LIMES ONLINE– 5 NOVEMBRE 2015
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I CONFINI D’ISRAELE SECONDO LA BIBBIA
Carta di Laura Canali.
Il testo sacro offre due definizioni dello spazio israeliano, dalle dimensioni completamente diverse. L’origine e il senso teologico di queste versioni di Erets Yisra’el si offrono a vari usi geopolitici. Tra yerushah e achuzah. L’opinione del rabbino Rav Ovadya.
di Pierpaolo Pinchas Punturello
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AL FONDO LA LISTA DEGLI ARTICOLI
1. I CONFINI DELLA TERRA DI ISRAELE SPESSO richiamano l’attenzione in base all’uso geopolitico e storico che se ne fa.
Gli stereotipi sui confini israeliani, generalmente, seguono due binari che definiscono lo spazio di Israele in maniera molto diversa: a) dal Nilo all’Eufrate; b) da Dan fino a Be’er Sheva‘.
Queste espressioni così vaghe creano immagini di Israele molto distanti tra loro: nel primo caso corrisponderebbe quasi all’intero Medio Oriente, mentre nel secondo non è altro che un piccolo paese poco più grande di una media regione italiana.
Qual è, dunque, la giusta definizione biblica e geografica del paese?
Nel libro dei Numeri al capitolo 34, 1-13 le parole di Dio sugli spazi ebraici di questa nuova e antica terra non sembrano lasciare dubbi a molte interpretazioni:
«Il Signore disse a Mosè: “Dà questo ordine agli Israeliti e riferisci loro: Quando entrerete nel paese di Kena‘an, questa sarà la terra che vi toccherà in eredità: il paese di Kena‘an. Il vostro confine meridionale comincerà al deserto di Tsin, vicino a ‘Edom. (…) La vostra frontiera a occidente sarà il Mar Mediterraneo: quella sarà la vostra frontiera occidentale. Questa sarà la vostra frontiera settentrionale: partendo dal Mar Mediterraneo, traccerete una linea fino al monte Hor; dal monte Hor, la traccerete in direzione di Cha’mat. (…) Traccerete la vostra frontiera orientale da Chatsar-‘Enan a Sefam. (…) Questo sarà il vostro paese con le sue frontiere tutt’intorno”».
Molti sono stati nei secoli i tentativi di localizzare tutti i luoghi nominati in questo brano biblico. I confini occidentali e orientali del paese, il Mediterraneo e il fiume Giordano, sono facilmente identificabili, mentre il confine a nord e a sud del paese è aperto a svariate interpretazioni.
Come per gli stereotipi già citati anche in questo caso possiamo avere un approccio minimalista, identificando il confine settentrionale con un’area corrispondente al Sud del Libano, non lontano da Metulla, e il confine meridionale con un’immaginaria linea tra Be’er Sheva‘ e Gaza. Ma potremmo anche scegliere una strada totalmente inclusiva e fissare il confine settentrionale in un’area tra la Turchia e il Nord della Siria e quello meridionale nel deserto del Sinai.
Sebbene il confine orientale sembri essere graniticamente il fiume Giordano, al capitolo 31 dello stesso libro biblico dei Numeri (31, 1-54) troviamo la storia delle tribù di Gad e Re’uven che scelsero di non passare il Giordano con le altre tribù e proposero a Mosè di restare al di qua del fiume, dove esistevano ottimi pascoli per il loro bestiame. L’autorizzazione che essi ricevettero da Mosè a restare al di qua del Giordano espanse, di fatto, il nuovo confine, creando un’ambiguità sia territoriale che politica.
Questa ambiguità territoriale resta, fino ai nostri giorni, l’elemento da analizzare, la domanda geografica alla quale rispondere. Sopra ogni cosa, resta la riflessione intorno al carattere più o meno sacro o discutibile dei confini della Terra di Israele.
2. Per rispondere a questa domanda da un punto di vista squisitamente teologico dobbiamo affrontare alcuni passi del libro della Genesi.
Sono tre i passi in cui Dio promette ad Abramo l’eredità della terra. La prima volta quando il patriarca era ancora in Ur Kasdim: «Il Signore disse ad Abramo: “Va’ via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti mostrerò”» (Genesi 12,1).
La seconda promessa fu espressa a Shechem, in terra di Israele. In questo caso il testo biblico esprime con chiarezza l’eredità della terra sacra per i figli di Abramo: »Io darò questo paese alla tua discendenza» (12,7).
La terza promessa trova la sua manifestazione in Bet ’El, sempre all’interno del territorio della Terra di Israele: «Alza gli occhi e guarda, dal luogo dove sei, a settentrione, a meridione, a oriente, a occidente. Tutto il paese che vedi lo darò alla tua discendenza per sempre» (13,14).
In tutti i passi sopra citati viene chiaramente espressa la volontà divina dell’eredità della terra, ma non abbiamo nessuna definizione o caratterizzazione geografica del territorio, cosa che invece è esplicitamente espressa in Genesi 15, 18-21, nel cosiddetto episodio del «patto ben habetarim», tra Dio ed Abramo: «In quel giorno il Signore fece un patto con Abramo, dicendo: “Io do alla tua discendenza questo paese, dal fiume d’Egitto al gran fiume, il fiume Eufrate; i Chenei, i Chenizei, i Cadmonei, gli Ittiti, i Ferezei, i Refaim, gli Amorei, i Cananei, i Ghirgasei e i Gebusei”».
Come possiamo facilmente notare la terra definita da questi confini è enorme: a nord-est il confine è il fiume Eufrate, che scorre dal Nord della Siria sino al Golfo Persico. A sud-est troviamo il fiume Nilo, il cui letto nasce in Etiopia per arrivare fino al porto di Alessandria d’Egitto.
Al capitolo 17,8 della Genesi il confine e la stessa promessa di Dio sembrano restringersi alla sola terra di Kena‘an: «A te e alla tua discendenza dopo di te darò il paese dove abiti come straniero: tutto il paese di Kena‘an, in possesso perenne».
Sebbene i confini di questa «nuova» terra promessa siano decisamente più piccoli rispetto alla promessa di un paese ampio «dall’Eufrate al Nilo», è in questo passo che per la prima volta appare l’espressione «Erets Yisra’el», Terra di Israele.
Da questo passo e dalla definizione di «paese dove abiti» (erets megurecha) comprendiamo che il testo biblico indica come spazio della terra di Kena‘an la terra abitata dai nostri padri, in particolare Abramo, un territorio che si estende in un’area compresa tra Be’er Sheva‘ e Grar a sud e Shekhem e Dotan a nord, fino a spingersi sino a Dan, luogo della battaglia tra Abramo e i quattro re come narrato in Genesi 14,14.
Se, quindi, i versetti in Genesi 15, 18-21 hanno ispirato l’idea di un confine dall’Eufrate al Nilo, sono invece i versetti al capitolo 17,8 che definiscono il con- fine da Dan a Be’er Sheva‘.
Comprendere questi due tipi di confine significa intendere il significato dei due tipi di patti proposti nelle scritture tra Dio ed Abramo, il patto contenuto al capitolo 15 e al capitolo 17 della Genesi.
Nel primo caso, proprio dopo che Abramo ha sconfitto i quattro re, Dio gli promette che la sua discendenza un giorno conquisterà (yerushah) la terra, così come egli stesso aveva appena fatto. Tuttavia questa conquista sarebbe durata per svariate generazioni e la terra in questione era definita al massimo della sua potenzialità geografica, dal Nilo all’Eufrate. Una potenzialità che riflette il carattere storico-nazionale della relazione tra Dio e il popolo ebraico così come visto dal testo sacro.
Nel secondo patto, dopo che Dio stesso cambia il nome di Abramo in A’vraham, Dio gli promette una speciale relazione tra Lui e i discendenti del patriarca, un patto che non è più storico-nazionale ma diviene religioso-personale, si rivolge all’intima relazione tra il popolo ebraico e Dio, in una prospettiva dove la terra promessa è la Terra di Kena‘an, Erets Kena‘an, e l’eredità da yerushah diventa achuzah, possesso.
Il primo aspetto, quello nazionale, rimanda alla kedushah della terra, alla santità di essa e si riferisce all’idea di una conquista (yerushat haAretz) e alla creazione di una sovranità nazionale. Una santità che storicamente gli ebrei acquisiranno con Yeoshua, il condottiero biblico che guidò gli ebrei verso Israele dopo la morte di Mosè.
Il secondo aspetto, con il suo rimando alla relazione intima e religiosa tra popolo ebraico e Dio, si riferisce alla kedushat Erets Kena‘an, alla santità della terra di Israele che riflette la speciale predilezione di Dio per questa terra e il Suo costante sguardo benevolo su di essa anche quando non abitata da ebrei. Una santità intrinseca alla terra senza distinzione dei passi che la solcano: siano essi romani, bizantini, crociati, turchi.
3. Yerushah e achuzah, parole ebraiche che rimandano al senso dell’eredità, ma con sfumature diverse, sono due concetti chiave per descrivere il rapporto tra testo biblico, popolo ebraico e terra di Israele.
La parola yerushah denota conquista e sovranità, controllo militare e possesso di un territorio. Di conseguenza colui che controlla un territorio, secondo la visione della yerushah, può cedere o vendere un territorio secondo il suo proprio potere decisionale. La achuzah è invece l’espressione di un contesto ereditario, non sottoposto a conquiste ma ricevuto per linea familiare e parentale.
Nell’incontro interpretativo tra yerushah e achuzah possiamo comprendere il conflitto tra le due definizioni di confine della Terra di Israele e l’enorme distanza tra gli stessi.
I confini della terra promessa sono quelli descritti nel secondo patto stipulato tra Dio e Abramo, quelli definiti tra Dan e Be’er Sheva‘, in un’area geografica definita in maniera naturale dal Mediterraneo a ovest, dal deserto del Negev a sud, dal fiume Giordano a est e dalle catene montuose del Libano a nord.
Conquistata quest’area, i confini potrebbero, ma non devono obbligatoriamente, essere ampliati seguendo la descrizione contenuta nel patto raccontato in Genesi 15, dal Nilo all’Eufrate. Sembra quindi che il testo biblico indichi un’area geografica dove il popolo ebraico debba abitare e un secondo orizzonte geografico potenzialmente ampliabile se ritenuto necessario.
La santità della terra, secondo questa visione, non si espande fino alla Transgiordania a meno che i figli di Israele non abbiano già conquistato e posto sotto la loro sovranità il territorio da Dan a Be’er Sheva‘.
4. Come vediamo, i confini della Terra di Israele richiamano l’attenzione sulla loro esistenza in base all’uso geopolitico e storico che si fa di essi.
Dal 1967 a oggi, cioè dall’indomani della guerra dei Sei giorni, il dibattito su questi confini ha viaggiato e si è sviluppato tra usi geopolitici del concetto di confine, stereotipi biblici e lancio ad hoc dei versetti veterotestamentari che abbiamo esaminato.
Per esempio Herut e Gush Emunim (parole ebraiche per Libertà e Blocco della fede) furono i primi partiti israeliani che utilizzarono proprio il racconto biblico per giustificare ed esprimere al meglio le loro ideologie sulla questione della Cisgiordania. È proprio dall’incontro tra il libro dei Numeri e il senso territoriale nazionale interpretato dal sionismo revisionista guidato negli anni Settanta del secolo scorso da Menachem Begin che nasce l’idea di una Erets Yisra’el laica, quindi non una espressione teocratica dello Stato, seppur sviluppata sui confini legati alla Torah nella sua descrizione territoriale più ampia ed inclusiva.
Di contro, proprio l’elasticità narrativa con la quale il testo biblico si relaziona con i confini della Israele storica può essere interpretata come una delle strade che hanno permesso, con grande difficoltà, a un certo mondo religioso l’accettazione della formula di accordo con gli egiziani per la restituzione dei territori del Sinai.
Sebbene esista il divieto di «Lo techanem» (Deuteronomio 7,2) cioè di non cedere nessuna «chanayah», ovvero territorio di Erets Yisra’el agli idolatri, i maestri dal medioevo in poi hanno discusso la definizione di idolatria fino a escludere da essa, per esempio, il mondo islamico. Questo status non idolatra dell’islam ha permesso, nel 1979, l’espressione di un parere rabbinico positivo da parte del rabbino Ovadya Yosef, già rabbino capo sefardita di Israele, recentemente scom- parso, rispetto alla restituzione dei territori del Sinai all’Egitto.
Rav Ovadya spiegò che il fondamento della sua opinione si basava sul concetto di pikuach nefesh, salvezza della vita, che supera ogni tipo di altro divieto, e contemporaneamente su riflessioni sui confini di Israele al di là della mappa tradizionale da Dan a Be’r Sheva‘.
Tuttavia, nell’estate del 2005, tra le tante questioni che il governo di Ariel Sharon dovette affrontare prima dell’operazione unilaterale di sganciamento da Gaza (questioni di sicurezza nazionale, di costi umani nella gestione e nel controllo di quei territori, di proiezioni demografiche), non poco peso ebbero le riflessioni prettamente religiose rispetto all’abbandono ebraico di una parte della Terra di Israele, di Erets Yisra’el, con la conseguente tensione con la comunità religiosa e sionista quasi compattamente schierata contro la decisione del governo, perché non vi era nessuna garanzia di pace, quindi nessun caso di pikuach nefesh dal quale poter partire per una riflessione sulla Terra di Israele e la sua eredità. Ad ogni modo il testo biblico, proprio riflettendo sul rapporto tra conquista ed eredità della terra, dimostra chiaramente come qualsiasi aspirazione o interpretazione geopolitica dei confini di Israele sia di fatto irrilevante in termini reali. Anzi, alla luce delle scritture appare chiara la possibilità di una interpretazione intima e contingente dei confini di Erets Yisrael qualora essi servissero come elementi di scambio in un sincero e garantito percorso di pace.
La kedushat Erets Yisra’el, la santità della terra di Israele, a livello individuale deve essere considerata come un dono divino, mentre a livello nazionale andrebbe definita come una sfida divina: la presenza nazionale di Israele sulla propria terra è una costante prova di equilibrio tra i valori nazionali di un popolo e l’incontro non sempre facile con il resto del mondo e dei popoli della regione mediorientale.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Per le traduzioni dall’ebraico del testo biblico: Tanach, Bibbia Ebraica, Pentateuco ed Haftaroth, a cura di RAV DARIO DISEGNI, Firenze 1998, La Giuntina.
R. DEL SARTO, L’identità contestata di Israele e il Mediterraneo (L’asse territoriale-politico: Eretz Israel versus Medinat Israel), 2002.
P.R. WILLIAMSON, «Promise and Fulfilment: The Territorial Inheritance», in PH. JOHNSTON, P. WALKER (a cura di), The Land of Promise: Biblical, Theological and Contemporary Perspectives, Leicester 2000, Apollos.
E. SCHWEID, The Land of Israel: National Home or Land of Destiny, Madison, N.J. 1985, Fairleigh Dickinson University Press.
LISTA DEGLI ARTICOLI DEL N. 10 / 2015
Il numero 10/2015 di Limes si intitola “Israele e il libro“ ed è dedicato alle radici bibliche della geopolitica dello Stato ebraico.
È disponibile online, in libreria, ebook, su iPad oppure come arretrato cartaceo.
Chi si abbona a Limesonline può leggere il numero direttamente sul sito di Limes.
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La monografia si apre con l’editoriale “Una giungla nella villa?“.
La prima parte, “Il testo, la parola, la storia”, analizza le radici bibliche dello Stato d’Israele e le loro ripercussioni geopolitiche. Si segnalano qui gli articoli “Israele e il Libro” di Massimo Giuliani e “I confini di Israele secondo la Bibbia” di Pierpaolo Pinchas Punturello.
La seconda parte, “Israele (non) visto dagli altri”, verte sul contesto geopolitico del Medio Oriente e sui rapporti con il resto del mondo.
Segnaliamo qui “Il gran muftì e Hitler (e Netanyahu)” di Wolfgang G.Schwanitz e “Dopo il sionismo. Le radici evangeliche dell’alleanza Usa-Israele” di Morris M. Mottale.
La terza parte, “Geopolitica e identità (sostantivo plurale)“, analizza lo scontro identitario e geopolitico tra israeliani e palestinesi.
Si evidenziano questi saggi:
Reuven Rivlin, “Le quattro tribù di Israele” – discorso ufficiale del presidente della Repubblica;
Mattia Toaldo, “La Gerusalemme segregata”;
Danny Rubinstein, “Dopo il sionismo, apartheid o Stato binazionale?“;
Federico D’Agostino, “La lunga marcia del movimento Reform verso il sionismo“;
Shmuel Sermoneta-Gertel, “Se Herzl tradisce l’ebraismo“.
Nella parte extra-monografica Limes in più, due interviste esclusive.
La prima con George Friedman, fondatore di Stratfor: “Hegel e la geopolitica“.
La seconda con l’amministratore delegato di FCA Sergio Marchionne: “Il mondo secondo Marchionne“.
In chiusura, la consueta rubrica “La storia in carte” a cura di Edoardo Boria.
Insomma, Dio poteva dare una carta geopolitica più precisa, eliminando un sacco di guai.