ASE BAYAT : ISRAELE/PALESTINA – ” Caro Habermas, non si può incoraggiare il silenzio. ” – IL MANIFESTO  23 DICEMBRE 2023 + qualcosa su Habermas e su Bayat

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Asef Bayat

ASE BAYAT

 

*Asef Bayat, studioso iraniano-americano del Medio Oriente contemporaneo, di movimenti sociali e rivoluzioni, è attualmente professore di sociologia e studi sul Medio Oriente presso l’Università dell’Illinois Urbana-Champaign. Bayat ha insegnato per molti anni all’Università americana del Cairo ed è stato direttore dell’Istituto internazionale per lo studio dell’Islam nel mondo moderno (Isim). Noto soprattutto per il suo concetto di “post-islamismo” sviluppato in un saggio del 1996 intitolato «L’avvento della società post-islamica». Più recenti i libri «Life as Politics» (2013) e «Revolution without Revolutionaries» (2017) sulle primavere arabe.( ALTRE NOTIZIE AL FONDO )

 

 

IL MANIFESTO  23 DICEMBRE 2023
https://ilmanifesto.it/caro-habermas-non-si-puo-incoraggiare-il-silenzio

 

Caro Habermas, non si può incoraggiare il silenzio.

 

ISRAELE/PALESTINA. La soppressione del dibattito libero su Israele e Palestina al quale lei contribuisce sembrerebbe contraddire le sue idee

 

Manifestazione pro Palestina a Francoforte sul Meno foto Ap

Manifestazione pro Palestina a Francoforte sul Meno – foto Ap

 

 

Caro professor Habermas,
Forse non si ricorderà di me, ci incontrammo in Egitto nel marzo del 1998. Lei venne alla American University del Cairo in qualità di illustre visiting professor per confrontarsi con la facoltà, con gli studenti e con il pubblico. Erano tutti entusiasti di ascoltarla.

Le sue idee sulla sfera pubblica, sul dialogo razionale e sulla vita democratica erano una boccata d’aria fresca in un periodo in cui islamisti e autocrati in Medio Oriente soffocavano la libertà di espressione con il pretesto di “proteggere l’Islam”. Ricordo una piacevole conversazione avuta con lei a cena a casa di un collega sull’Iran e sulla politica della religione. Io cercai di comunicarle la comparsa di una società “post-islamista” in Iran, che in seguito sembra lei abbia sperimentato nel suo viaggio a Teheran nel 2002, prima di parlare di una società “post-secolare” in Europa. Noi al Cairo vedevamo nei suoi concetti fondamentali un grande potenziale per promuovere una sfera pubblica transnazionale e dei dialoghi transculturali. E abbiamo fatto tesoro del nocciolo della sua filosofia comunicativa su come il consenso-verità possa essere raggiunto attraverso il libero dibattito.

 

OGGI, CIRCA 25 ANNI DOPO, a Berlino, ho letto con inquietudine e preoccupazione la dichiarazione «Principi di solidarietà» che ha scritto insieme ad alcuni colleghi sulla guerra di Gaza.

Lo spirito di questa dichiarazione sostanzialmente ammonisce coloro che in Germania denunciano, attraverso dichiarazioni o proteste, l’implacabile bombardamento israeliano su Gaza in risposta all’orrendo attacco di Hamas del 7 ottobre. Il testo implica che queste critiche a Israele sono intollerabili, perché il sostegno allo stato di Israele è una parte fondamentale della cultura politica tedesca, “per la quale la vita ebraica e il diritto a esistere di Israele sono elementi centrali degni di una protezione speciale”. Il principio della “protezione speciale” è radicato nell’eccezionale storia della Germania, nei «crimini di massa dell’epoca nazista».

È ammirevole che lei e la classe politico-intellettuale del suo paese siate irremovibili nel sostenere la memoria di quell’orrore storico così che orrori simili nonpossano più colpire gli ebrei (e presumo, e spero, altri popoli).

Ma la sua formulazione dell’eccezionalismo tedesco, e l’ossessione per esso, non lasciano praticamente alcuno spazio per una discussione sulle politiche di Israele e sui diritti dei palestinesi.

 

Quando lei confonde le critiche alle “azioni di Israele” con “reazioni antisemite” sta incoraggiando il silenzio e soffocando il dibattito.

 

Da accademico, sono sbalordito nell’apprendere che nelle università tedesche – anche all’interno delle aule, che dovrebbero essere spazi liberi di discussione e ricerca – quasi tutti restano in silenzio quando si presenta l’argomento Palestina. Su giornali, radio e televisioni manca quasi del tutto un dibattito aperto e significativo sul tema. Addirittura, decine di persone, tra cui ebrei che hanno chiesto il cessate il fuoco, sono state licenziate dal posto di lavoro, hanno visto i propri eventi e premi cancellati, e sono state accusate di “antisemitismo”. Come dovrebbero deliberare le persone su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato se non è permesso loro di parlare liberamente? Che ne è della sua celebrata idea della “sfera pubblica”, del “dialogo razionale” e della “democrazia deliberativa”?

 

IL PUNTO È CHE LA MAGGIOR parte delle persone critiche e delle proteste che lei rimprovera non mettono mai in discussione il principio di proteggere la vita degli ebrei – e per favore, non confonda questi critici razionali del governo israeliano con i vergognosi neonazisti dell’estrema destra o altri antisemiti, che devono essere condannati e affrontati con forza. In realtà, quasi tutte le dichiarazioni che ho letto condannano sia le atrocità di Hamas contro i civili in Israele che l’antisemitismo. Chi muove queste critiche non contesta la protezione delle vite ebraiche o il diritto a esistere di Israele. Ma contesta la negazione delle vite palestinesi e del diritto a esistere della Palestina.

E su questo la sua dichiarazione è tragicamente silente.

 

Non c’è un singolo riferimento nel testo a Israele quale potenza occupante o a Gaza prigione a cielo aperto. Non c’è nulla su questa perversa disparità. Questo per non parlare della cancellazione quotidiana delle vite dei palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est. «Le azioni di Israele», che lei ritiene «giustificabili in linea di principio», hanno comportato il lancio di 6.000 bombe in sei giorni su una popolazione indifesa; ben oltre 15.000 morti (il 70% dei quali donne e bambini); 35.000 feriti; 7000 dispersi; e 1,7 milioni di sfollati – per non parlare della crudeltà di negare alla popolazione cibo, acqua, riparo, sicurezza e un minimo di dignità. Le infrastrutture chiave della vita sono svanite.

 

SE, COME SUGGERISCE la sua dichiarazione, tecnicamente queste potrebbero non corrispondere a “intenzioni genocide”, i funzionari delle Nazioni Unitehanno però parlato in termini inequivocabili di “crimini di guerra”, “sfollamento forzato” e “pulizia etnica”. La mia preoccupazione qui non riguarda tanto il come giudicare “le azioni di Israele” da un punto di vista legale, ma il come interpretare questa freddezza morale e indifferenza che lei esibisce di fronte a una devastazione così impressionante.Quante altre vite dovranno perdersi prima che diventino meritevoli di attenzioni? Che significato ha “l’obbligo di rispettare la dignità umana” che la sua dichiarazione sottolinea con enfasi nella conclusione? È come se avesse il timore che parlare della sofferenza dei palestinesi possa sminuire il suo impegno morale nei confronti delle vite ebraiche. Se così fosse, quanto è tragico che la riparazione di un torto colossale commesso nel passato debba essere legata al perpetuare un altro mostruoso torto nel presente.

 

Ho paura che questa moralità contorta sia legata alla logica dell’eccezionalismo tedesco di cui lei è promotore. Perché l’eccezionalismo, per definizione, rende possibile non uno standard universale, ma standard differenziati. Alcune persone diventano così esseri umani degni, altri meno degni, e altri ancora indegni. Questa logica arresta il dialogo razionale e desensibilizza la coscienza morale; innalza un blocco cognitivo che ci impedisce di vedere la sofferenza di altri, frenando l’empatia.

 

MA NON TUTTI SOCCOMBONO a questo blocco cognitivo e a questo intorpidimento morale. A quanto mi risulta, molti giovani tedeschi esprimono in privato opinioni sul conflitto israelo-palestinese molto diverse da quelle della classe politica del paese. Alcuni addirittura prendono parte a proteste pubbliche. La generazione giovane è esposta ai media alternativi e a fonti alternative di conoscenza, e sperimenta processi cognitivi diversi rispetto alla generazione precedente. Ma la maggior parte delle persone mantiene il silenzio nello spazio pubblico, per timore di ritorsioni.

Sembra che stia emergendo una sorta di “sfera nascosta”, paradossale nella Germania democratica, simile a quella che c’era nell’Europa dell’est pre-1989 o che si trova oggi sotto i regimi dispotici in Medio Oriente. Quando l’intimidazione inibisce l’espressione pubblica, le persone tendono a costruirsi in privato le proprie narrazioni alternative su questioni sociali fondamentali, anche se in pubblico continuano ad assecondare le idee approvate ufficialmente. Una sfera nascosta di questo tipo può esplodere quando se ne presenta l’occasione.

Sono tempi spiazzanti questi, professor Habermas. Ed è proprio in questi momenti che la saggezza, la conoscenza e soprattutto il coraggio morale di pensatori come lei sono più necessari. Le sue idee determinanti sulla verità e sull’agire comunicativo, sul cosmopolitismo, sull’uguaglianza civica, sulla democrazia deliberativa e sulla dignità umana restano enormemente importanti. Tuttavia, il suo eurocentrismo, l’eccezionalismo tedesco e la soppressione del dibattito libero su Israele e Palestina al quale lei contribuisce sembrerebbero contraddire queste idee.

 

TEMO CHE CONOSCENZA e consapevolezza da sole possano non essere sufficienti. Del resto, come può un intellettuale “sapere” senza “comprendere” e comprendere senza “sentire”, come si chiedeva Antonio Gramsci? Solo quando “sentiremo” la sofferenza dell’altro, attraverso l’empatia, potrà esserci speranza per il nostro mondo travagliato.

Voglio ricordare le parole del poeta persiano del XIII secolo Saadi Shirazi:

«Son membra d’un corpo solo i figli di Adamo,
da un’unica essenza quel giorno creati.
E se uno tra essi a sventura conduca il destino,
per le altre membra non resterà riparo.
A te, che per l’altrui sciagura non provi dolore,
non può esser dato nome di Uomo».
Con rispetto.

*il testo di Asef Bayat è stato tradotto da Francesco De Lellis, la poesia di Saadi Shirazi da Mario Casari

 

 

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NOTA SU JURGEN HABERMAS :::

 

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Jürgen Habermas –  2008 —FOTO :: Wolfram Huke at en.wikipedia

 

 

Jürgen Habermas ( Düsseldorf18 giugno1929) è un filosofosociologopolitologo ed epistemologotedesco, tra i principali esponenti della Scuola di Francoforte (culla della teoria critica).

Nato con una palatoschisi ( scissione nell’embrione del palato duro o palato molle ) , subì due interventi chirurgici corretivi durante l’infanzia. Egli afferma che le difficoltà incontrate nella comunicazione verbale dovute a questa condizione lo abbiano reso particolarmente sensibile al tema della comunicazione.
Nel 1981 pubblica il suo lavoro più importante, Teoria dell’agire comunicativo, vol. I e II -nella quale elabora il concetto di una comunicazione libera da rapporti di potere.

Habermas appartiene alla seconda generazione della “Scuola di Francoforte” (Teoria criticaneomarxista e dialettica)

 

CRITICA AD HABERMAS

I critici accusano Habermas di aver fatto della Teoria Critica, che aveva inizialmente come obiettivo la critica radicale dei rapporti di potere, una teoria apertamente a giustificazione dello Stato.

 

L’AUTORE, SE VUOI, LO PUOI VEDERE NEL LINK
https://it.wikipedia.org/wiki/J%C3%BCrgen_Habermas

 

 

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NOTA — LA SCUOLA DI FRANCOFORTE-

E’ una scuola sociologicofilosofica di orientamento neo-marxista. Il nucleo originario di tale scuola, formato per lo più da filosofi e sociologi tedeschi di origine ebraica, emerse nel 1923 nell’ambiente del neonato “Istituto per la Ricerca Sociale” (Institut für Sozialforschung) dell’Università Johann Wolfgang Goethe di Francoforte sul Meno, in Germania, sotto la guida dello storico marxista Carl Grünberg. Il nucleo successivamente si ampliò per numero di studiosi ed ambiti di ricerca. Il primo periodo di attività della scuola si inquadra nel primo dopoguerra, tra gli anni venti e gli anni trenta; all’avvento del Nazionalsocialismo il gruppo lasciò la Germania e si trasferì dapprima a Ginevra, poi a Parigi e infine a New York, dove continuò la sua attività. Dopo la seconda guerra mondiale alcuni esponenti (tra cui AdornoHorkheimer e Pollock) tornarono in Germania per fondare un nuovo Istituto per la ricerca sociale.

La scuola raccolse studiosi di diverse discipline e ambiti culturali, ma la linea di pensiero che ha accomunato tutti gli esponenti risiede nella critica della società presente, tendente a smascherare le contraddizioni del contemporaneo vivere collettivo. L’ideale di società e di uomo a cui fa riferimento questa critica è quella rivoluzionaria, sebbene in chiave utopistica, del marxismo; considerando l’elaborazione di questa filosofia da parte della Scuola autonoma e originale, per alcuni studiosi (come Horkheimer) implica un allontanamento da alcuni punti centrali del pensiero di Karl Marx. Nel complesso questa linea di interpretazione si pone polemicamente in contrasto con le correnti di pensiero marxiste diffuse all’inizio del secolo, influenzate o dall’ortodossia sovietica o dalle correnti revisioniste.

 

 

UNA CRITICA ALLA SCUOLA DI FRANCOFORTE DA PARTE DI GYORGY LUKAKS

“Una parte considerevole della migliore intellighenzia tedesca, fra cui lo stesso Adorno, ha preso alloggio – come scrissi in una mia critica a Schopenhauer – presso il « Grand Hotel dell’Abisso», un « bell’Hotel, fornito di ogni comfort, sull’orlo dell’abisso, del nulla e dell’insensato. E la visione giornaliera dell’abisso, tra produzioni artistiche e pasti goduti negli agi, può solo accrescere la gioia procurata da questo raffinato comfort» (Die Zerstörung der Vernunft, Neuwied 1962, p. 219).” Premessa del 1962 a Teoria del romanzo, Milano, SE edizioni, 2015, p. 20.

 

DA : https://it.wikipedia.org/wiki/Scuola_di_Francoforte#Collegamenti_esterni

 

 

 

 

 

altre notizie  su  ASE BAYAT :

 

 

non definito

ASE BAYAT — 

FOTO  —Antoineberlin – Opera propria

 

 

Asef Bayat è nato in un piccolo villaggio situato a circa sessanta miglia a ovest di Teheran in una famiglia azera . Successivamente la famiglia si trasferisce nella capitale, dove la sua prima esperienza scolastica avviene presso un istituto islamico. Ha conseguito un diploma in una scuola superiore statale, che si trovava vicino all’Hosseiniyeh Ershad , dove si radunavano molti seguaci di Ali ShariatiHa frequentato le lezioni popolari di Shariati all’Hosseiniyeh Ershad durante i suoi ultimi anni di scuola superiore. Tuttavia, a questo punto, era diventato un adolescente completamente laico, passando alla politica universitaria di sinistra che mantenne durante tutta la sua istruzione superiore nel Regno Unito .

Bayat ha coniato il termine “ post-islamismo ” in un saggio del 1996 intitolato “ L’avvento della società post-islamica ”. Ha sviluppato ulteriormente l’idea in un libro successivo, “Making Islam Democratic: Social Movement and the Post-Islamist Turn” (Stanford University Press, 2007). Ha ulteriormente perfezionato il concetto in una raccolta con studiosi dell’Islam politico di tutto il mondo musulmano intitolata Post-Islamism: The Changing Faces of Political Islam (Oxford University Press, 2012). Questa idea ha stimolato dibattiti intellettuali e politici in molti paesi a maggioranza musulmana, in particolare Indonesia, Malesia, Turchia, Egitto, Marocco e Iran.

Bayat ha anche contribuito alla teoria dei movimenti sociali con i suoi concetti di “invasione silenziosa”, “non movimenti sociali” e “politica della presenza”. Queste idee si sono sviluppate nel corso degli anni e sono culminate nel suo libro, Life as Politics : How Ordinary People Change the Middle East (Stanford University Press, 2013). La sua comprensione delle rivolte arabe del 2010/2011 e l’introduzione del concetto di “Refolution” sono presentate nel suo recente libro, Revolution without Revolutionaries : Making Sense of the Arab Spring (Stanford University Press, 2017) e Revolutionary Life: Il quotidiano della primavera araba (Harvard University Press, 2021).

Asef Bayat parla correntemente inglese, persiano, arabo e azero .

 

 

  • Vita rivoluzionaria: il quotidiano della primavera araba (Harvard University Press, 2021)
  • Medio Oriente globale: nel 21° secolo , ed. con Linda Herrera (University of California Press, 2021)
  • Rivoluzione senza rivoluzionari : dare un senso alla primavera araba Stanford University Press, 2017
  • Post-islamismo : i volti mutevoli dell’Islam politico . Stampa dell’Università di Oxford, 2013.
  • Essere giovani e musulmani : nuove politiche culturali nel sud e nel nord del mondo . (co-curato con Linda Herrera.) New York: Oxford University Press, 2010.
  • La vita come politica : come la gente comune cambia il Medio Oriente . Stanford: Stanford University Press, 2010, 2a edizione 2013.
  • Rendere l’Islam democratico: movimenti sociali e la svolta post-islamica . Stanford: Stanford University Press, 2007.
  • Ortadoğu’da Maduniyet: Toplumsal Hareketler ve Siyaset . [Subalternità in Medio Oriente: movimenti sociali e politica. (In turco.) Sei saggi compilati e tradotti da Özgür Gökmen e Seçil Deren]. Istanbul: İletişim Yayınları, 2006.
  • Politica di strada: movimenti dei poveri in Iran . New York: Columbia University Press, 1997.
  • Lavoro, politica e potere . New York: Mensile Review Press, 1991.
  • Lavoratori e rivoluzione in Iran . Londra: Zed Books, 1987.

 

 

Articoli principali (inglese) – LINK

 

SEGUE DA:
https://en.wikipedia.org/wiki/Asef_Bayat

 

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