– 31 gennaio 2024
https://www.osservatoriodiritti.it/2024/01/31/esportazioni-di-armi-italiane/
GIORGIO BERETTA
Giorgia Meloni – Foto: presidenza della Repubblica (via Wikimedia Commons)
Esportazioni di armi, il governo Meloni smantella la legge: addio trasparenza
La legge n. 185 del 1990 che ha permesso finora alla società civile di controllare le esportazioni di armi italiane è sotto attacco. Con il rischio che potremmo dare presto l’addio alla trasparenza in materia. Ecco perché
L’intento è ben celato, ma evidente: smantellare la legge n. 185 del 1990. È la norma che il 9 luglio di quell’anno ha introdotto in Italia “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”.
Prima, per cinquant’anni, era rimasta in vigore la legge fascista promulgata col Regio Decreto n. 1161 dell’11 luglio 1941, firmato da Mussolini, Ciano, Teruzzi e Grandi, con cui l’intera materia delle esportazioni di armamenti era stata sottoposta al “segreto di Stato” e sottratta all’esame del Parlamento e della società civile.
Attacco alla legge n. 185/1990: Stefania Craxi presenta la nuova proposta
Il comparto militare-industriale non ha mai mancato occasione per lamentarsi dei lacci e lacciuoli imposti dalla nuova legge e non vedeva l’ora di potersene sbarazzare.
Per attuarne il progetto, il governo di Giorgia Meloni ha predisposto un disegno di legge, presentato lo scorso agosto in Commissione Affari esteri e difesa al Senato (Atto Senato n. 855), che apporterebbe – a detta degli estensori – solo «alcuni aggiornamenti» alla legge «al fine di rendere la normativa nazionale più rispondente alle sfide derivanti dall’evoluzione del contesto internazionale».
Così si legge nella Relazione di presentazione (qui il pdf) della relatrice, la senatrice Stefania Craxi.
Di fatto, come ha subito evidenziato la Rete italiana pace e disarmo, il disegno di legge crea notevoli preoccupazioni perché «rischia di mettere gli affari armati prima dei diritti».
E soprattutto perché, come si è poi visto, è stato pensato per smantellare i punti più rilevanti della legge 185/90 ed in particolare per ridurre al minimo l’informazione e la trasparenza introdotte dalla normativa.
Leggi anche:
• Armi italiane: export record nel 2021. E resta il mistero dell’Arabia Saudita
• Spesa militare italiana da record: nel 2022 sfiorati i 26 miliardi di euro
Stefania Craxi (dx) – Foto: ministero degli Affari esteri della Grecia (via Flickr)
Il veto del governo sui divieti alle esportazione di armi italiane
Il meccanismo è stato predisposto con astuzia. Il disegno di legge del governo, infatti, ripristina presso la presidenza del Consiglio dei ministri il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), composto dal presidente del Consiglio dei ministri, che lo presiede, e dai ministri degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e delle finanze e delle imprese e del Made in Italy.
Un simile Comitato era previsto in origine dalla legge, ma successivamente era stato cancellato. Adesso viene reintrodotto al fine di «assicurare un coordinamento adeguato al massimo livello politico delle scelte strategiche in materia di scambi di armamento».
Ma, di fatto, con un’unica funzione e un unico scopo: porre il veto ai divieti alle esportazione di armi che il ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale (Maeci), su proposta dell’Autorità nazionale Uama (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento), può decidere in applicazione delle norme stabilite dalla legge e delle decisioni votate dal Parlamento.
Export di armi: la nuova versione del segreto di Stato
Il Comitato interministeriale (Cisd) avrà infatti quindici giorni di tempo per esaminare i divieti proposti dal ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale.
«Decorso inutilmente il termine (…), la proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale si intende accolta», si legge nel decreto.
In quei quindici giorni – è questo il punto – il Cisd può dunque revocare ogni proposta di divieto del Maeci senza che nessuno, nemmeno il Parlamento, ne sappia nulla.
È, in concreto, la nuova formula del segreto di Stato del governo Meloni, che si attua anche attraverso un’ampia serie di modifiche alla legge.
Ciò che si vuole evitare, è il ripetersi di casi come quello – per altro unico nei trent’anni dall’entrata in vigore della legge – in cui Uama e ministero degli Esteri, a seguito di una risoluzione parlamentare votata ad ampia maggioranza, ha imposto il divieto e revocato le licenze di esportazione di bombe e missili all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti per il loro coinvolgimento nella guerra in Yemen
(leggi anche Armi italiane all’Arabia Saudita: il blocco non basta, passano per il Regno Unito).
Leggi anche:
• L’Italia vende armi a Israele: ecco cosa c’entriamo col conflitto israelo-palestinese
• Armi italiane: la metà dell’export va in Nord Africa e Medio Oriente
Flash mob a Montecitorio contro le bombe italiane in Yemen – Foto: Giuliano Del Gatto
Diminuisce la trasparenza sulle esportazioni di armi
Ma ciò a cui il comparto militare-industriale mirava promuovendo il disegno di legge è soprattutto ridurre la trasparenza e l’informazione sulle proprie attività riguardo alle esportazioni di armamenti. Trasparenza che è stata via via erosa nel corso degli anni, ma che è tuttora in qualche modo garantita dalla relazione che ogni anno la presidenza del Consiglio deve inviare alle Camere entro il 31 marzo.
La relazione deve infatti contenere «indicazioni analitiche – per tipi, quantità e valori monetari – degli oggetti concernenti le operazioni contrattualmente definite indicandone gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e sulle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla presente legge» (Art. 5).
Indicazioni analitiche che, secondo la relatrice del governo, inficerebbero «la piena fruibilità e intelligibilità della relazione» perché sarebbero «state aggravate nel corso degli anni dalla prassi di allegare ad essa una pletora di documenti di dettaglio che, lungi dal consentire una conoscenza più completa degli elementi in essa contenuti, hanno reso la relazione un mero assemblaggio d’informazioni e non consentono una lettura agevole delle scelte geostrategiche operate dal nostro Paese in materia».
Sono proprio queste informazioni analitiche che nel corso degli anni hanno permesso agli osservatori indipendenti della società civile di monitorare gli affari delle industrie del settore e di denunciare le esportazioni a Paesi belligeranti, a regimi autoritari i cui governi sono accusati di gravi violazioni dei diritti umani.
Esportazioni di armi: colpo di grazia del Pd alla relazione annuale
Nel disegno di legge, il governo si era però limitato a chiedere di «rafforzare la piena leggibilità della relazione» (…) «preferendo, laddove possibile, la presentazione di sintesi esplicative delle attività esaminate alla mera produzione di allegati documentali».
Il colpo di grazia è arrivato, invece, da un emendamento proposto da tre senatori del Partito Democratico, Alessandro Alfieri, Graziano Delrio e Francesca La Marca (l’emendamento 1.15 testo 2), che modifica radicalmente la relazione annuale.
Se questa modifica verrà definitivamente approvata, non sarà più richiesto, come previsto fin dall’entrata in vigore della legge 185/90, che la relazione annuale contenga le succitate indicazioni analitiche, ma soltanto – come già avviene – «i paesi di destinazione con il loro ammontare suddiviso per tipologia di equipaggiamenti» e «con analoga suddivisione, le imprese autorizzate» e «l’elenco degli accordi da Stato a Stato».
Verrà inoltre cancellato l’obbligo di riportare «i divieti di cui agli articoli 1 e 15» della legge 185/90, cioè, in concreto, l’elenco dei Paesi verso cui vengono vietate le esportazioni di materiali militari.
Banche armate: sparisce la lista
Ma non bastava. Ciò che ha sempre maggiormente infastidito il comparto militare-industriale è stata la riduzione dei finanziamenti e del sostegno alle operazioni di esportazione di sistemi militari messa in atto dagli istituti di credito.
In risposta alle richieste dei propri correntisti, su indicazione della Campagna di pressione alle “banche armate” (cui Osservatorio Diritti è uno dei co-promotori), nel corso degli anni i principali gruppi bancari italiani hanno infatti adottato, nell’ambito dello proprie politiche di responsabilità sociale d’impresa, delle direttive che limitano fortemente, e in più di un caso escludono totalmente, l’offerta di servizi bancari alle esportazioni di armamenti.
Se ne è lamentata ripetutamente l’Aiad, l’Associazione nazionale che raduna tutte le principali aziende del settore della difesa, già presieduta dall’attuale ministro della Difesa, Guido Crosetto, accusando le banche di «voler fare le etiche».
E proprio su questo il governo si è infine tolto la maschera.
L’emendamento 1.100, fatto presentare all’ultimo minuto – e quindi indiscutibile – alla Relatrice Stefania Craxi, prevede infatti la soppressione del comma 4 dell’articolo 27 della Legge 185/90. È l’articolo che prescrive che la relazione annuale al Parlamento debba contenere «un capitolo sull’attività degli istituti di credito operanti nel territorio italiano concernente le operazioni disciplinate dalla presente legge».
In altre parole non sapremo più dalla relazione quali sono le banche, nazionali ed estere, che traggono profitti dal commercio di armi verso l’estero, in particolare verso Paesi autoritari o coinvolti in conflitti armati.
La società civile si mobilita per la trasparenza
La Rete italiana pace e disarmo – che è stata ascoltata in Commissione al Senato, dove aveva presentato una serie di proposte migliorative – a seguito del voto in Commissione ha lanciato l’allarme, soprattutto perché le modifiche, introdotte con gli emendamenti presentati all’ultimo minuto, «inficiano gravemente la trasparenza della Relazione annuale al Parlamento».
La Rete, che raggruppa più di settanta associazioni nazionali e locali, sta predisponendo una forte mobilitazione per impedire che le vendite di armi tornino ad essere circondate da una pericolosa opacità. Opacità che, come ai bei tempi dei piazzisti di armi, favorisce solo le aziende militari a discapito della pace, della sicurezza e del rispetto dei diritti umani.
“Armiamoli e morite”: si potrebbe così parafrasare il motto satirico contro il regime fascista “Armiamoci e partite” che è sempre di attualità.