–grazie a Donatellla ! +++ trailer film + Diari di Emanuele Artom, Boringhieri, 2008 + ASCANIO CELESTINI : 25 aprile, quando penso che non serva festeggiarlo penso a Emanuele Artom –IL FATTO QUOTIDIANO DEL 25 APRILE 2017 + altro su Primo Levi e il gruppo torinese + pdf Bianca Guidetti Serra su Emanuele Artom

 

 

 

DONATELLA LA BELLA  O ... ” ARVORE DA GOTI “

 

 

TRAILER IN ITALIANO DEL FILM : ” EMANUELE ARTOM, IL RAGAZZO DI VIA SACCHI ” Regia: Francesco Momberti ( 2011 )–film docu, 58 minuti- Con Tullio Levi, Silvia Finzi, Massimo Ottolenghi, Paola Debenedetti, Bianca Guidetti​ …

3.10 minuti

 

 

Dopo la sepoltura si persero le tracce del corpo del commissario partigiano di Giustizia e Libertà EMANUELE ARTOM. Molte persone per anni hanno tentato di capirne il perché. Il giovane Emanuele, innamorato della cultura democratica e della tradizione ebraica, visto con gli occhi di chi lo ha conosciuto, attraverso il suo percorso politico e spirituale nelle formazioni partigiane G.L., offre un lucido esempio di quella che fu l’esperienza clandestina con l’ottica dello studioso ricercatore; attraverso la rilettura del suo diario vero e proprio testamento storico di un uomo che stava già pensando al nostro domani, alla strutturazione di una società solidale che si lasciasse alle spalle vent’anni di dittatura fascista.

 

 

 

DIARI DI UN PARTIGIANO EBREO

GENNAIO 1940 – FEBBRAIO 1944

17,00 €
256 PAGINE
BOLLATI BORINGHIERI

I diari di Emanuele Artom sono composti di due parti distinte. La prima concerne il periodo che va dal 1° gennaio 1940 al 10 settembre 1943, ed è una fonte straordinaria di notizie sulla vita culturale torinese, sui processi sociali che prendono l’avvio tra la caduta di Mussolini, la firma dell’armistizio e l’inizio dell’occupazione tedesca. La seconda parte, che va dal novembre 1943 al 23 febbraio 1944, riguarda invece l’esperienza partigiana di Artom e offre una rappresentazione immediata e priva di retorica della vita delle bande, delle dinamiche sociali interne e dei contrasti politici e personali.
La cronaca degli eventi che segnano la vita dei resistenti è in primo piano, ma intrecciate ad essa compaiono dense riflessioni sull’etica dei resistenti. Risulta evidente come per Artom il senso della lotta non stesse tanto e solo nello scontro armato, quanto nella possibilità di delineare una socialità e una moralità diverse, di trovare una linea di demarcazione di tipo etico che distinguesse fascisti e antifascisti. Sono questi gli elementi che fanno dei diari di Artom un documento di grande efficacia storiografica e li pongono fra le testimonianze più alte della moralità della Resistenza.

 

Lo straordinario documento di un percorso ebraico italiano che sfocia in esperienza partigiana.

 

 

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 25 APRILE 2017

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/25/25-aprile-quando-penso-che-non-serva-festeggiarlo-penso-a-emanuele-artom/3542626/

 

 

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Ascanio Celestini

Ascanio Celestini

Attore, autore

 

25 aprile, quando penso che non serva festeggiarlo penso a Emanuele Artom

 

 

25 aprile, quando penso che non serva festeggiarlo penso a Emanuele Artom

 

 

 

Con le armi in mano e con i libri in tasca.

La guerra finita il 25 aprile del 1945 è stata combattuta così, almeno da quelli che non solo volevano vederla finire, ma che si preoccupavano anche che non ricominciasse, che non si portasse dietro ancora tanti anni di fascismo nascosto nella democrazia.

C’erano più fascisti al potere nel 1950 che nel 1930. Erano quelli che avevano preso i tanti piccoli o grandi posti di comando durante il ventennio.

Bisognava cambiare il paese anche con i libri. Bisognava insegnare che si può vivere in un altro modo.

Forse era 15 o forse anche 16 anni fa che a Torino incontro Bianca Guidetti Serra.

Me la fa conoscere Goffredo Fofi, anzi più che altro me lo impone.

Mi dice che se voglio lavorare sul tema del lavoro (nel 2002 ho debuttato con lo spettacolo “Fabbrica”) devo sentire anche lei. Ci vado.

Mi racconta un mucchio di storie e tra queste anche quella di Emanuele Artomun partigiano. Mi dice che un giorno lo va a trovare in montagna e lui le chiede “portami dei libri. Ché i partigiani che stanno con me hanno vent’anni, sono nati e hanno vissuto col fascismo. Certi libri non glieli hanno fatti proprio conoscere. Il fascismo non è arrivato per casonon ci è caduto in testa come una tegola. Noi vinceremo questa guerra, ma bisogna cambiare anche la cultura fascista della gente. Fargli conoscere quello che il fascismo gli ha nascosto per 20 anni”.

“Portami i libri” dice, non solo armi e cibo.

 

 

l’articolo +++  interessante continua nel link:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/25/25-aprile-quando-penso-che-non-serva-festeggiarlo-penso-a-emanuele-artom/3542626/

 

 

DA QUI : TESTO E IMMAGINI  DA: 

UN GRANELLO DI SABBIA

 A BIANCA

 

 

 

https://ungranellodisabbia.wordpress.com/

 

 

Bianca Guidetti Serra, partigiana sempre

Bianca Guidetti Serra- foto da Collettiva

 

 

A voi la fiaccola. Bianca Guidetti Serra e Primo Levi | Maverick

Bianca e Primo Levi
foto : https://mavericknews.wordpress.com/

 

Bianca con Alberto Salmoni (alla sua sinistra) e Primo Levi (ultimo a destra)

 

“Noi siamo un gruppo di amici piuttosto esclusivo. Siamo legati, uomini e donne, da un vincolo serio e profondo, ma vecchio e scarsamente rinnovato, che consiste nell’aver vissuto insieme anni importanti, e nell’averli vissuti senza troppe debolezze” ( Psicofante, dalla racoclta di racconti ” Vizio di forma ” )

“Ma io ero ritornato dalla prigionia da tre mesi, e vivevo male. Le cose sofferte mi bruciavano dentro, mi sentivo più vicino ai morti che ai vivi, e colpevole di essere uomo, perché gli uomini avevano edificato Auschwitz, ed Auschwitz aveva ingoiato milioni di esseri umani, e molti miei amici, ed una donna che mi stava nel cuore. Mi pareva che mi sarei purificato raccontando, e mi sentivo vicino al Vecchio Marinaio di Coleridge, che abbranca in strada i convitati che vanno alla festa per infliggere loro la sua storia di malefizi”. ( ” Sistema Periodico “)

In seguito, come avviene, le nostre vie sono andate divergendo, alcuni di noi hanno commesso dei compromessi, altri si sono feriti a vicenda, volontariamente o no, altri ancora hanno disimparato a parlare o hanno perso le antenne; tuttavia, proviamo piacere a ritrovarci: abbiamo fiducia l’uno nell’altro, ci stimiamo reciprocamente, e di qualunque argomento trattiamo, ci accorgiamo con gioia di parlare pur sempre lo stesso linguaggio (qualcuno lo chiama gergo), anche se non sempre le nostre opinioni coincidono.

Torino e il Liceo d’Azeglio, la cultura torinese liberale e marxista, borghese e proletaria di Gramsci e Gobetti; il liceo  di Pavese e Ginzburg, di Mila e Antonicelli, di Bobbio, Foa e Pajetta, di Giulio Einaudi; qui approderà anche Bianca Guidetti Serra, e qui conoscerà Roberto Salmoni – suo futuro marito – e il gruppo più intimo tra gli amici di lui: si chiamavano Franco Momigliano, Silvio Ortona, Vanda Maestro, Luciana Nissim, Ada Della Torre, Franco Sacerdoti e Primo Levi.

Più all’esterno c’era l’«isolato» Sandro Delmastro, il protagonista del capitolo Ferro del Sistema periodico, l’uomo che contribuì incidere nel cuore del giovane studente Levi l’amore per la montagna. Sandro, ucciso dai fascisti nel 1944, come accadde a Emanuele Artom, altro caro amico di Bianca.

Nel frattempo  l’università li nomina avvocati (Ada, Bianca, Franco e Silvio), letterati (Emanuele e Ada), chimici (Primo, Alberto, Vanda), medici (Luciana), architetti (Eugenio Gentili Tedeschi), ingegneri (Lino Jona) ma premurandosi di rendergli la vita difficile con il divieto, in quanto ebrei, di andare fuori corso.

Intanto, scrive Levi,  fuori dalle mura dell’Istituto Chimico era notte, la notte dell’Europa: Chamberlain era ritornato giocato da Monaco, Hitler era entrato a Praga senza sparare un colpo, Franco aveva piegato Barcellona e sedeva a Madrid. L’Italia fascista, pirata minore, aveva occupato l’Albania, e la premonizione della catastrofe imminente si condensava come una rugiada viscida per le case e nelle strade, nei discorsi cauti e nelle coscienze assopite.

 

primo-levi-albero-salmoni - Copia

Primo Levi e Alberto Salmoni

 

Quando infine l’Italia corre alle armi, il 10 giugno 1940, da qualche mese era attivo, nella Polonia del nord, il campo di concentramento di Auschwitz, Lager che – per le sue dimensioni metropolitane (con tre campi principali, Auschwitz I, II-Birkeau, III-Monowitz e 45 sottocampi), il suo ibridismo di campo di lavoro forzato (Artbeitslager) e di sterminio diretto (Vernichtungslager) e il numero dei morti intorno al milione – simboleggerà l’intero sistema concentrazionario.

 

 

Con la guerra venne la scelta della Resistenza anche per gli ex ragazzi del D’Azeglio. Bianca e Silvio furono partigiani comunisti, già militanti durante gli scioperi del marzo 1943, i primi dopo vent’anni di dittatura (Bianca sarà attiva, con Ada Gobetti del Pd’a, nei “Gruppi di Difesa”), mentre Primo, come Alberto, «era di idee più vicine al Partito d’azione»

Ada Gobetti

Ada Gobetti

 

Levi stesso si esprimerà più volte – a partire dalle righe iniziali del primissimo libro – sulla genesi di quella scelta quando ammette di aver vissuto quel tempo «in un mio mondo scarsamente reale, popolato da civili fantasmi cartesiani», e di coltivare «un moderato e astratto senso di ribellione»

La prima separazione avvenne quando Bianca andò sulle montagne piemontesi e Primo in Val d’Aosta, con un gruppo a sua volta affiliato a una banda di «Giustizia e Libertà», dove sarà arrestato dalla Milizia il 13 dicembre 1943. La vicenda di quella brevissima e sprovveduta – è il termine usato da Primo – Resistenza è stata di recente indagata dagli storici ma fu Levi a gettare l’amo di una discussione (che si sarebbe trasformata in polemica) su quei giorni nel capitolo Orodel Sistema periodico:

estremamente insicuri dei nostri mezzi, con in cuore assai più disperazione che speranza, e sullo sfondo di un paese disfatto e diviso, siamo scesi in campo per misurarci. Ci separammo per seguire il nostro destino, ognuno in una valle diversa.

 

Quello che segue è noto ai lettori di Levi: parlo della prima deportazione da Aosta al campo di raccolta di Fossoli di Carpi, in qualità di ebreo e politico, e di lì, pochi giorni dopo, ad Auschwitz. Troppo noto per essere nuovamente riassunto. Ciò che conta è che quel canale di comunicazione, per una serie di circostanze fortunate, non si interruppe.

 

LUCIANA NISSIM

 

Sul vagone piombato in direzione dell’ignoto, nelle condizioni bestiali raccontate da tutti i reduci, il 23 febbraio 1944 Primo, Vanda e Luciana lasceranno cadere una cartolina sui binari fra Trento e Bolzano.

Mi dicevano “Cara Bianca, tutti in viaggio alla maniera classica – saluta tutti – a voi la fiaccola. Ciao Bianca, ti vogliamo bene”, sul retro le scritte “Vinceremo” e “Impostare per favore”, cosa che qualcuno aveva premurosamente fatto. Poi silenzio per molti mesi.

 

Primo verrà assegnato alla fabbrica di gomma sintetica Buna di proprietà della IG-Farben, nel campo di Monowitz, con il numero di matricola 174517. Stessa sorte per Franco Sacerdoti. Levi non ha mai fatto mistero del ruolo giocato dalla sorte nella storia della sua deportazione e sopravvivenza, fin dalle prime righe, tragicamente ironiche, della premessa aggiunta all’edizione cinquantottina di Se questo è uomo:

Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenor di vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli.

Luciana Nissim finirà a Birkenau, numero di matricola 75689, racconterà la sua vicenda nel dostoevskiano Ricordi della casa dei morti, tra le prime testimonianze sui Lager, pubblicato nel 1946. Vanda Maestro verrà mandata in gas durante la grande selezione dell’ottobre 1944. Levi, che l’aveva probabilmente amata in silenzio, dedicherà a lei alcuni dei suoi più struggenti versi:

Vanda Maestro, partigiana e deportata.

Vanda Maestro

 

25 febbraio 1944

 Vorrei poter credere qualcosa oltre,

oltre che morte ti ha disfatta.

Vorrei poter dire la forza

con cui desiderammo allora,

noi già sommersi,

di potere ancora una volta insieme

camminare liberi sotto il sole.

 (9 gennaio 1946)

 

Mentre Bianca, come la maggioranza degli italiani, ignorava quasi tutto dei campi, a Monowitz accadeva che un muratore di Fossano, impiegato per la ditta Beotti presso la Buna, s’imbattesse fortuitamente in Primo. Benché fosse un uomo libero (diligente lavoratore ma che odiava i tedeschi e la loro lingua, riferisce Levi) e benché il campo degli operai italiani sorgesse nettamente separato dagli internati, Lorenzo Perrone, come già aveva fatto per un polacco e un francese, aiutò Levi a sopravvivere portandogli clandestinamente cibo, una maglia dismessa, e svolgendo una altrettanto rischiosa opera di primo intermediario tra il prigioniero e l’Italia. La seconda intermediaria era Bianca Guidetti Serra, alla quale giunsero tre lettere: il 26 giugno, il 21 agosto e il 1° novembre. Possiamo riferirne due. In quella del 26 era scritto:

Carissima signorina Bianca, o visto ieri primo sta bene, lavora e forse le scriverà è un po’ dimagrito e attende di rivederla o almeno le tue notizie. Qui ce niente di nuvo molti ringraziamenti da parte sua e tanti saluti. Lo Pe ce sono il suo amico Perrone Lorenzo spero di ricevere un suo scritto addio

  Perrone Lorenzo

Gruppo Italiano Ditta Beotti Auschwitz-Germania

 

Nel giugno del 1944, come una cometa, arrivò ad Auschwitz dall’Italia, un pacco di viveri indirizzato a Lorenzo Perrone alter ego provvisorio di Primo Levi. Il 20 agosto una seconda cartolina prendeva la difficile via dell’Italia, verso Bianca:

O saputo che Luciana lavora poco distante di qui. Abbi come me tanto coraggio e tanta speranza e ricevi un cordiale saluto e un forte abbraccio di chi sempre ti ricorda, tuo Lorenzo.

In questo modo, Primo riusciva anche ad avere una risposta da parte della madre, evento che, nell’ermetico inferno di un prigioniero ebreo, era se possibile più vitale di una razione ulteriore di quella zuppa liquida che chiamavano pasto. La storia di Lorenzo, l’uomo grazie al quale, scriverà l’amico dall’altra parte del filo spinato, «mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo», è raccontata, come una sorta di leggenda, in Se questo è un uomo e in Il ritorno di Lorenzo, raccolto in Lilít e altri racconti (1981).

 

Terza e ultima coincidenza salvifica fu la scarlattina contratta da Levi negli ultimi giorni di Lager, quando, costretto in infermeria, scampò alla marcia della morte con cui i  tedeschi, abbandonando il campo e lasciando i malati al proprio destino, rideportarono i prigionieri ancora semisani verso altri KZ come Buchenwald e Mauthausen.

Iniziava così quell’interregno anarchico di un Lager che «appena morto, appariva già decomposto», raccontato nell’ultimo capitolo di Se questo è un uomo, con il titolo di Storia di dieci giorni.

Il 27 gennaio del 1945, i primi militari sovietici varcavano i cancelli di Monowitz. Era il Disgelo descritto nel secondo libro primoleviano, dove memorialistica e letteratura si fondono in un capolavoro assoluto come La tregua.

“Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che dalla pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo”.

 

In un’atmosfera purgatoriale, si dipana il tortuoso e picaresco viaggio di rimpatrio attraverso l’Europa offesa e sfatta da cinque anni di guerra totale. Com’era accaduto in Lager con le figure di Alberto D., Lorenzo e il medico Leonardo De Benedetti che rappresentavano l’amicizia nella forzata promiscuità del campo, anche in La tregua vi è la rappresentazione dell’incontro, della coppia asimmetrica, del sodalizio apparentemente sghembo ma fecondo. Memorabile sarà il personaggio del Greco, il maestro di vita Mordo Nahum.

 

“Aveva quarant’anni: era di statura piuttosto alta, ma camminava curvo, con la testa in avanti, come i miopi. Rosso di pelo e di pelle, aveva grossi occhi scialbi ed acquosi e un gran naso ricurvo; il che conferiva all’intera sua persona un aspetto insieme rapace ed impedito, quasi di uccello notturno sorpreso dalla luce, o di pesce da preda fuori del suo naturale elemento”.

 

Giugno 1945. Nell’ozio obbligato del campo di smistamento e sosta di Katowice, Primo scrive a Bianca una lettera libera dall’angoscia dei primi messaggi, calma e colma di trattenuta speranza.

 

 

“Sono vestito come uno straccione, arriverò forse a casa senza scarpe, ma in cambio ho imparato il tedesco, un po’ di russo e di polacco, e inoltre a cavarmela in molte circostanze, a non perdere coraggio e a resistere alle sofferenze morali e corporali. Porto di nuovo la barba per economia di barbiere; so fare la zuppa di cavoli e di rape, e cucinare le patate in moltissimi modi, tutti senza condimenti. So montare, accendere e pulire stufe. Ho fatto un numero incredibile di mestieri: l’aiuto muratore, lo sterratore, lo spazzino, il facchino, il beccamorti, l’interprete, il ciclista, il sarto, il ladro, l’infermiere, il ricettatore, lo spaccapietre: perfino il chimico!”

 

Il 19 ottobre del 1945, dopo quasi due anni di odissea, lacero e gonfio in viso, Primo Levi era nuovamente davanti al portone del civico 75 in Corso Re Umberto, a Torino. La portiera dello stabile stentò a riconoscerlo. Una telefonata e Bianca accorse per prima. «Lo trovammo ad aprirci la porta dell’ascensore, fu una lunga stretta di mano […] quel giorno non disse quasi nulla del lager».

Iniziava un’altra epoca. Per Primo Levi, quella del complesso reinserimento, dell’impossibile racconto accettato come una sfida contro la lingua mancante di parole per esprimere «la demolizione di un uomo», e con la materia inorganica. I due elementi che costituiranno il lavoro e insieme l’altrui mestiere di tutta la sua vita: il tempo del chimico scrittore. Dipendente, poi dirigente della SIVA vernici di Settimo Torinese e narratore della domenica. Un percorso fatto di racconti, prefazioni, interviste, dibattiti, incontri, premi tra i più prestigiosi (La tregua, Campiello 1963, Storie naturali, Bagutta 1967, La chiave a stella, Strega del 1979 e Se non ora, quando?, Campiello nell’82) fino a I sommersi e i salvati, del 1986, ultima opera e summa della riflessione sui Lager, che riprendendo un capitolo del primo libro chiudeva definitivamente il cerchio.

 

La carriera di Bianca, tra le prime donne penaliste d’Italia, crescerà seguendo il solco tracciato dalle sue passioni civili – che puntualmente si trasformeranno in libri. L’inchiesta sulle schedature Fiat originò il libro omonimo che, pur se stampato, non venne mai distribuito da Einaudi, per evidenti ragioni di opportunità politica, e uscì in via definitiva per Rosemberg & Sellier  nel 1984; i grandi processi in qualità di avvocato difensore (dalla Banda Cavallero alle Brigate Rosse considerate figli ribelli della sua stessa storia di comunista) ripercorsi in Storie di giustizia, ingiustizia e galera (1944-1992), per Linea d’ombra edizioni, a Milano; l’inchiesta sugli istituti di assistenza di Il paese dei celestini, Einaudi, 1973. Infine, quella lunga militanza “senza partito”, dopo aver rotto nel 1956 col PCI in seguito all’invasione dell’Ungheria, che la porterà a candidarsi nelle liste di Democrazia proletaria alle comunali di Torino nel 1985: scelta, pare, accettata con riserva dall’amico Primo Levi.

 

“Cos’è stato per me il comunismo? Una esperienza comunque significativa e che non rimpiango di aver vissuto dall’interno […] per me era l’uguaglianza tra le persone e l’universalità dei diritti. Quando mi convinsi che il comunismo era anche “altro”, e che la realtà dei paesi governati dai comunisti era tutt’altro che democratica, dovetti amaramente prenderne atto”.

 

 

QUESTO TESTO FINISCE NEL LINK SOTTO:

L’AMICIZIA CON PRIMO LEVI

Daniele Orlandi,  A voi la fiaccola

A BIANCA

 

 

 

NOTA : da questo testo ho inzialmente preso delle fotografie e  qualche citazione, poi– rendendoci conto del gran valore di questa testimoninza che racconta delle cose che non avevamo mai letto — abbiamo iniziato a copiarla lettera per lettera.

 

 

 

 

BIANCA GUIDETTI SERRA : COME RICORDA EMANUELE ARTOM-
NELLA PRIMAVERA DEL 1944

 

 

Al Polo del Novecento un convegno su Bianca Guidetti Serra - Torino Oggi

 

 

 

 

9788809150065 Guidetti Serra Bianca - Storie di Giustizia, Ingiustizia e Galera - LibroCo.it

EDITORE LINEA D’OMBRA

 

 

 

 

PER CHI FOSSE INTERESSATO  PUBBLICO IL TESTO INTERO IN PDF —

Subito dopo la corta Premessa, c’è il testo su :  ” Emanuele Artom, primavera 1944 “- una decina di pagine di formato molto stretto

https://libridibordo.files.wordpress.com/2015/06/storie-di-giustizia-ingiustizia-e-galera-bianca-guidetti-serra.pdf

 

 

 

 

 

 

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  1. Chiara Salvini scrive:

    chiara, mi pare che di questi tempi – e aggiungo alla nostra età –dobbiamo tenerci stretti a questi che sono stati gli eroi della nostra giovinezza, per imparare di più da loro, soprattutto dal loro modo di ” essere ” che tantissimo ci manca nel mondo che abbiamo attorno. Loro, Gramsci, e tutta la storia del PSI e del PCI- E poi tanto altro di quegli anni ( Sessanta e Settanta ) che sono ” antichi ” anche per noi. Cercare di ritrovarli in noi, fosse attraverso cose che abbiamo buttato giù su qualche quaderno.

  2. DONATELLA scrive:

    Credo che quello che dici sia ciò che dobbiamo fare, anche per confortarci e sapere che ci sono state persone ( e penso che ce ne siano anche ora) che intravvedevano un mondo migliore e hanno cercato di realizzarlo nella loro vita.

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