ALESSANDRA DE VITA, 54 anni fa la Strage di Piazza Fontana: un sanguinoso fil rouge unisce i 5 attacchi del 12 dicembre — IL FATTO QUOTIDIANO  12 DICEMBRE 2023

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO  12 DICEMBRE 2023
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54 anni fa la Strage di Piazza Fontana: un sanguinoso fil rouge unisce i 5 attacchi del 12 dicembre

 

 

 

 

Cinque istruttorie (divise tra Milano, Treviso, Padova, Roma e Catanzaro), otto processi, senza contare i pronunciamenti della Suprema Corte sulla vicenda di piazza Fontana che hanno prodotto un numero di documenti (milioni di fogli) che è impossibile da quantificare

 

12 dicembre 1969, un giorno funesto per il nostro Paese: cinque agguati terroristici, quasi simultanei, accadono tra Milano e Roma. Quello che resterà nella storia avviene alle 16:30, nell’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana di Milano. Un ordigno devastante esplode, sotto il tavolo al centro del salone riservato ai clienti, in quel momento affollatissimo per la presenza dei tanti agricoltori delle Provincie di Milano e di Pavia che hanno l’abitudine di radunarsi lì, dopo l’orario di chiusura per il tradizionale mercato del venerdì.

 

Muoiono sedici persone, tutte clienti della Banca, i feriti sono 87. Se esiste un sanguinoso fil rouge che unisce gli attentati nelle due città può essere individuato in queste parole: “Lo Stato era attaccato nella capitale ufficiale e in quella che era comunque la capitale economica e produttiva”, lo scrisse Montanelli nella sua “Storia d’Italia”. Sempre Montanelli, nel 1970, definì in maniera tristemente profetica quello di Piazza Fontana come un provvedimento “tanto imponente quanto inconcludente”.

 

 

Le prime indagini –

 

 

Le prime indagini - 2/5

Cinque istruttorie (divise tra Milano, Treviso, Padova, Roma e Catanzaro), otto processi, senza contare i pronunciamenti della Suprema Corte sulla vicenda di piazza Fontana che hanno prodotto un numero di documenti (milioni di fogli) che è impossibile da quantificare. Gli inquirenti ritengono, fin da subito, che i cinque attentati di Milano e di Roma siano strettamente collegati tra loro, le indagini condotte dal commissario Mario Calabresi si avviano in parallelo puntando nell’immediatezza verso i gruppi anarchici di queste due città.

 

Il 15 dicembre 1969, a tre giorni, quindi, dal massacro di piazza Fontana, viene arrestato a Milano Giuseppe Pinelli del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, che muore precipitando, in circostanze mai chiarite da una finestra della Questura, durante un interrogatorio. Il 18 dicembre 1969 i magistrati romani emettono un mandato di cattura contro l’anarchico Pietro Valpreda per i reati di associazione per delinquere, strage continuata, per detenzione e trasporto abusivo di materiali esplodenti, ed esplosioni di ordigni al fine di incutere pubblico timore nonché contro altri sei componenti del Circolo anarchico 22 marzo di Roma. Alla chiusura delle indagini vengono rinviati a giudizio Pietro Valpreda, gli estremisti di destra Mario Merlino e Stefano Delle Chiaie (per il reato di falsa testimonianza) oltre a dodici indagati.

 

La pista nera

 

Nel marzo del 1972, dal Veneto arrivano alla procura di Milano gli atti sul secondo “filone” d’inchiesta che rappresentano la “pista nera”, di matrice neofascista.

Viene contestato il reato di strage ai leader della cellula veneta di Ordine Nuovo Franco Freda e a Giovanni Ventura contro i quali, il 28 agosto 1972, viene emesso un mandato di cattura.

Per gravi motivi di ordine pubblico, il processo viene spostato a Catanzaro, sia quello a carico di Pietro Valpreda ed altri con istruttoria “romana”, che l’altro contro di Franco Freda ed altri con istruttoria “milanese”. Da qui parte una serie di rimpalli tra organi giudiziari di diverse città e di vari gradi che portano a una cinquantina di indagati poi imputati, tutti confluiti nei giudizi di Catanzaro. Di loro, trentaquattro, in qualità di imputati, arrivano al processo davanti alla Corte d’assise “Valpreda + trentatré”.

Per effetto della sentenza di primo grado, i condannati si ridurranno a venticinque; la Corte di Cassazione, attraverso la pronuncia del 1982, ne rinvierà solo sette, ossia Valpreda, Merlino, Freda, Ventura, Gaetano Tanzilli, e i due ufficiali dei Servizi Gianadelio MalettiAntonio Labruna.

La Corte d’Assise d’appello di Bari, condannerà esclusivamente, e paradossalmente si può ben dire, questi ultimi due: tutta questa odissea giudiziaria partorirà soltanto un reato formale, quello di falso ideologico, imputato ai due ufficiali.

 

La vicenda giudiziaria

 

Ma vediamo le sentenze più importanti di ogni grado di giudizio. Il 23 febbraio 1979 la Corte d’Assise di Catanzaro condanna all’ergastolo Guido Giannettini, un informatore del Sid, vicino a Franco Freda e Giovanni Ventura, per associazione sovversiva e per strage continuata; Pietro Valpreda e Mario Merlino, insieme ad altri tre imputati, alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione per associazione sovversiva.

La Corte d’Assise d’appello di Catanzaro, il 20 marzo 1981, assolve per la strage Franco Freda, Giovanni Ventura e Guido Giannettini, ma condanna i primi due a quindici anni per associazione sovversiva; stesso esito per Pietro Valpreda e Mario Merlino.

Assolve Maletti e Labruna per falso materiale in atto pubblico e concorso in falsità ideologica, ma li condanna per concorso in favoreggiamento personale di Guido Giannettini, assolto nella stessa sentenza…). Guido Giannettini era partito per la Francia, almeno un mese prima che il suo nome venisse fuori durante un interrogatorio, dopo aver deciso con il Servizio che avrebbe continuato a fornire informazioni dall’estero. Poi raggiunge la Spagna dove viene arrestato. Dalle dichiarazioni dei legali dei due ufficiali: “Il Generale Maletti ed il Capitano Labruna, Ufficiali dal passato prestigioso, non avrebbero avuto alcun valido motivo per fare espatriare Giannettini, il quale, al momento della sua partenza per la Francia, non era neppure indiziato di reità, ed era quindi libero di allontanarsi dal territorio nazionale senza bisogno di essere aiutato dal Servizio”.

La Corte d’Assise d’Appello di Bari, giudice del rinvio da parte della Corte di Cassazione, il primo agosto 1985 mette un punto definitivo su ognuno dei sette imputati, assolti tutti come confermato in toto dalla Corte di Cassazione nel 1987, per non aver commesso la strage di Piazza Fontana.

La vicenda giudiziaria ha dell’incredibile: l’insieme di tutti procedimenti giudiziari provenienti da Treviso, Venezia, Padova, Roma, Milano e Catanzaro che conduce le varie Corti a pronunciarsi su venticinque attentati (uno anche su Torino) su una cinquantina tra indagati e imputati, in oltre vent’anni di iter porta solo alla condanna minima di due ufficiali per un reato formale.

A tal proposito, nelle pagine del suo “Osservatore Politico” Mino Pecorelli, scrisse il 14 dicembre 1977: “Convocato dalla Corte di Catanzaro stavolta toccherà al Capitano Labruna riprestarsi agli obbiettivi dei fotografi a al fuoco incrociato degli opposti collegi di difesa. Si dice che vogliano interrogarlo in merito alla paternità di certe firme (presumibilmente false) apposte in calce di certi passaporti. Non si sbalordisca troppo l’intrepido Capitano, oggi va così questo Paese. Lui poi ha ricevuto un aiuto inaspettato. Ormai anche il Ministro agli Interni del Pci ha pubblicamente riconosciuto che i servizi segreti non sono tenuti a rispettare la legge nei suoi aspetti formali. Al riguardo la giustizia non ha altri diritti da accampare altrimenti il processo di Catanzaro non sarebbe più la ricerca della verità sulla strage di piazza Fontana, bensì la caccia alle spie e l’invito alla delazione. E al KGB non resterebbe che comprare il Giornale”.

 

 

Il film

 

Sulla memoria della strage di Piazza Fontana non c’è una grande produzione cinematografica ma nel 2012, ha sollevato molto interesse il film “Romanzo di una strage” con Valerio Mastrandrea, Laura Chiatti, Giovanna Mezzogiorno e Pierfrancesco Favino, diretto da Marco Tullio Giordana ispirato al libro “Il segreto di Piazza Fontana” di Paolo Cucchiarelli.

In una scena del film, il commissario Calabresi riferisce al capo dell’Ufficio Affari Riservati Federico Umberto D’Amato della presenza di due bombe.

La prima, meno potente, sarebbe poi esplosa a banca chiusa. D’Amato fece intendere a Calabresi – questo si racconta almeno nel film – che l’attentato potesse essere stato organizzato da segmenti della Nato che poi confluiranno in Gladio e che nulla di quanto è accaduto verrà mai fuori. Come in effetti è successo.

 

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1 risposta a ALESSANDRA DE VITA, 54 anni fa la Strage di Piazza Fontana: un sanguinoso fil rouge unisce i 5 attacchi del 12 dicembre — IL FATTO QUOTIDIANO  12 DICEMBRE 2023

  1. DONATELLA scrive:

    Tragicommedia all’italiana, verrebbe da dire, se non pensassimo a tutti i morti che ha provocato. Quello che ne esce fuori è l’impossibilità di arrivare ai vertici di questo tentativo, quasi riuscito, di sovvertire la Repubblica italiana nata dalla Resistenza. Lo tenteranno altre volte e non è detta l’ultima parola.

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