DAVID ASSAEL, La guerra di Gaza riaccende le dispute tra ebraismo e islam –LIMESONLINE — 19 GENNAIO 2024

 

LIMESONLINE — 19 GENNAIO 2024
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La guerra di Gaza riaccende le dispute tra ebraismo e islam

 

 

 

Dettaglio di una carta di Laura Canali. La versione integrale è nel corpo dell’articolo.

 

 

Hamas giustifica l’uso della forza contro Israele tramite l’idea teologica dell’ebreo usurpatore. Così le masse musulmane si riavvicinano alla causa palestinese. Ma i governi mediorientali non rinunciano agli accordi di Abramo.

 

di Davide Assael
docente al Master “Filosofia del vino e del cibo” dell’Università Vita e Salute S. Raffaele di Milano. Libro: ” L’Idiosincrasia dell’Occidente, Endoxai, 2020

 

 

Se c’è un postulato della geopolitica è evitare le generalizzazioni, che mai aiutano a comprendere le azioni degli Stati e delle collettività. Eppure, dopo decenni di critica a tutte le forme di ideologia, i grandi precetti universali astratti riescono ancora a mobilitare le masse.


Il quadro con cui Ḥamās (Hamas) ha giustificato le efferate azioni del 7 ottobre è quello classico della lettura islamica premoderna, consolidatasi in secoli di califfato ottomano. L’impianto retorico è apparso immediatamente riconoscibile fin dal giorno seguente nelle dichiarazioni di Muḥammad Ḍayf. Il comandante delle Brigate ʿIzz al-Dīn al-Qassām, ala militare dell’organizzazione che governa Gaza, ha rivendicato il motivo dell’attacco nella profanazione sempre più frequente da parte dei gruppi ortodossi ebraici della Spianata delle Moschee. Sito che ospita al-Aqṣā, simbolo universale dell’islam perché luogo dell’ascensione di Maometto verso i sette cieli da cui scrutò, accompagnato dall’arcangelo Gabriele, scenari fantastici relativi ai dannati dell’inferno e ai beati del paradiso.


Si perpetua quindi la ben nota immagine islamica dell’ebreo usurpatore. Anzitutto rispetto alla legge. La Torah è riconosciuta come testo rivelato (come da Sura 10, 94)¹ ed è posta in continuità col Corano, poiché assieme ai Vangeli è espressione dell’Umm al-Kitâb, archetipo del Libro divino e origine delle Sacre Scritture.

Ma gli ebrei l’hanno alterata fino a falsificarla (Taḥrīf) e annullarla (naskh). Il riferimento è alle infinite dispute talmudiche che interpretando la legge ne hanno distorto il significato originario. Risiede qui la ragione della rappresentazione del profeta Muhammad come analfabeta, a testimonianza di una ricezione non alterata della parola divina.


Gli ebrei sono poi colpevoli di “furto della discendenza”. Il momento incriminato è l’ultima prova di Abramo, figura che occupa un posto di grande rilievo nella narrazione coranica – anche più di Mosè. Siamo nel capitolo 22 della Genesi, l’episodio è noto come “aqedat Itschaq”, la legatura di Isacco. Impropriamente (e cristianamente) tradotto con “sacrificio di Isacco”, in quanto non solo non si verificherà alcun sacrificio, ma se si scorre tutto il capitolo nell’originale ebraico, ci si accorge che il verbo lehaqriv (sacrificare) non compare mai. È scritto, invece, la’alot, elevare, da cui la parola olà, olocausto.


L’evento è ripreso nella Sura 37, 102, in cui, però, ripetendo una tradizionale postura esegetica del Corano in rapporto alla Torah, il nome “Isacco” è sostituito dal più generico termine “figlio”: “Poi, quando raggiunse l’età per accompagnare [suo padre, questi] gli disse: «Figlio mio, mi sono visto in sogno, in procinto di immolarti. Dimmi cosa ne pensi». Rispose: «Padre mio, fai quel che ti è stato ordinato: se Allah vuole, sarò rassegnato»”.


Come sottolinea l’esperto Meir Bar Asher in Ebrei nel Corano il passo di cui sopra è polemico: rimprovera ai rabbini di aver introdotto particolari mai rivelati. Convinzione ulteriormente corroborata dall’interpretazione midrashica di questo dialogo fra Dio e Abramo: “E gli disse: Prendi tuo figlio (Genesi 22, 2). Ho due figli, quale figlio? Ed il Signore: il tuo unico. Replicò Abramo: questo è unico per sua madre, l’altro è unico per sua madre. Che tu ami. E Abramo: esistono forse confini nelle viscere? Soggiunse: Isacco. E perché non glielo disse subito? Per renderlo caro ai suoi occhi e per dargli una ricompensa ad ogni parola”.


Da qui il passo è breve: sembrava Isacco, ma era Ismaele, il primo figlio di Abramo avuto dalla concubina Agar, concessa dalla moglie Sara al marito, in quanto lei pareva sterile. Lo stesso Ismaele che verrà assunto dall’islam – e in particolare dalle popolazioni arabe – come proprio capostipite.


Il tema è quello biblico tradizionale: a chi spetta la primogenitura da cui dipende l’eredità della terra?


Quelle che a noi appaiono come sterili dispute teologiche sono in realtà simboliche, potenti, capaci di assumere nuove sembianze nello scorrere del tempo e di indirizzare percorsi culturali, sedimentandosi in dati psicologici. Un po’ come rilevò già Nietzsche, l’universalismo illuminista è una riproposizione in chiave moderna di quello cristiano.

La “sostituzione” fra primo e secondogenito era in realtà già avvenuta prima, quando una volta nato Isacco a Sara, Agar e suo figlio verranno cacciati su suo ordine (Gen. 21, 10). Un episodio, dice il Nachmanide (1194-1270), tra le massime autorità ebraiche di ogni tempo, di cui l’ebraismo sarà chiamato a rispondere per secoli.


Non si tratta qui di giungere a conclusioni teologiche, ma di valutarne il peso politico. Questi testi fondatori, ed è la loro grandezza, ammettono una pluralità di significati. La stessa legatura è letta da alcune grandi autorità musulmane, come Abū Jaʿfar Muḥammad ibn Jarīr Ṭabarī, mantenendo la narrazione originale dove il “sacrificato” è Isacco. La disputa su chi sia il protagonista del racconto fra i due figli di Abramo si protrae fino al IX secolo, quando si solidificherà l’idea che si trattasse di Ismaele.


Il fatto che simili letture possano ancora fare breccia nel cuore delle masse musulmane, come dimostrato dalle imponenti manifestazioni dallo Yemen al Marocco, passando per le grandi città europee, dimostra quanto l’islam fatichi a costruire una propria modernità, promuovendo interpretazioni in linea con gli ideali di libertà e uguaglianza elaborati negli ultimi due secoli e a cui esso stesso ha offerto un proprio contributo storico.


In fondo, è un problema comune a quella parte dell’ebraismo che la modernità l’ha subìta. A cominciare dai mizrahim, gli ebrei provenienti dai paesi arabi, per finire con l’ebraismo russo, bielorusso, ucraino, lituano, in parte polacco e ungherese.

 


Carta di Laura Canali - 2023

Carta di Laura Canali – 2023


 

Cosa che non smette di tradursi nella divisione sociale riscontrata in questi anni in Israele, con conseguente blocco dello Stato. Da una parte un mondo liberale legato agli ideali di emancipazione europei a cui autori ebrei hanno offerto un imprescindibile contributo. Esemplari le figure di Spinoza, Mendelssohn, Freud, Einstein e Kafka.

Dall’altra un ebraismo tradizionalista che ha subìto lo stigma di retrogrado. Faglia che ha fatto la fortuna elettorale di Netanyahu, grande interprete di questa polarizzazione.


Modernizzare l’esegesi islamica significa elaborare un’interpretazione dell’ebreo alternativa al ruolo di dhimmi (sottomesso, subordinato), riservato dalle letture tradizionali alle “genti del Libro”.

Lo dovrebbero fare i regimi nazionalisti musulmani che hanno come proprio nemico interno il jihadismo globale e tutte le sigle legate ai Fratelli musulmani, tra cui Hamas. Oltre ad avere ogni convenienza a sviluppare accordi e partenariati economici, commerciali ed energetici con Israele.


Nessuno ha avuto il coraggio di farlo, preferendo affidarsi ad apparati repressivi in patria e agli agenti esterni fuori. Nelle cancellerie arabe non sono in pochi a sperare che lo Stato ebraico faccia il lavoro per loro fino in fondo. Ma non è questo il modo più efficace per togliere acqua dai pozzi della propaganda jihadista e panislamica.


Il piano di Hamas si sviluppava in due tappe. Primo, imporre nell’agenda internazionale il tema palestinese – se non la propria sopravvivenza, che pareva sacrificata sull’altare degli accordi di Abramo. E ci è riuscito, anche perché poteva contare su una massiccia dose di odio antiebraico. Secondo, chiamare all’intervento i governi musulmani.


Il fatto che finora nessuno abbia alzato un dito per Gaza, nemmeno Ḥizbullāh (Hezbollah) e men che mai l’Iran (da capire quanto gli ḥūṯī rispondano a Teheran nelle loro scorribande nel Mar Rosso), mostra forse il declino dei quadri ideologici qui descritti. Oppure, e si torna agli assunti geopolitici, che la struttura conta assai più della sovrastruttura.


Se prevale il realismo, come scrisse Thomas Friedman immediatamente dopo l’attacco, è ancora possibile che gli accordi di Abramo possano restare un asse per stabilizzare il Medio Oriente. A quel punto ci vorrà una teologia corrispondente.


Carta di Laura Canali - 2023

Carta di Laura Canali – 2023


Note

1.”E se dubiti a proposito di ciò che abbiamo fatto scendere su di te, interroga coloro che già prima recitavano le Scritture. La verità ti è giunta dal tuo Signore: non essere tra i dubbiosi”. H.R. Piccardo (a cura di), Il Corano, Roma 2006, Newton Compton Editori.

 

 

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1 risposta a DAVID ASSAEL, La guerra di Gaza riaccende le dispute tra ebraismo e islam –LIMESONLINE — 19 GENNAIO 2024

  1. Chiara Salvini scrive:

    chiara: non è per niente facile da leggere, soprattutto per noi che confondiamo addirittura i vari testi sia ebraici che islamici, ma vale leggerlo perché ci fornisce una idea del conflitto in Medio Oriente del tutto inedita, una lettura per così dire ” sovrastrutturale ” ( per usare termini che sono nell’articolo ), di questa terribile guerra, anche se è impossibile per noi pensare quanti siano coloro che l’affrontino da questo punto di vista.

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