In cielo come in terra. Storia filosofica del male
Laterza, 2013
“Ci chiediamo se spiegare le cose si avvicini troppo a giustificarle e, se è così, dove dovremmo fermarci. Ci preoccupiamo su come mantenere un impegno di giustizia quando il mondo intero non lo fa. Ci chiediamo quale sia lo scopo di dare senso teorico al mondo quando non possiamo dare un senso alla miseria e al terrore. Possiamo farlo con ironia, asciuttezza o passione, ma in ogni caso troviamo il modo per considerare una parte trascurata del problema come il senso stesso della vita. Concentrarsi su tali questioni non consiste nel sostituire il pensiero critico con il buonismo. Al contrario: i testi qui discussi dovrebbero rivelare che poche cose danno adito a un pensiero di profondità e rigore tali da togliere il fiato e che, soprattutto, danno adito al dialogo, il vero inizio della filosofia”: da queste considerazioni prende avvio la riflessione di Susan Neiman sul problema del male. Che senso ha un mondo dove gli innocenti soffrono? Quale fede in un potere divino o nell’umano progresso resiste a non catalogare il male? Il male è forte e radicato o banale e mediocre? Fino a quando l’impossibile può divenire possibile in termini di brutalità e violenza? In un serrato confronto con molte voci della filosofia degli ultimi tre secoli – da Voltaire e Rousseau a Kant, da Leibniz a Schopenhauer, passando per Nietzsche e Freud, fino a giungere ai contemporanei Adorno, Camus, Arendt e Rawls – Susan Neiman dimostra come il male non abbia una essenza costante.
INIZIO — INTERESSANTE — DELL’ARTICOLO —
TRADUZIONE AUTOMATICA
THE NEW YORK REVIEW –
19 OTTOBRE 2023
La resa dei conti storica è andata in tilt
Susan Neimann
Gli sforzi dei tedeschi per affrontare la storia criminale del loro paese e per sradicare l’antisemitismo si sono spostati dalla vigilanza a un maccartismo filosemita che minaccia la loro ricca vita culturale.
Christian Mang/Reuters
Come ricordiamo le parti della nostra storia che preferiremmo dimenticare? La repressione e la revisione sono sempre opzioni. Pochi arriveranno fino a Ron DeSantis, che ha riformulato la schiavitù americana come una forma di scuola professionale, ma coloro che sono onesti noteranno il modo in cui si evolvono le loro narrazioni. Evidenziare i successi e consegnare i fallimenti all’oblio è comune quanto scrivere un curriculum. Le nazioni non sono meno propense degli individui ad abbellire il proprio passato. Gli storici possono faticare negli archivi alla ricerca di qualcosa di simile alla verità, ma la memoria pubblica è un progetto politico il cui rapporto con i fatti è più precario.
Quindi non sorprende che fino a poco tempo fa gli scolari americani imparassero a recitare l’inizio della Dichiarazione di Indipendenza senza mai apprendere che i Padri Fondatori ignoravano il diritto alla libertà degli afroamericani e il diritto alla vita dei nativi americani. La memoria pubblica è progettata per creare identità che le persone siano orgogliose di sostenere. Perché insegnare agli scolari che le realtà americane hanno violato gli ideali americani fin dall’inizio del paese, il che può solo causare vergogna?
Gli Stati Uniti non sono certo gli unici a preferire una versione eroica del proprio passato. Cresci i bambini sulla Magna Carta e sulla Battaglia d’Inghilterra e saranno felici di condividere la gloria della nazione britannica. Perché confonderli con storie di imperi? Gli scolari francesi possono essere orgogliosi di diventare cittadini del paese che ha donato al mondo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo; c’è bisogno di dire loro che esso è stato ignorato pochi anni dopo aver ispirato la rivoluzione di Haiti, il cui leader, Toussaint Louverture, fu condannato a morte in una prigione francese?