”  per Arendt sta nel fatto che

le mostruosità non hanno bisogno di mostri, che gli oltraggi esistono anche senza che vi siano personaggi oltraggiosi e che il problema a proposito di Eichmann (crudele sterminatore) era precisamente nel fatto che secondo le valutazioni dei luminari supremi della psicologia e della psichiatria e insieme a lui  numerosissimi suoi compagni  di malefatte,  non era né un mostro, né un sadico ed era invece esorbitantemente, terribilmente e spaventosamente normale.[2]

E qui sta il problema: finché si continuerà a definire “il malvagio” una persone malata, mentre egli è un individuo normale e dotato di una personalità “eccezionalmente desiderabile” che compie atti di questa entità, non potrà esserci una giustizia adeguata, perché la tendenza è quella di scorciatoie che portano ad attenuare ciò che invece non è giustificabile per nulla.

Come sarebbe sicuro e confortevole il mondo, quanto sarebbe gradevole e amichevole se a perpetuare azioni mostruose fossero dei mostri e soltanto dei mostri.[3]

Nel saggio Modernità e Olocausto il genocidio viene interpretato da Bauman come un fenomeno legato  a un “filo doppio alla logica della modernità occidentale e ai suoi spaventosi processi di razionalizzazione frutto dell’incontro tra gli sconvolgimenti sociali provocati dalla modernizzazione stessa fornita all’uomo occidentale.

Bauman delinea altre strade per affrontare il significato del male nella società odierna: l’approccio antropologico e metafisico di Günter Anders: l’interpretazione data dal filosofo tedesco  è incentrata sull’idea di svolta che avviene dopo Hiroshima e Nagasaki: “la coscienza dell’irreversibile vulnerabilità del genere umano e dell’incombente fine del tempo storico, segna una cesura tra la condizione nichilistica di un uomo senza mondo e quella apocalittica di un mondo senza uomo,” tra le possibilità d’invenzione dell’individuo e dei limiti nel controllarne la portata.

Dalle Sorgenti del male di Bauman riflettiamo su argomenti che hanno segnato profondamente il Novecento e che dobbiamo “cementare” perché, come denuncia Liliana Segre in una bella intervista in occasione della Giornata della Memoria, la parola INDIFFERENZA possa essere riportata con fermezza alla luce e non dimenticata, poiché è stato il fiammifero da cui è partito tanto orrore.

 

1] Zygmunt Bauman, Le sorgenti del male, a cura di Yong-June Park, Erickson Saggi sociali, p. 38.

[2] Ivi, 52.

[3] Ivi, 53.

 

 

AUTORE:

M. Lando

 

 

 

 

10 marzo 2014

https://www.criticaletteraria.org/2014/03/bauman-sorgenti-del-male-recensione.html

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2 risposte a Due libri : ” L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa ? ” – di Philip Zimbardo, Cortina 2007 + Zygmunt Bauman, Le sorgenti del male, Erikson, 2013 — appena un suggerimento, sul quale – spero – torneremo.

  1. Chiara Salvini scrive:

    chiara – l’esperimento detto ” Effetto Lucifero ” è stato molto criticato oltre che discusso perché accusato di aver fatto non un vero esperimento scientifico che mirasse a leggere con verità quello che scaturiva dall’esperienza, ma una specie di operazione ideologica che doveva a quanlunque costo dimostrare una tesi: le prigioni fanno male, vanno abolite.
    ” Effetto Lucifero è il termine utilizzato da Philip Zimbardo per indicare il processo per cui l’aggressività è fortemente influenzata dal contesto in cui l’individuo si trova. Lo studioso conia questo termine in seguito all’esperimento carcerario di Stanford, che dimostra l’importanza dell’ambiente nel determinare le condotte individuali, ridefinendo la loro importanza, fino a quel momento sottovalutata nella letteratura sull’aggressività. In precedenza infatti veniva attribuita quasi esclusivamente a fattori interni all’individuo. ” ( Wikipedia, Effetto Lucifero )
    Philip George Zimbardo (New York, 23 marzo 1933), nipote di Filippo Zimbardo e Vita Marino, immigrati siciliani di Cammarata in provincia di Agrigento, è cresciuto nel Bronx, a New York; è stato prof. di psicologia nella maggiori università americane: Yale, Columbia, Stanford. Il suo lavoro è consistito soprattutto ” nel tentativo di confutare la fondatezza di una credenza assai diffusa, alla fine degli anni sessanta, secondo la quale i comportamenti degradati e violenti osservabili all’interno di un’istituzione come il carcere sono soprattutto dovuti a disfunzioni della personalità, innate o apprese, dei carcerati e delle guardie, dimostrando piuttosto come tali condotte dipendano dalle specifiche caratteristiche della situazione contingente ” ( wikipedia, Zimbardo ).
    Anche se non c’entra con la discussione del suo esperimento, riportiamo ( Wiki, Zimbardo ) : ” Sin dal 2003, Phil Zimbardo ha attivato una campagna di raccolta fondi negli Stati Uniti D’America destinandoli alle comunità di origine dei suoi nonni: Cammarata e San Giovanni Gemini. Tramite la Zimbardo-Luczo Fund con Steve Luczo e Pasquale Marino, ogni anno vengono elargite borse di studio per i migliori studenti di Cammarata, San Giovanni Gemini e Corleone e promosse attività culturali soprattutto per le categorie più svantaggiate.
    Non siamo in grado di dare un’opinioner sull’esperimento, la discussione verte su un tema che ha caratterizzato la scienza e l’opinione di tutti noi dagli anni Sessanta ad oggi : un individuo si forma soprattutto per semi che ha dentro se stesso ( genetica ) o è frutto dellì’ambiente ( in genere posizione progressiste: ricordiamo tra i più illustri protagonisti Basaglia e tutti quelli che da molti anni lottano per un cambaimento radicale delle carceri, tra i quali cominciamo con Cesare Beccari, sec. XVIII ). A me pare che posto così il dilemma è insolubile : entrambi le ” radici ” interne ed esterne contano e saranno diverse per ciascun individuo ( per la forza che può avere il codice genetico o un determinato ambiente, e agire diversamente per ciascuno di noi ).

  2. DONATELLA scrive:

    Penso che le situazioni concrete e le condizioni dell’ambiente influiscano moltissimo sugli uomini. Proprio per questi motivi, secondo me, non ha senso il carcere v isto solo come punizione. Non si capisce perché qualcuno dovrebbe diventare migliore in una situazione carceraria.

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