TERRE PARALLELE: L’INCONTRO.
di MGP
A seguito delle piogge torrenziali che hanno riempito le fogne, qualcosa é cambiato. I miasmi che salgono dagli asfalti sono un invito, fanno girare il sangue e risvegliano i cervelli assopiti. Finalmente gli umani si pongono qualche domanda.
Come abbiamo fatto ad arrivare fino qui.
Voglio dire a ridurci così, senza peccati.
La città è grande e bizzarra, ancora ci sono angoli sconosciuti e poco controllati nei quali prolificano presenze sospette e tenebre. E sempre più, dopo le ultime due invasioni. La caccia all’alieno non é certo finita, sbucano fuori di notte e si mescolano con gli umani, li attraggono nelle loro trappole e li annientano. E’ perfettamente inutile che il governo cerchi in ogni modo di sfatare il mito delle Terre Parallele, affermando che sono stati tutti spediti nel loro pianeta o rinchiusi nelle prigioni lunari, sappiamo che sono tra noi perché ogni tanto qualcuno sparisce e non ci spieghiamo come possa succedere.
Sono molto consapevole ora e la verità vera é che essi ci usano per motivi loro, ricavando da noi qualcosa che noi non comprendiamo. Energia, piacere, sofferenza o qualche altra facoltà a noi sconosciuta. Le ipotesi in proposito possono essere tante: forse hanno bisogno di cedere ciò che producono in esubero e si divertono a ridere del nostro stupore. Oppure desiderano semplicemente attuare uno scambio, un’offerta che gli umani impediscono e soffocano in ogni modo, presi come sono a mantenere il loro ordine perfetto. Qui, non é prevista nessuna intromissione. Anche Leniet diceva questo. “Non siete ancora pronti per tornare indietro” ripeteva” ne avete troppa paura.”
Questo mondo é perfetto, tutto si compie in modo ineccepibile, secondo schemi logico-operativi applicati ad ogni settore. Non potrebbe funzionare meglio. Leniet parlava di dolore, di piacere, di profondità, di origine, di amore.
Incontrai Leniet al Wadley’s Diner all’angolo della tredicesima con la north nel World Village. Mi disse che aveva trovato l’origine, la vera storia delle Due Terre, il perché dell’esplosione e delle suddivisioni degli elementi all’interno di ciascuna. Era una ricercatrice e doveva stare attenta alla polizia e alle spie. Mi parlava come se fossi stato uno del gruppo, o forse intendeva il mio ritornare agli appuntamenti, come una decisione di arruolamento.
lo ero certo che la mia vita si svolgesse nel modo migliore. Avevo calcolato ogni mia posizione, non volevo cambiare niente, se non sistemarmi in una unità più grande, aumentare le ore produttive e seguire la crescita dei figli che mi spettavano. Quando lei si sedette nella mia cabina, pensai che avesse sentito parlare di me. L’offerta che avevo stabilito era di 35 dollari per 20 minuti di conversazione. Sì, mi disse che sapeva della mia proposta, ma che l’avrebbe accettata non per denaro, ma per scambio: da parte sua offriva poche parole e molti gesti. Accettai senza capire, era tale, in quel momento, il bisogno di parlare che cominciai subito con i miei lunghi elenchi. Mentre parlavo la guardavo: aveva i capelli castani con sfumature marroni-dorate, ondulati e un po’ ricci sulla fronte, il viso era colorito e sorridente, le labbra aperte e morbide, il naso dritto e gli occhi contornati da lunghe ciglia e protetti da sopracciglia folte e arcuate. L’unico elemento del suo viso che potesse far pensare a un trasgressore volontario era il verde maculato dell’iride e la vivacità del suo sguardo. Erano occhi luminosi, pieni di vita. Guardandoli si avvertiva un senso di curiosità prevaricatrice.
Quando ebbi finito di parlare, le sorrisi. Mi sentivo bene.
«Hai sentito le mie condizioni?» mi disse
«Quali condizioni?»
«A me non bastano le parole, voglio fare con te delle cose.»
La sua voce aveva un tono deciso, fluttuante. Immaginavo onde colorate che mi colpivano. Le vedevo salire e scendere, avanzare e indietreggiare. Mi disse che aveva trovato dei documenti del passato nei quali si leggeva che gli uomini abitavano un unico pianeta, che la loro storia era straordinaria, vecchia di milioni di anni, che non erano tutti uguali, ma ogni Stato aveva abitudini diverse e così ogni tempo. Qualcosa di stupefacente di cui voleva mettermi al corrente direttamente, mostrandomi le fonti autentiche.
«Mi domando dove li hanno buttati, come abbiano potuto distruggere tutti i documenti» continuava «Come hanno potuto fare una cosa simile: mutilarci della nostra storia per renderci ciechi, orfani, ubbidienti.»
Il tono della sua voce oscillava sempre più forte e non era cosa permessa. Pensai che fosse un’esaltata pericolosa e dopo aver pagato il mio debito l’avrei denunciata alle guardie.
«Io non so niente.» dissi
«No certo, ti chiedo solo di seguirmi.» Si sporse oltre il tavolino e mi toccò la guancia. Le sue dita erano calde e flessuose. Mi sottrassi immediatamente e mi guardai intorno, forse qualcuno aveva visto, era proibito toccarsi.
«Io non sono un tuo associato.»
«Tutti gli uomini possono esserlo, almeno per un tempo determinato. »
Quelle parole fecero tremare qualcosa dentro di me e io sentii il primo dei tanti cambiamenti che seguirono. In quel momento iniziò la mia rovina. Non avevo intenzione di infrangere le regole, ma l’idea che fosse un tempo determinato, poteva essere accettabile e la seguii.
Abitava fuori dal centro urbano, dopo le soprelevate delle ferrovie sud, scendemmo al pilone n° 8 del nuovo impianto Sky-Dancer. Il complesso abitativo esterno non era diverso dagli altri, ma lo spazio interno era molto strano, come non ne avevo mai visti. Mi bloccai sulla porta.
«Non temere. Sono appena venuti per l’indagine di controllo. Ho rimesso tutto a posto solo ieri. Saremo tranquilli per i prossimi 15 giorni.»
La stanza d’ingresso era zeppa di oggetti inutili che spuntavano dalle pareti e scendevano dal soffitto: teli colorati, stoffe trasparenti, specchietti e piume che ondeggiavano al minimo soffio. Il colore dominante era il rosso, intenso e cupo che
richiamava quello di organi interni irrorati di sangue; negli angoli si accendevano lampade gialle e giochi di luce roteanti. Per terra tappeti, arazzi preziosi e cuscini in un numero tale da non permettere il passaggio.
Ricordo perfettamente quel posto. Quando ci penso mi accade qualcosa che non conoscevo prima: i miei liquidi interni acquistano velocità e le volute del mio cervello si irrorano di sangue. Immagino di aprire quella porta, di inebriarmi di profumo e di vederla sdraiata su quei cuscini, nuda, come le piaceva stare. So che non accadrà più. La concezione della mia vita, di quello che sarà e di quello che era, mi fa raggelare, come se fossi morto.
Mi fece vedere una statuetta di terra cotta, rappresentava un abbraccio tra un uomo e una donna. Mi indicò di guardare bene all’altezza del pube poi si girò verso di me. I suoi occhi scintillavano.
«Così facevano i nostri avi. Vuoi provare?»
Non risposi. Lasciai che mi mostrasse i libri che aveva trovato. Erano molti. Contenevano illustrazioni antiche. Gli umani si abbracciavano in posizioni diverse.
«Sto cercando di capire. Quello che é chiarissimo é che un tempo gli uomini non erano esseri logici e produttivi, ma passionali e creativi. Il sesso era uno dei momenti più importanti, più invadenti e ripetuti. Si accoppiavano dall’età di 13 anni fino alla vecchiaia.»
Mi lanciò un sorriso luminoso e aggiunse: «Ti proponevo di provare le pratiche antiche, sarebbe anche per me la prima volta.»
Non ci fu risposta percettibile. Semplicemente un suono sordo e un movimento della testa. Dei rumori non ben identificabili giunsero dal piano di sopra. Poteva essere un pianto trattenuto. Non accennava a smettere, mentre lei prese a spogliarsi davanti a me, in modo scomposto, lanciando gli abiti per aria e saltando sui cuscini. Non aveva la guaina protettiva. Si avvicinò per accarezzarmi il viso e cominciò a sfilarmi la tuta coprente. Quando giunse agli stivali, qualcosa in me scattò. Non volevo trasgredire alla legge, non volevo sovvertire l’ordine delle cose.
Lei trovò una fessura sotto la guaina, mi toccò la pelle e calcò le unghie nella carne, poi avvicinò le labbra alle mie.
«Ho un’altra scelta?» chiesi improvvisamente con l’intento di fermarla. Scostò dagli occhi una ciocca di capelli e mi fulminò con lo sguardo.
«Posso cominciare dal basso, se preferisci. Non temere non succederà niente che tu non voglia.»
Nel mio cervello la guerra era in atto, mi controllavo a stento. «Non sono l’esemplare adatto» protestai con insofferenza «Non sopporto le modifiche, i cambiamenti, gli sconvolgimenti. Non ce la faccio.»
«Ottimo! Neppure io» la sua voce era acuta e pungente «Pensavo che ti andasse bene una prova.» Mi lanciò un altra freccia luminosa. Affondò una mano tra le mie gambe, dentro il sospensorio rigido. Strinse il mio pene nel palmo con una presa sicura e forte, mentre con le dita picchiettò leggermente la punta. Nessuno mi aveva mai toccato. Diventai inspiegabilmente caldo in tutto il corpo. Mentre trattenevo il fiato per la metamorfosi in atto, la sua voce aveva un colore sempre più aspro.
«Non vuoi accettare con la testa quello che il corpo vuole. Non ho ancora pareggiato lo scambio, le cose vere che volevo fare con te, non le ho fatte. Non ti ho mentito.» Scosse la testa «Stammi a sentire, sai dove abito e sai chi sono e che intenzioni ho. Puoi anche denunciarmi alla polizia, non mi spavento. Io arriverò in fondo con te.» Si fermò di scatto, prese un telo di seta per coprirsi e tornò dalla mia parte.
«Hai bisogno di un po’ di tempo per pensarci da solo. Quando sei pronto fatti vivo.»
Obiettai qualcosa, ma lei fu inamovibile. Mi trovai fuori dalla porta con gli stivali in mano. Stavo per andarmene quando sentii altri lamenti provenire dalla porta chiusa. Mi fermai per ascoltare meglio e percepii chiaramente dei singhiozzi alternati a mugolii: espressioni scomposte, manifestazioni di un disordine emotivo che poco si addice agli umani del nostro tempo. Ringraziai le Divinità di tutti i pianeti, di non appartenere a quella setta. E li ringraziai una seconda volta quando entrai a casa e scoprii l’ordine, la compostezza, la sobrietà dell’ambiente. Mi sentii sicuro solo di fronte al mio letto bianco, teso e pulito. Feci una doccia di vapore per eliminare gli odori che mi erano rimasti sui capelli e per disinfettarmi completamente dai residui di quella sera, quindi mi distesi sul letto e presi sonno.
Non sapevo cosa mi aspettava. Lei é stata la mia rovina. Lei ha colpito i miei neuroni perforandoli al centro, uno per uno, riconducendoli agli stadi primitivi. La mia mente tornava di continuo ai momenti che avevo trascorso nel suo appartamento: la sua mano curiosa e intrigante, il mio corpo in fiamme. Se solo mi fossi affidato alla sua volontà. Se l’avessi lasciata fare. Voleva in qualche modo che io mi sottomettessi a lei, alle sue prove. D’altra parte non sarebbe stato difficile, i miei titoli di soggezione e abnegazione superano il 90 % ; poteva diventare un esercizio di contenimento, anche quello. Lei che cos’era: un umano, un essere del cielo, un demonio, un alieno proveniente dalla Terra Parallela. Il principio che la dominava non era l’omologazione, l’assuefazione, ma la ricerca, l’autonomia e questo era il pericolo.
La fatica di quella sera e le conseguenti preoccupazioni, scombinarono il mio equilibrio. Un pomeriggio mi addormentai al lavoro. Sentivo in lontananza i rumori delle macchine elettriche. Il Presidente e tutti i Potenti brindavano alla nuova scoperta che avrebbe incentivato fortemente il mercato. II macchinario di nuova fabbricazione brillava al centro della sala, diviso in due da un paravento di metallo. Da una parte i Capi festeggiavano, dall’altra su un tavolo da macellaio scorrevano pezzi umani che andavano a nutrire la macchina ingorda come un animale affamato. Era il mio turno e mi stesero nudo sul tavolo di marmo, quando comparve Leniet e mi coprì con i suoi veli profumati.
La voce metallica dell’altoparlante mi svegliò. Annunciava le notizie delle quotazioni dell’Azienda nelle borse di tutto il mondo, le previsioni del tempo e le temperature fino alle ore 24 del giorno dopo.
Una convinzione si fece strada dentro di me: Leniet voleva condividere la vera e reale storia per cui ogni umano é stato creato e concepito. Non si trattava di trasgredire alle regole, ma di trovarne di nuove. Lo spiraglio della libertà si apriva davanti a me e trovava spazio, come una lunga strada luccicante.
Mi presentai alla sua porta con gli stivali in mano.
«Sono orgogliosa di te» mi disse sorridendo «Sapevo che saresti tornato, ci vuole coraggio e tu sei un uomo coraggioso.» Mi fece entrare. La stanza sembrava molto più grande, terminava sul fondo con una scala di legno che si collegava al piano superiore. Mi fece salire e mi condusse davanti a quattro persone, tre uomini e una donna, vestiti di bianco, con una tonaca che copriva solo parte dei loro corpi.
«E’ un mio nuovo studente» così mi presentò. Gli altri sorrisero con aria compiaciuta, nei loro volti traspariva un’espressione di gioia. Erano trionfanti: Leniet era una guida perfetta. Stavano bevendo un infuso aromatico. Lei guardò verso di me.
«Prendo un cucchiaio di zucchero. Non troppo colmo.»
Una sorta di foschia densa e luminosa insieme aleggiava a mezz’aria insieme a un profumo di bosco e di terra umida. Dovevano aver fumato, anche se non si sentiva il solito odore di tabacco. Mi trovavo in una situazione così strana che mi prese il dubbio di essere in un sogno. Ma Leniet era lì, non c’era dubbio al riguardo. Sorseggiai la bevanda. Lei mi guardava attentamente con un luccichio felice negli occhi. Posò la mia tazza e mi prese la mano, mi fece alzare in piedi e mi guidò verso la scala.
«Sarà difficile per lui» disse, girandosi leggermente indietro.
«Non vogliamo sapere quanto. . .» Risero piano e quello che aveva parlato spalancò la bocca e tirò fuori la lingua.
«Le fasi preparatorie sono lunghe. Potrebbe tentare di scappare. »
«Non scapperà… Schschsch!» Succhiò l’aria con le labbra protese in avanti.
La mano di Leniet strinse la mia e mi spinse giù dalla scala.
Scendemmo sotto il suo appartamento di un piano o due, con l’ascensore interno. Lasciai i miei abiti e gli effetti personali in un armadietto e subito mi trovai di fronte a una vasca fumante.
«Ti toglierò la guaina protettiva. Entra.» Leniet entrò con me in quel liquido oleoso e profumato. Usò un unguento e mi strappò la guaina, pezzo per pezzo. Il dolore era insopportabile, ma a ogni strappo lei mi immergeva in quel liquido benefico e mi baciava la pelle arrossata. Poi mi distese su una superficie liscia, mi spalmò tutto il corpo di un impasto nero e lucido e massaggiò a lungo. Non credo esistano dita più esperte. Non ho mai sentito tanta energia fluire dentro la mia carne. Il piacere entrava da ogni poro. Le sue mani si moltiplicavano in ogni centimetro quadrato. Qualcosa di sconvolgente stava accadendo. Un piacere sconosciuto, più intenso di ogni altro provato, si stava impadronendo di me non si fermava alla superficie, ma lo sentivo entrare nei muscoli, nelle ossa, nei polmoni, con un respiro lungo e profondo.
«Tu non sei nato per il sacrificio.» mi sussurrava all’orecchio «Tu non sei nato per la costrizione, la negazione, il rifiuto. E’ tempo di dimenticare il dolore. Dimmi per che cosa sei nato. Pronuncia la parola piacere.» Ripetevo con lei quella stupefacente parola, tante e tante volte. In un tempo così breve, io stavo diventando un uomo nuovo ed ero solo all’inizio, al primo rito iniziatico, quello che Leniet chiamava di purificazione.
Ancora una volta pose le mani su di me e mi spinse in un luogo scuro, completamente buio. Mi sentii abbandonato, anche se il benessere del corpo stentava ad allontanarsi. Mi distesi per terra cercando di orientarmi con le mani; ero su un tappeto. Forse é finito, pensai, lei se ne sarà andata da quei tizi sorridenti e mi ha chiuso qui dentro. Non avevo vie di scampo. Mi sentivo un animale notturno con enormi occhi roteanti e orecchie tese a ogni minimo fruscio. Finalmente sentii un richiamo. Era uno squittio leggero, uno schiocco di labbra, o un lamento, ogni volta mi spingevo in quella direzione, brancolando nel buio, strisciando come un serpente cieco. Trovai il corpo di Leniet, sempre in posizioni diverse, che attendeva di essere svelato e stuzzicato. Sentivo l’impulso di stringerla, di tenerla tra le mie braccia, ma ogni volta che mi avvicinavo troppo, lei mi respingeva violentemente; io rotolavo lontano e rimanevo in attesa di un altro invito.
La nudità é qualcosa di sublime; ogni contatto diventa crudo, spietato e delizioso. Quando la toccavo negli incavi molli e umidi, gemeva ed emetteva suoni trepidi. Quei vocalizzi risuonavano dentro le mie orecchie e animavano la mia linfa vitale, giungevano direttamente fino al midollo. Cadevo in un abisso di paradiso e ne riemergevo solo per ascoltare altri sussurri.
«Tu sei molto importante… nte… nte… nte.
Tu sei molto … lto… lto… lto….
Tu sei … sei… sei… sei. . .
Tu… tu… tu… tu.»
Perdetti il senso dello scorrere del tempo. Nessuno mi avrebbe più trovato, nessuno, mai. Ne ero felice. Lacrime di gioia trafissero i miei occhi. Cominciai anch’io a emettere strani versi che mi salivano dalla gola spontaneamente.
Uscimmo dal labirinto.
«Per oggi basta.» mi disse «completeremo il rito la prossima volta.»
«Domani?» chiesi con il cuore ebbro di piacere.
«No, dovrai aspettare. Ti cercherò io.»
La lezione che imparai fu di incalcolabile valore: capii la potenza del mio corpo e intuii molte possibili espansioni. Lui ha provocato il vero piacere e poi la vera sofferenza della mia vita. Lui non é me, é molto più forte di me. Imparai a capire un po’ me stesso e il mondo nel quale vivo. Il perché delle tante proibizioni.
Leniet era una ribelle. La voglia di trasgredire era il suo scopo.
Leniet era una divulgatrice inviata dalla Terra Parallela.
Cercava un’origine autentica, “sotto le divise, gli occhiali spaziali, le superfici borchiate, c’é altro” diceva e aveva assolutamente ragione. ” Come é possibile che tutte le energie umane siano convogliate alla produzione, all’organizzazione, al lavoro. Non sono repressori efficaci e sufficienti gli studi a senso unico, condotti e selezionati a ogni paragrafo; né l’appartenenza all’organizzazione, o all’azienda produttiva; qualcosa sopravvive, qualche energia straordinaria si rifiuta di stare costretta nelle presse o nei contenitori chiusi ermeticamente; io cerco la vita nascosta, quella che rimane in pochi, pochissimi.”
La voglia di trasgredire non era il suo unico scopo.
Le Prostitute Sacre compivano il rito del coito per mettere in contatto l’uomo con la Divinità. Leniet era una Prostituta consacrata al Dio della Terra Parallela.
Non potevo fare più nulla senza pensare agli atti compiuti. Cominciavo a soffrire per i battiti cardiaci accelerati, dieci, venti volte al giorno, quando la sua immagine prendeva forma nella mia mente. Il mio equilibrio era in pezzi. Dipendevo totalmente da lei. Era un angelo luminoso da amare e custodire.
Pochi giorni dopo ero solo nel mio ufficio, a lavorare. Le mani di Leniet si posarono sulla mia scrivania. Era riuscita a eludere la sorveglianza ed era entrata nel mio reparto super controllato, senza alcuna difficoltà.
«Sei pronto ?» mi chiese
L’emozione soffocò in gola il mio sì. Rantolai qualcosa. Il mio sentimento era diventato venerazione. Mi guardò e io la seguii come un segugio il suo benefattore. Voleva completare il rito, guidandone attraverso tutti i passaggi e mantenendo il coito come atto conclusivo della cerimonia iniziatica.
La Prostituta Sacra utilizza il sesso impuro come potenza spirituale.
Si sedette davanti a me con le gambe aperte e incominciò a imbellettarsi il sesso con un colore rosso. Aveva le dita e le braccia ingioiellate. Pitturava le grandi labbra come fossero una bocca, come fossero i petali di un grande fiore aperto che mostrava il bocciolo interno ancora socchiuso. Sorrideva della mia eccitazione. Continuò sui capezzoli, sull’ombelico, sulle cosce, sotto i piedi, poi passò a dipingere il mio corpo e si divertiva a stuzzicarmi con il pennello. Il mio pene eretto cercava un rifugio, mentre brevi e stimolanti contatti sulle parti più vulnerabili mi rendevano sempre più infervorato. Mi coprì il capo di penne, il petto di collane, la vita di catene e mi fece indossare vesti colorate e cominciò a cantare e a danzare. Un vortice infinito di voci, tintinnii e colori ci travolse. Ogni tanto lei sollevava le mie vesti e mi concedeva un contatto di lubrificazione magica, così lo chiamava. Ero estasiato, esultante.
Cademmo a terra sfiniti e Leniet mi porse un calice.
«Questo, perché tu possa concederti tutto il piacere che Dio ha riservato a te.»
Mi distese sui cuscini e mi condusse indietro nel tempo, quando il mondo sacro aveva un predominio su quello profano. Fu allora che conobbi come si abbracciavano gli umani antichi. Un abbraccio profondo e totale. Mi sentivo colmo di energia sessuale, saturo di piacere, gioco e divertimento.
«Aspetterai un po’, per la prossima volta. Ti chiamerò io, e tu verrai.»
Non avevo idea che sarebbero passati anni. Giorno dopo giorno sto aspettando Leniet. Vivo sospeso, in attesa che qualcuno giunga dal cielo. Le ultime invasioni risalgono a due anni fa.
Gli alieni della Terra Parallela si nutrono di piacere. Fino a poco tempo fa, pensavo di essere il solo, la sola vittima sacrificale, in mezzo ad una schiera di invulnerabili, ma questo non é vero. Ogni essere umano viene sacrificato almeno una volta. L’infamia del sacrificio é l’illusione, perché il rapimento dell’anima nel grembo di questi esseri potenti, liberi, creativi é insieme stupore, meraviglia e abbandono. Essi assorbono e accumulano energia, calore, forza e lasciano in cambio inquietudine e smarrimento.
No, non odio Leniet. Mi ha posto di fronte a ciò che é vero, ciò che vive ancora sotto le fortificazioni, oltre i confini di questa assurda esistenza. Posso solo amarla.