FRANCESCO BORALDO, I PRIMI ANNI DEL POETA NAZIM HIKMET ( 1901 – 1925 ). I. Istanbul e la scoperta dell’Anatolia. –Università Ca’ Foscari Venezia – ( link in fondo- dove trovate il seguito di questo bellissimo lavoro, il cui titolo è : Nâzım Hikmet: i contributi alla rivista Aydınlık – 2014 )

 

 

hikmet-i-i-nazim - Biografia - Casa della poesia

NAZIM HIKMET -( Salonicco, 1902- Mosca, 1963 )

foto e poesia  da Casa della Poesia – link

 

Strontium 90

Che strano tempo fa:
ora la neve, ora il sole,
ora la pioggia.
Sono gli esperimenti atomici -dicono-,
lo Strontium 90 si posa
sull’erba,
sulla carne,
sulla segale.
Sulla speranza
e sulla libertà
e sul grande sogno,
alla cui porta
bussiamo..
Siamo in gara con noi stessi, o mia rosa,
o noi porteremo la vita
sulle stelle morte
o la morte
calerà sul nostro mondo.

1958

Joyce Lussu

 

 

 

 

Nâzım Hikmet (anni 1901-1925)

 

1. Istanbul e la scoperta dell’Anatolia.

Mehmed Nâzım nacque a Salonicco, allora territorio ottomano, il 20 o il 21 novembre 1901 (Konuk-Blasing 25). La vivace città portuale era caratterizzata dalla presenza di molteplici comunità (ebraica, greca, turca, albanese e slava) e costituiva pertanto un piccolo esempio di quel particolare tessuto sociale e politico che contraddistingueva da secoli l’ecumene ottomana. La famiglia di Nâzım riproduceva essa stessa il carattere cosmopolita dell’ambiente urbano in cui venne alla luce il poeta, se si considerano le origini dei suoi avi: i nonni della madre, Ayşe Celile hanım (1880-1956), provenivano dall’aristocrazia polacca, data la figura di Constantine Borzenski (poi Mustafa Celalettin Paşa, 18261876), e da un contesto mitteleuropeo di fede ugonotta incarnato da Karl Detroit (poi Ali Paşa, 18271878). La storia personale dei due è assimilabile a quella di molti ragazzi europei cooptati dall’apparato governativo ottomano che potevano aspirare a raggiungere posizioni di potere nell’esercito attraverso un sistema spiccatamente meritocratico. Gli antenati materni del poeta possono pertanto essere considerati a tutti gli effetti esponenti di quell’élite governativa ottomana di cui faceva parte, dopotutto, anche il nonno paterno di Nâzım, ovvero Mehmed Nâzım Paşa (1840-1926), alto funzionario in numerose città dell’Impero, il cui figlio Hikmet Nâzım bey (1876-1932) sposò appunto Celile hanım nel 1900 (Göksu & Timms 1-3; Fuat 170). Fu appunto dal padre che Nâzım assunse anche il nome Hikmet per poter essere distinto dal nonno pascià. Molte devono essere state le suggestioni mistico-religiose con cui Nâzım ebbe familiarità durante l’infanzia (per lo più istanbuliota), in particolar modo grazie al fatto che il nonno Mehmed Nâzım faceva parte dell’ordine dei dervisci mevlevî, ed era sua abitudine portare ogni tanto con sé il nipote ad alcune delle cerimonie cui egli prendeva parte. I fatti testimoniano che la sensibilità poetica che lentamente Nâzım maturò era duplice: se da un lato egli udiva il Mesnevî di Mevlana  ( una delle opere più significative del poeta e santo persiano Rumi – blog) (che seguiva un andamento prosodico quantitativo) tramite la lettura che gliene faceva il nonno, dall’altro egli era poi in grado di rielaborare personalmente, ancora bambino, le medesime tematiche, adattandole però a una metrica di tipo sillabico-popolare (Konuk-Blasing 28- ( critica e traduttrice turco-americana che tradusse molte poesie di Hikmet, qui è citata la biografia che scrisse del poeta, blog).

Anche la figura della madre Celile, pittrice e amante della poesia, fece sì che il figlio fosse testimone di sollecitazioni artistiche certo preziose; a questo riguardo è opportuno ricordare come anche il poeta Yahya Kemal (1884-1958) fosse tra i frequentatori abituali di casa Hikmet. Fin dall’infanzia si dava insomma, nella figura di Nâzım, una particolare ricettività a ciò che costituiva poesia, tanto “colta” quanto “popolare”. A questo tipo di sensibilità si affiancò poi quella teatrale, arte che il poeta avrebbe tanto amato in vita, nella forma degli spettacoli di teatro d’ombre dei personaggi popolari Hacivat e Karagöz, portatori di una vena caricaturale e satirica nell’analisi di alcuni tratti peculiari della società ottomana (Konuk-Blasing 30).

 

nota

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Karagöz (a destra) e Hacivat (a sinistra)

Karagöz (occhio nero in lingua italiana) è il personaggio principale – insieme ad Hacivat (o Hacivad) – del teatro d’ombre turco tradizionale, divenuto popolare sotto l’impero ottomano, ma risalente al XIV secolo. Karagöz rappresenta l’uomo del popolo, illetterato e diretto, mentre Hacivat appartiene alla classe istruita, e si esprime in un linguaggio letterario. Lo spirito semplice ma arguto di Karagöz ha sempre la meglio sull’istruzione di Hacivat, anche se i suoi espedienti per arricchirsi inevitabilmente si traducono in un fallimento. (https://it.wikipedia.org/wiki/Karag%C3%B6z# ).Gli spettacoli del Karagöz sono associati soprattutto al Ramadan. Fino all’avvento della radio e del cinema, fu la forma di intrattenimento più popolare in Turchia, e sopravvive anche oggi, anche se in forme indirizzate soprattutto al pubblico infantile.

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penso sia una foto del teatro delle ombre
Joe Mabel -al  TurkFest, Center House, Seattle Center, Seattle, Washington,

 

riprende il testo

 

La condizione familiare in cui Nâzım si trovò a vivere la propria infanzia si può definire certamente agiata, sebbene non fosse contraddistinta da eccessi di ricchezza. Il padre del poeta cessò di prestare servizio come funzionario statale poiché in profondo disaccordo con la condotta politica del sultano Abdülhamit II (1842-1918), e per cercare altre forme di reddito si arrischiò in alcune iniziative commerciali di scarso successo, a Damasco e altrove. Venuto a mancare il sostentamento assicurato dalle mansioni del nonno paterno dopo il suo pensionamento, le ripercussioni economiche sul tenore di vita della famiglia non tardarono: il giovane Nâzım dovette cessare di frequentare il liceo privato di Galatasaray per iscriversi alla più economica scuola pubblica di Nişantaşı. Gli eventi bellici che da anni si susseguivano nei Balcani generarono col tempo in Nâzım slanci dai toni profondamente nazionalisti che ritroviamo in un numero di componimenti giovanili che egli dedica a uno zio caduto al fronte o negli accorati richiami all’azione che egli lancia in “Alla mia razza” e “Vendetta” (NH P 327-328). L’allora ministro della marina Cemal Paşa, che frequentava l’ambiente domestico del poeta, ebbe l’occasione di sentirlo recitare alcuni di quei versi e, positivamente colpito, fece in modo che Nâzım potesse entrare nell’accademia militare navale di Heybeliada, nel Mar di Marmara (Fuat 104).

La giovinezza del poeta vide anni travagliati sul fronte personale: egli visse dolorosamente la separazione dei genitori (1917), tanto da arrivare a scrivere lettere alla madre implorandola di riconsiderare la propria decisione (Konuk-Blasing 31), cosa che lei ad ogni modo non fece. La vita studentesca, poi, fu contraddistinta da continue complicazioni di ordine disciplinare, sicché la frequentazione scolastica risultò fortemente frammentaria, finché Nâzım non fu definitivamente sollevato dall’obbligo di frequentare l’accademia in circostanze peraltro incerte.

Soffrì anche di numerosi problemi di salute, essendo le sue vie respiratorie piuttosto deboli (Konuk-Blasing 32-33). Anche lo scenario politico internazionale metteva a dura prova l’animo di Nâzım e della popolazione intera, poiché il primo conflitto mondiale si era concluso, complessivamente, con la disfatta delle armate imperiali (Zürcher 139-140). Di conseguenza, mentre le Forze Alleate occupavano – con il beneplacito del sultano Mehmed VI (1861-1926) – la capitale, a partire dal 13 novembre 1918, quasi tutto ciò che rimaneva delle province anatoliche dell’Impero stava venendo ufficialmente spartito dalle Forze Alleate, in applicazione del Trattato di Sèvres del 10 agosto 1920 (Zürcher 179). È appunto nel contesto di smobilitazione generale dell’esercito imperiale che acquistò sempre più importanza la figura di un ufficiale dell’esercito, Mustafa Kemal (1881-1938). Pur avendo ufficialmente ricevuto l’ordine di supervisionare semplicemente le operazioni di disarmo, egli si fece invece portavoce delle istanze di quanti non vedevano di buon occhio la piega presa dagli eventi e la sostanziale remissività della dinastia regnante. Il richiamo che il movimento di resistenza aveva tra le giovani generazioni era considerevole e, pur sotto occupazione, a Istanbul non mancavano dibattiti pubblici che affrontavano apertamente le attualità del momento, in un contesto politico dalla grande incertezza (Göksu & Timms 10).

 

È Vâlâ Nurettin (1901-1967), amico del poeta e futuro giornalista e scrittore, a raccontare come Nâzım, dopo aver assistito a un comizio il 13 gennaio 1920 (Göksu & Timms 11-12), si rese conto del fatto che il contributo personale che egli voleva dare per assicurare un futuro al proprio paese non erano certo le esercitazioni che svolgeva al servizio di una marina militare tenuta in scacco da potenze straniere (Bu işgal İstanbul’unda artık yaşanmaz, “Ormai non si può più vivere in questa Istanbul sotto occupazione”, Vâ-Nû 39). Percepiva anzi come doveroso riuscire a coprire la distanza che c’era tra Istanbul e Ankara, cittadina anatolica che Mustafa Kemal aveva eletto a centro della resistenza, e poter quindi combattere in prima linea contro l’esercito greco che, sullo slancio del pensiero nazionalista della Megáli Idéa, aveva preso ad avanzare in territorio anatolico (Zürcher 187-189).

Il poeta non era quindi tipo da voltare le spalle alla pur dura realtà storica degli eventi per rifugiarsi in un’arte creata e vissuta all’interno di una sorta di torre d’avorio (Konuk-Blasing 36); al contrario, erano ormai piuttosto ricorrenti le pubblicazioni che egli faceva dei propri versi in riviste quali Yeni Mecmua, Alemdar e Ümid (Göksu & Timms 14), nonché le letture pubbliche di sue poesie che sempre più spesso invitavano il lettore a disfarsi di un immaginario orientalista idealizzato. Esemplare è il caso di “Se vai all’est, viandante” (NH P 334). Seguendo l’esempio di numerose personalità rilevanti in ambito giornalistico (tra cui Halide Edib (1884-1964), Adnan Adıvar (1882-1955), Yunus Nadi (1879-1945)), anche Nâzım e l’amico Vâ-Nû decisero quindi di concretizzare quel loro desiderio, e il 1 gennaio 1921 si imbarcarono, con documenti falsi per eludere i controlli di polizia e contando comunque sull’appoggio di alcuni funzionari tutto sommato solidali con la causa kemalista, sulla nave Yeni Dünya (“Nuovo Mondo”, che portava armi di contrabbando ai militari turchi in Anatolia, Konuk-Blasing 36) alla volta della cittadina costiera di İnebolu, sul Mar Nero, che svolgeva un po’ il ruolo di snodo per quanti volessero raggiungere Ankara né servendosi della linea ferroviaria, parzialmente controllata dalle truppe britanniche, né di altre strade allora rischiose per via dei gruppi di sbandati e briganti che avrebbero potuto verosimilmente interferire con il viaggio (Göksu & Timms 15). A fare loro compagnia a İnebolu vi erano altri due giovani poeti, Faruk Nafiz (1898-1973) e Yusuf Ziya (1895-1967), anch’essi desiderosi di prendere parte alla lotta di liberazione del paese; i quattro, nell’attesa dei loro lasciapassare per raggiungere Ankara, ebbero l’occasione di fare conoscenza con altre persone che, pur provenendo da contesti variegati, si ritrovavano unite nella loro volontà di affiancare le forze della resistenza. Tra queste persone un gruppo, in particolare, incontrò l’interesse di Nâzım Hikmet: si trattava di alcuni studenti turchi espulsi dalla Germania della Repubblica di Weimar nel contesto delle repressioni subite dagli aderenti alla Lega Spartachista a partire dal gennaio del 1919 e che avevano deciso di declinare la loro lotta contro l’imperialismo delle potenze capitaliste partecipando alla lotta kemalista.

 

La personalità del gruppo che più fece presa su Hikmet fu Sadık Ahi (1895-?, dopo il 1954), che per primo lo fece familiarizzare con concetti quali “lotta di classe”, “proletariato”, “internazionalismo” e “imperialismo”: egli, pur apprezzando lo spirito d’iniziativa del giovane poeta, ne criticò lo sciovinismo e la scarsa preoccupazione che dimostrava per il tipo di giustizia sociale che si sarebbe andata a configurare nel paese futuro. Sebbene sia azzardato affermare che l’incontro con questo giovane dall’aria bohémien vinse Hikmet alla causa comunista, è indubbio il fascino che venne esercitato sul giovane poeta e, interpretando l’incontro tra i due ragazzi in un contesto storico più ampio, si potrebbe affermare che questo fu il primo atto di quella particolare interazione tra respiro socialista e forza motrice nazionalista che avrebbe contraddistinto negli anni a venire la poetica hikmetiana (Akgül 54; Göksu & Timms 17). Giunti i permessi di proseguire per Nâzım e Vâ-Nû, i due ragazzi decisero di intraprendere il viaggio verso Ankara a piedi, poiché non disponevano di denaro sufficiente ad assicurare loro un mezzo di trasporto (Konuk-Blasing 37).

 

342 km ca-

cartina da Google.com

 

 

Il duro itinerario che percorsero in nove giorni fece entrare il poeta in contatto diretto con quell’Anatolia che fino ad allora non aveva mai avuto occasione di vedere, ed è plausibile ipotizzare che le testimonianze di estrema povertà e sofferenza ebbero un effetto scioccante sui due giovani non ancora ventenni. Il vedere quelle scene servì forse a rinsaldare la certezza, già espressa dal poeta, che lo stereotipo che pretendeva di comprendere a dovere un generico “Oriente” era quanto di più lontano potesse esserci dal vero; una certezza, questa, che avrebbe trovato espressione poetica anche in componimenti più tardi (Konuk-Blasing 38-39), non da ultime la “Quartine” (o “Quadretti”, NH P 145-151) composte a “fare il verso” ai temi riscontrabili in quelle del poeta Ömer Hayyam (1048-1131) o in altri scritti dello stesso Mevlana (1207-1273).

L’esperienza di quei nove giorni impiegati per raggiungere Ankara nel rigore dell’inverno del 1921 fornì all’animo del poeta e dell’amico materiale sufficiente a comporre poesie che prendono in oggetto la significatività dell’altopiano per loro inesplorato eppure gravido di sviluppi ancora da vedere attuati. Eloquente è il caso de “Il primo sguardo all’Anatolia interna”, i cui versi sono collocati in un generale contesto di profonda fede nel futuro che, onirico, “si dipana in valli e brume” (NH P 335). Sono prove, queste, del dare voce a ciò che le declinazioni poetiche tradizionali (tanto di corte quanto popolari) non avevano forse saputo esprimere in maniera adeguata; un modo, insomma, per far parlare quel “silenzio anatolico” (Konuk-Blasing 40) che non si era fatto finora sentire nella reticenza (anche formale, che comincia a essere superata) della produzione letteraria che Hikmet aveva fino ad allora conosciuto. Vi è più che un indizio di vena polemica, poi, in “Scalzi” (NH P 27-30), che racconta l’episodio in cui i due giovani appiedati incrociarono per strada una carrozza trainata da cavalli che trasportava un funzionario governativo verso la costa del Mar Nero; un componimento, questo, che si fa anche portavoce di quel disagio tangibile vissuto in una ruralità anatolica che ha ben poco di arcadico e molto di retrogrado, unendo però al disagio anche il desiderio di riscatto insito nei benefici apportati 7 dall’introduzione (auspicata) di moderni macchinari per la produzione agricola. I toni e i temi conclusivi del componimento saranno peraltro rimaneggiati più volte nell’arco della futura produzione del poeta.

 

 

 

 

continua nel link

da :

Università Ca’ Foscari Venezia

http://dspace.unive.it › handle › 815564-1165607

Nâzım Hikmet: i contributi alla rivista Aydınlık
di F Boraldo2014

 

 

Poesie d'amore - Nazim Hikmet - copertina

Mondadori, 2021

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