ROBERTO CICCARELLI, Momentaneamente disagiata. La storia di Stefania. IL MANIFESTO – 13 DICEMBRE 2023 +++ link – Roberto Ciccarelli, intervista alla sociologa Maristella Cacciapaglia ( Statale, Mi )- Il manifesto 13 dicembre

 

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dal Facebook  Bin Italia

 

 

 

 

IL MANIFESTO – 13 DICEMBRE 2023
https://ilmanifesto.it/momentaneamente-disagiata

 

 

Momentaneamente disagiata

 

LA STORIA. Stefania ha terminato un corso di formazione, non ha ancora ricevuto il sussidio annunciato dal governo: «Ecco come siamo diventati occupabili, ma non collocabili». «Chi denuncia e combatte dovrebbe essere aiutata. Essere ridotte alla povertà perché lo Stato non interviene è una complicità nella distruzione della dignità di una donna». «Ci troviamo in questa condizione, ma non vuole dire essere incapaci o indolenti, significa non avere avuto la fortuna di molti di voi di svolgere un lavoro in un posto fisso»

 

Momentaneamente disagiata

Immagine tratta dalla serie «Vintage-Prop» creata dal Basic Income Network-Italia – Bin Italia

 

Stefania è il nome inventato di una donna reale che vive in una delle province del Lazio. La sua storia è esemplare: vive la condizione di chi vive nel purgatorio del «sussidio di formazione e lavoro», la misura destinata ai poveri «occupabili» voluta dal governo Meloni al posto del «reddito di cittadinanza». Ha concluso un corso di formazione di 150 ore ma, come molte altre persone, non ha ancora ricevuto i 350 euro mensili che secondo la legge avrebbe dovuto avere all’inizio. Nella giungla degli «enti preposti» – li chiama così – a seguire il suo caso, nessuno è riuscito ancora a spiegarle perché non li ha ancora ricevuti.

 

IL PROBLEMA sembra essere dovuto alla difficile interoperabilità tra le piattaforme digitali regionali con quella del Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa. «Mi rimbalzano dall’agenzia per le politiche attive del lavoro (Anpal) al centro dell’impiego, dall’Inps al ministero del lavoro – racconta – Le piattaforme sono micidiali, mancano sempre dei pezzi, sembrano avere una vita autonoma.Ci dicono che non dipende dagli uffici, che c’è un caos dappertutto per qualche ignoto blocco. Ma questo è vergognoso e inaccettabile».

«MOMENTANEAMENTE disagiata». Stefania si definisce così. Il concetto illumina un sentire comune che va al di là di una condizione individuale. «Non vuol dire essere incapace o indolente, vuol dire non avere avuto la fortuna di molti di voi di svolgere un lavoro in un posto fisso– spiega – Noi siamo occupabili e non collocabili, dipendiamo da altri, e il disagio momentaneo diventa un’ etichetta, siamo trasformati in una zavorra».

 

«SENTIRSI ZAVORRA» è una metafora che spiega l’umiliazione di chi chiede un diritto di esistere universalmente garantito. Il peso del «disagio» riduce di solito alla rassegnazione. Non è invece il caso di Stefania. Il disagio è anche un motore che aiuta a non restare in silenzio quando «veniamo sopportati, e non supportati, come ci spetterebbe per diritto in un momento di difficoltà».

 

UN’ELEMOSINA. Così Stefania definisce il sussidio negato. «È un controsenso combattere per averla. Non dovrebbe essere richiesta, né elargita e poi interrotta come è avvenuto con il reddito di cittadinanza che ho percepito ma mi è stato tolto. Altri lo percepiscono pur non avendo 60 anni, né figli o invalidi a carico. Tra poco gli cambieranno il nome, ma il problema è che in Italia resteranno poveri di serie A e poveri di serie Z».

 

ATTIVISSIMA lo è, Stefania. Ora il suo lavoro è quello di chi cerca un lavoro. Prima che le fosse tolto il «reddito di cittadinanza» ha fatto un corso da 600 ore per grafica multimediale. Allora lei prendeva la metà della media prevista perché non paga l’affitto e vive da sola. Lei ha saperi da progettista e disegnatrice, fece a suo tempo studi di architettura. «Il corso mi è servito – ricorda – erano anni che non lo usavo, disillusa del lavoro. Ho avuto un attestato, spero mi serva».

 

NEGLI ULTIMI TRE mesi ecco cosa ha fatto: a luglio ha finito un «progetto utile alla comunità» (Puc). Era un lavoro non retribuito e non è servito per essere assunta.

«I Puc prevedono fino a 16 ore a settimana uguali per tutti, sia per chi prende un sussidio da 300 euro che 800 o altro. Io lavoravo in un ufficio – racconta Stefania – Facevo front office, il protocollo, aggiornavo un sito web. Una bella responsabilità. Va contro ogni logica il fatto che altri prendevano 1.500 euro al mese, io prendevo, zero, anche se facevo le stesse cose degli impiegati. È molto frustrante. Sei brava, ti dicono. Ma alla fine però “ciao ciao”. Sembra sempre di fare le cose a vuoto, buttare le esperienze in un pozzo. Almeno un rimborso spese, almeno datemi i contanti per i periodi brutti.

Il reddito di cittadinanza non era una liquidità, lo gestisce lo Stato che ti fa comprare quello che dice lui. Non si può mettere da parte nulla, si deve spendere entro il mese».

 

IL PRIMO SETTEMBRE scorso Stefania si è iscritta al portale del «Supporto per la formazione e il lavoro», ha inserito i documenti, ha scelto tre agenzie di collocamento, ha fatto un corso di formazione da 150 ore, si è candidata a fare altri lavori non retribuiti con i Puc. E ha fatto anche un colloquio per un posto di guardiana in un’azienda. «Mi hanno detto di firmare il contratto, io volevo leggerlo. No, firmalo subito, mi hanno detto. Avrei dovuto iniziare all’indomani. Era un lavoro dalle sei di mattina alle sei di sera, non mi hanno detto quanto mi davano. Io quel giorno non potevo. Dovevo portare mio padre a fare una Tac. Purtroppo oggi papà non c’è più».

 

STEFANIA È «un codice rosso». «Mi è capitato di dirlo, nonostante le tante belle parole su di noi donne vittime di violenza, in alcuni uffici non sapevano neanche il significato dell’essere un codice rosso. Credevano fosse una specie di invalidità fisica– racconta – In effetti non è del tutto errato considerare il codice rosso come un invalidità. Ma essere vittima non è una scelta, né una colpa. Essere ridotte alla povertà perché lo Stato non è intervenuto è una complicità nella distruzione della dignità di una donna».

 

IL «REDDITO DI LIBERTÀ»: lei potrebbe chiederlo. «Ho fatto richiesta, ma anche quello è piombato nell’oblio, non ne ho notizia. Donne come me che denunciano e combattono dovrebbero essere ammirate e sorrette per sopravvivere. Una povera mortale disagiata come me, riuscirà a trovare il bandolo della matassa e sbloccare la situazione? Direbbero che sono pretenziosa. No, disperata, direi».

 

 

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nota sul REDDITO DI LIBERTA’ : ( del 2022 )

 

il reddito di libertà è un contributo economico per le donne vittime di violenza, sole o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali  .

L’importo è pari a euro 400 pro capite su base mensile per un massimo di 12 mensilità  e ha l ‘obiettivo di garantire una maggiore autonomia  nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza anche  di fuori dei centri di protezione.

Il Reddito di libertà  è destinato in particolare al

  1. riacquisto di una autonomia personale ( spese di affitto per un alloggio autonomo,  per l’uscita dal Centro antiviolenza ) e
  2. spese per  il percorso scolastico e formativo dei/delle figli/figlie minori.

 

Va sottolineato che:

  • il bonus è cumulabile con altri strumenti di sostegno come il Reddito di cittadinanza, Reddito di Emergenza NASPI e altre  misure di sostegno economico dei Comuni e delle Regioni
  • l’Inps può procedere eventualmente alla revoca del contributo erogato, qualora dovessero intervenire motivi ostativi al mantenimento .
  • Va richiesto tramite i servizi sociali dei Comuni in cui risiede l’interessata.

 

 

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Cacciapaglia: «Vulnerabili al Workfare, serve un reddito di base»

INTERVISTA. Maristella Cacciapaglia (Università Statale di Milano), ha scritto “Con il reddito di cittadinanza, un’etnografia critica” (Meltemi): “Le nuove politiche del governo Meloni stanno ancora una volta rafforzando un paradosso del Workfare: l’accesso a un diritto sociale è stato legato a un lavoro probabilmente senza diritti. C’è bisogno di un Welfare universale: sanità, istruzione, lavoro, un fisco giusto e servizi

 

Cacciapaglia: «Vulnerabili al Workfare, serve un reddito di base»Immagine tratta dalla serie «Vintage-Prop» creata dal Basic Income Network-Italia – Bin Italia

 

ROBERTO CICCARELLI

 

 

 

IL MANIFESTO 13 DICEMBRE 2023

https://ilmanifesto.it/cacciapaglia-vulnerabili-al-workfare-serve-un-reddito-di-base

 

 

 

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libro citato e autore

 

COVER-democrazie-conflitti-cacciapaglia-con-il-reddito-di-cittadinanza-a-taranto

Con il Reddito di Cittadinanza

Un’etnografia critica

pp. 138

MELTEMI, 2023

 

Maristella Cacciapaglia è sociologa ed economista. I suoi temi di ricerca includono le politiche pubbliche per vite e territori ai margini, in particolare negli ambiti del lavoro e del welfare. Ha collaborato con diverse organizzazioni del terzo settore, imprese e centri di ricerca, a livello nazionale e internazionale. Attualmente è impegnata in un progetto europeo sull’immigrazione irregolare, come assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano.

da Meltemi

 

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  1. DONATELLA scrive:

    In questo ultimo mese si è fatto un gran parlare, giustamente, della violenza sulle donne in seguito ad un delitto terribile. Si sono moltiplicate le “panchine rosse”, tutto sommato facili da installare, da parte dei vari enti pubblici. Io preferirei qualcosa di più sostanziale, ad esempio ripristinare il reddito di cittadinanza, la cui sparizione ha colpito i più deboli, tra cui sicuramente moltissime donne, che devono mettere insieme giorno dopo giorno il pranzo con la cena o magari solo un po’ di mangiare. Questo governo ha in odio i poveri, come ha ampiamente dimostrato. I poveri sono tali perché fannulloni che vogliono vivere alle spalle dei ricchi, virtuosi e lungimiranti, illuminati dalla Grazia divina che li ha resi esseri superiori. Questo discrimine violento si allarga anche ai popoli: i migranti sono feccia. Se non hanno avuto il buon gusto di morire in mare, vengono messi in “centri”, rispetto ai quali le “normali” prigioni sembrano hotel di lusso: cibo avariato, igiene scarsissima, intontimento con farmaci, distruzione della dignità umana, metodi violenti se qualcuno si ribella in questo “paradiso” degli ultimi sulla Terra. Per cancellare l’atroce spettacolo, nel caso qualcuno abbia voglia di vederlo, l’idea geniale è di spostarlo più in là, magari in Albania o in Ruanda, come si nasconde la spazzatura domestica di fronte ad un ospite improvviso. Non so fino a quando le persone faranno finta di non vedere tutto questo o lo considereranno un problema insolubile. A me, sovente durante il giorno, viene da urlare per l’impotenza, la rabbia, il dolore che vedo sparso a piene mani, mentre su ogni rete televisiva si celebra la santificazione delle cosiddette Feste che feste sono ma dei consumi. Mi viene in mente la sarcastica canzoncina “…e sempre allegri dobbiamo stare che il nostro piangere fa male al re…”. Dalle mie parti si diceva “becchi e bastonati”. Sarebbe bello che da questa plebaglia “che nome non ha” sorgesse contemporaneamente un urlo, un urlo gigantesco, prolungato, che arrivasse a tutti i popoli del mondo, che coprisse mari e terre emerse e fosse ripreso da altri dannati e non si fermasse più: un’arma non letale ma sicuramente fastidiosa, tanto per affermare con la potenza del suono che noi, la stragrande maggioranza dell’umanità, non stiamo ai patti di lor signori.

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