LIMESONLINE – 7 DICEMBRE 2023
https://www.limesonline.com/cartaceo/alexandre-kojeve-i-doppi-giochi-di-una-spia-sovietica
ALEXANDRE KOJÈVE: I DOPPI GIOCHI DI UNA SPIA SOVIETICA
Alexandre Kojève (in russo , Aleksandr Vladimirovič Koževnikov; Mosca, 11 maggio1902 – Bruxelles, 4 giugno1968) è stato un filosofo francese di origini russe, considerato, soprattutto in Francia, uno dei maggiori interpreti della lezione hegeliana.
Nato da una famiglia di commercianti, nipote del pittore Vasilij Kandinskij, Kojève dimostra sin da piccolo una precoce vivacità intellettuale. Il padre morì sul fronte durante il conflitto russo-nipponico, e poco dopo la madre sposò un commilitone del marito di nome Lemkul, il quale garantì ad Alexandre un’adolescenza agiata e ricca di stimoli culturali.
Da adolescente comincia a redigere il suo Diario del filosofo, in cui annota non solo le proprie vicende biografiche ma anche le prime riflessioni filosofiche. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre viene scoperto e arrestato dalla polizia bolscevica per aver preso parte al mercato nero. Abbandona la Russia nel 1920, per poter continuare gli studi universitari che a Mosca gli venivano negati.
Decide così di partire con l’amico Georg Witt: dopo un lungo e avventuroso viaggio (in Polonia finisce in carcere con l’accusa di essere una spia bolscevica), giunge in Germania. Studia a Berlino ed a Heidelberg, laureandosi con Karl Jaspers con una tesi su Solov’ëv. Dopo gli studi universitari decide di trasferirsi a Parigi, nel 1926.
Parla Raymond Nart, già numero due del controspionaggio francese, ossessionato dal filosofo che incantò poteri e salotti di Parigi e si definì ‘la coscienza di Stalin’. Documenti alla mano, l’altra vita dell’‘agente ideologico’ Schlauer (Più Astuto) per il Kgb.
di Marco Filoni
Professore associato di Filosofia politica (SPS/01) alla Link Campus University. Ha fatto ricerca e insegnato in molte università straniere. Fra i suoi libri, tradotti in più lingue: L’azione politica del filosofo. La vita e il pensiero di Alexandre Kojève (Bollati Boringhieri 2021); Il calcolo della paura (Einaudi 2021); Anatomia di un assedio. La paura nella città (Skira 2019); Inciampi. Storia di libri, parole e scaffali (Italo Svevo 2019); Kojève mon ami (Aragno 2013).
Pubblicato in: LE INTELLIGENZE DELL’INTELLIGENCE – n°11 – 2023
Una spia del Kgb. Che Alexandre Kojève – quell’elegante e sulfureo pensatore capace di affascinare le menti più brillanti del Novecento – potesse essere un agente al soldo dei sovietici, si va dicendo da più di cinquant’anni.Prima come pettegolezzo, da sussurrare col cipiglio severo. Poi come dato che andava prendendo concretezza, man mano che qualche documento veniva trafugato o anche solo reso pubblico dagli archivi. Eppure… tutto ciò che è solido svanisce nell’aria. Di certo il personaggio si presta non soltanto per la sua rilevanza come filosofo, negli ultimi anni sempre più discusso e al centro del dibattito per i suoi «convergenti disaccordi» – Carl Schmitt, fra tutti. Ancor più per la sua influenza misteriosa in seno a una ristretta cerchia di economisti, diplomatici, politici. Uomo di segreto potere. E quando c’è il segreto di mezzo c’è sempre qualche servizio.
Kojève si beava del mistero, sornione: la provocazione era troppo condita di intelligenza per essere una maschera. E perciò ai suoi amici al ministero degli Esteri (dove aveva raggiunto gli alti ranghi come funzionario) o ai più blasonati intellettuali francesi diceva di essere la «coscienza di Stalin», o un «marxista di destra» e così via. E naturalmente più d’una volta aveva pronunciato la frase «ne ho parlato con i miei amici del Kgb», lasciando il suo interlocutore col dubbio se, al solito, stesse iperbolicamente mettendo in atto l’innata propensione a épater le bourgeois, oppure stesse semplicemente dicendo la verità.
Per anni il mistero è rimasto affare da pettegolezzo in bocca a filosofiche malelingue. Poi però accade che nel 1999 iniziassero a esser resi pubblici alcuni dei documenti che l’ex funzionario del Kgb Vasilij Mitrokhin, rifugiatosi nel frattempo in Inghilterra, aveva per anni raccolto nei suoi quaderni segreti. Fra le carte che stavano creando allora non pochi imbarazzi e molti scandali, viene fuori una fonte o un agente indicata dal Kgb col nome in codice «il Filosofo».
NOTA :
- Vassilij Mitrochin, Christopher Andrew: L’Archivio Mitrokhin. Le attività segrete del KGB in Occidente. Milano, Rizzoli, 1999.- BUR, ristampa 2007Il 24 marzo 1992 Vasilij Mitrokhin, archivista del KGB formalmente smantellato, si presenta all’ambasciata britannica di uno stato baltico. Le migliaia di documenti che porta con sé, ricopiati per anni e tenuti al sicuro, sono riscontrati come autentici dal controspionaggio inglese. Il governo di Sua Maestà affianca a Mitrokhin nel 1996 lo storico Christopher Andrew. Insieme, a partire da questo materiale, ricostruiscono così, dall’interno, la storia sconvolgente del KGB, dagli anni Trenta delle purghe staliniste alle “spie di Cambridge”, dalle trame della Guerra fredda alla repressione del dissenso, dalle infiltrazioni tra i politici dei governi occidentali ai ricatti e alle ingerenze nella vita dei partiti comunisti e alle Brigate rosse.
Vasili Mitrokhin
foto da Biografie online
DA :
WIKIPEDIA — ” LA STORIA INTERESSANTISSIMA DELLA SUA VITA “- ch.
https://it.wikipedia.org/wiki/Vasilij_Nikiti%C4%8D_Mitrochin
Finalmente, deve aver pensato il signor Raymond Nart. Lui era convinto da sempre che il filosofo fosse un agente del Kgb. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo e da decenni cercava conferme. Non sarebbe così peregrino – ognuno ha le proprie ossessioni – se non fosse però che Raymond Nart non è propriamente uno qualunque. Dal 1988 al 1998 è stato il direttore aggiunto della Dst, la Direction de la Surveillance du Territoire ( Dst )– ovvero i servizi segreti che si occupavano di controspionaggio in Francia (oggi il servizio ha cambiato denominazione, essendosi fuso nel 2008 con la Direzione generale dei servizi d’Oltralpe). Qui Nart ha fatto tutta la sua carriera sin da quando vi è entrato, da giovane commissario di polizia, nel 1965. Diventando uno specialista dell’Unione Sovietica, tanto che a lui si deve l’Operazione Farewell, una delle più importanti missioni di controspionaggio della storia che Nart ha diretto fra il 1979 e il 1982 – e che ha smantellato, di fatto, le strutture di spionaggio scientifico, tecnico e tecnologico del Kgb in Occidente.
Oggi Nart è un elegante signore di 87 anni che però non ha dimenticato la sua «inchiesta» sul filosofo. Al contrario è di una lucidità sconvolgente quando con disinvoltura affastella nomi, date, aneddoti… Quando parla di Kojève si appassiona, anzi sembra che per lui sia una specie di chiodo fisso che ha accompagnato la sua carriera da «spione». Ci riceve, chi scrive e il direttore di questa rivista, nella sua villetta in una bella e ordinata periferia parigina. E naturalmente la prima domanda non può che essere: perché proprio Kojève?
«Quando sono entrato alla Dst ero un giovane commissario e allora si poteva fare una cosa che oggi non soltanto non è più possibile, è proprio impensabile. Ovvero avere accesso diretto agli archivi. All’ora di pranzo, fra mezzogiorno e le due, chi voleva poteva decidere di saltare il pranzo e scendere a scartabellare fra i documenti. Senza alcuna limitazione, con grande libertà d’accesso. Io ero stato assegnato alla Divisione sovietica e così mi sono ricordato delle lezioni di filosofia al liceo: avevo un professore particolarmente brillante che citava e parlava di Kojève con grande trasporto. Sapevo che era di origine russa, così mi sono chiesto: ma esisterà un dossier su di lui?».
È così che inizia l’inchiesta di Nart, durata molti decenni.
Con due tappe importanti: il 1996, con Nart ancora in servizio, quando interroga Nina Ivanoff, che era stata la compagna di Kojève (anche lei agente del Kgb, sempre secondo Nart); e il 2018, anno in cui pubblica un articolo sulla rivista francese Commentaire nel quale ricostruisce la storia di questa sua personale ossessione. Infatti non si può propriamente parlare di un’inchiesta ufficiale: come Nart ammette più volte, nessuno gli ha mai chiesto di indagare sul filosofo. Anzi, quando nel 1966 – dopo aver studiato i diversi dossier che la Dst aveva su Kojève – incaricò un ispettore di prendere informazioni, iniziare a vagliare con discrezione ambiente e contesti professionali, sociali e così via, l’ispettore non riportò che sospetti vaghi. Aggiungendo: «Capo, guardi che si sta attaccando a una vacca sacra». Ovvero, secondo Nart, Kojève ha sempre goduto della protezione di qualcuno ad alto livello.
Ma andiamo con ordine.
Le informative dei servizi francesi
Le prime informative che compaiono negli archivi della Dst riguardano gli anni Trenta e sono insignificanti: una rissa che vede coinvolto Kojève con un suo amico, un altro russo, sulla terrazza di un caffè in boulevard Saint-Michel; nel 1937 la relazione positiva all’inchiesta amministrativa della prefettura di polizia relativa alla richiesta di cittadinanza francese. Poi alcune informative tutte datate 1949 vanno a comporre un interessante dossier (numero 656101). La prima arriva da Strasburgo, datata 18 gennaio e depositata presso l’archivio centrale della Dst il 21. Si tratta di una nota sull’attività di Alexandre Kojevnikov, la cui fonte è un «informatore occasionale» e il «valore» della nota stessa è «da verificare». I dati contenuti sono piuttosto imprecisi («attualmente si fa chiamare Kojeev», ma in realtà era stato naturalizzato nel 1937 con il nome Kojève; risulta «autore di Gegel (sic) e Kant» e così via) e non compare nessuna «informazione d’archivio». La nota cita «relazioni con gli alti ranghi francesi» che il soggetto avrebbe, nonché un legame stretto con «Gaston Laroche, il cui vero nome sarebbe Makline (sic, in realtà Matline)». Secondo la fonte «il citato Kojevnikov è membro del Partito Comunista e potrebbe essere un agente sovietico. La sua attività sarebbe indirizzata in particolare nel campo scientifico e culturale». L’ultimo punto dell’informativa, quella nella quale l’ufficio territoriale di Strasburgo deve indicare quali misure vengono messe in atto sulla base dell’inchiesta fatta, riporta un laconico: «Il Settore non continua l’inchiesta». Firma il commissario di divisione, capo del controspionaggio, Philippe Pflugfelder.
«L’inchiesta effettuata ha avuto i seguenti risultati:
Kojevnikoff, detto Kojève Alexandre, nato il 28 aprile 1902 a Mosca, da Vladimir e Ouchakoff Alexandra, di origine russa, ha acquisito la nazionalità francese con la naturalizzazione (decreto 30237-X-35 del 18 febbraio 1937). Divorziato da Schutak Cécile, che aveva sposato l’11 gennaio 1927 a Parigi, con atto del Tribunale Civile della Senna in data 22 ottobre 1931, convive da circa dieci anni con Ivanoff Nina, nata il 6 settembre 1911 a Mosca, di origine russa, naturalizzata francese (decreto del 5 novembre 1948 apparso in Gazzetta Ufficiale del 14 novembre 1948), celibe, senza figli.
Arrivando dall’Italia, risiede nel nostro territorio dal 1926. Dal 1932 risiede al numero 13 di boulevard de Stalingrad (anticamente boulevard du Lycée) a Vanves, dove occupa un appartamento affittato per circa 11 mila franchi.
Nel 1941 Kojevnikoff ha lasciato surrettiziamente questo indirizzo, rientrandovi soltanto qualche mese dopo la liberazione. Sul suo domicilio e sulle sue occupazioni durante questo lungo lasso di tempo si hanno pochissime informazioni. Nello Schedario Centrale della Sicurezza Nazionale compare una copia di domanda di visto depositata dall’interessato il 10 dicembre 1941, sulla quale egli ha indicato di abitare al 29 di Rue Longue des Capucins a Marsiglia, e sollecita il rinnovo del suo passaporto e di un visto d’uscita per poter raggiungere il Brasile al fine di crearsi un’occupazione, “non potendo esercitare la sua professione (bibliotecario) essendo naturalizzato e con genitori stranieri”. Il 12 marzo 1942 le autorità di Vichy accordano un parere favorevole alla sua richiesta ma egli non realizza questo progetto. Sembrerebbe che abbia abitato a Marsiglia dove la sua compagna Ivanoff ha soggiornato fino all’ottobre del 1945. Kojevnikoff ha pure soggiornato nel Dipartimento delle Alpi Marittime, dove il 16 novembre 1943 gli è stata rilasciata una carta d’identità francese.
Kojevnikoff possiede una vasta cultura. Conosce molte lingue. Sulle sue occupazioni si mostra alquanto discreto e non si sa bene cosa faccia. È possibile che lavori in un servizio americano di stanza a Parigi per un piano di aiuti in Europa.
Effettuerebbe inoltre presso il suo domicilio un lavoro di traduzione di opere letterarie sulla natura delle quali non si hanno informazioni. Talvolta alcuni stranieri, che potrebbero esser russi, lo vanno a trovare. Sembrano essere intellettuali.
Kojevnikoff conduce una vita confortevole ma senza lussi. Da qualche mese ha a disposizione un’automobile, Peugeot n. 1492TT8X guidata da un autista che si direbbe essere russo. Quest’auto è immatricolata presso la Prefettura di Polizia il 1 giugno 1948 a nome della signora Dreyfus-Mosseri Denise, che vive all’Hotel Ritz di Parigi.
Dalle verifiche effettuate risulta che:
Dreyfus nata Mosseri Denise il 10 ottobre 1918 ad Alessandria (Egitto) è di nazionalità svizzera per aver sposato Dreyfus Richard, nato il 20 agosto 1913 a Francoforte sul Meno (Germania) (questi stranieri non sono conosciuti al casellario Centrale della P.P.). All’Hotel Ritz di Place Vendôme dichiarano di conoscerli in ragione dei soggiorni che vi hanno effettuato negli anni 1946-1947. Il loro ultimo soggiorno risale al 10 e 11 novembre 1948. Viaggerebbero molto e la loro residenza abituale sarebbe al numero 24 di Ismail Pacha al Cairo (Egitto). Possiederebbero una bella proprietà nell’Île de France. Il marito è da annoverare come uno dei più importanti banchieri internazionali. Le sue relazioni nell’ambito degli affari, diplomatici e mondani sarebbero numerosi e influenti.
Possiamo sostenere che Kojevnikoff progetterebbe di recarsi prossimamente in Egitto.
Si suppone che dopo la liberazione egli ricopra un importante ruolo nel gabinetto del Ministro, ma non abbiamo ulteriori informazioni. Il fatto che su una richiesta di passaporto, formulata il 28 ottobre 1947, egli abbia indicato come professione “Chargé de mission” sembra confermare l’indicazione sopra citata.
Arruolato il 5 gennaio 1940 presso il Campo Base di Fanteria n. 24, a Maisons-Lafitte, è stato mobilitato il 18 novembre 1940.
Dal suo arrivo in Francia, nel 1926, ha frequentato i corsi della Facoltà di Lettere di Parigi e alcuni indizi lasciano supporre che abbia mantenuto alcune conoscenze nel campo universitario.
Prima del 1940 Kojevnikoff era impiegato in qualità di bibliotecario presso il Servizio di Documentazione Contemporanea, Museo del Castello di Vincennes. Inoltre riceveva un salario come incaricato di corsi e conferenze in filosofia religiosa all’École Pratique des Hautes Etudes (Sorbonne).
La signorina Ivanoff, compagna di Kojevnikoff, è in cura in un sanatorio. Laureata in scienze alla Facoltà di Parigi e addottorata nella stessa materia presso la Facoltà di Marsiglia, è stata dal 1942 al 1945 assistente del professor Magoillant dell’Università di Marsiglia.
A partire dall’ottobre 1945, Ivanoff Nina fa parte del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica, 11 rue Pierre Curie, in qualità di ricercatrice.
Nel suo dossier del Casellario Centrale degli Stranieri, risulta un’attestazione, che le è stata rilasciata dal Centro d’Azione e di Difesa degli Immigrati, che certifica che “ha ricoperto una parte attiva durante la Resistenza a partire dal 1942 e che si è dedicata in particolare alla propaganda e all’organizzazione delle evasioni, alla formazione di gruppi fra i soldati stranieri arruolati con la forza dall’esercito tedesco”.
Kojevnikoff ha un atteggiamento molto riservato; nel suo ambiente non si sa nulla delle sue frequentazioni, delle sue opinioni e sentimenti nei confronti del nostro Paese. Tuttavia, in un rapporto della Direction des Renseignements Généraux che lo riguarda datato 26 gennaio 1940, viene rilevato che era iscritto al Partito Comunista nel luglio 1939 e che “è un individuo sospetto in stretta relazione con comunisti e molti stranieri”.
L’informazione contenuta nella nota indicata e secondo la quale Kojevnikoff sarebbe molto legato con Gaston Laroche, dal suo vero nome Matline Irul, conosciuto dal nostro servizio come uno degli organizzatori dell’ex unione dei patrioti sovietici, poi del Centro di Difesa degli Immigrati, attualmente segretario amministrativo dell’Union Générale des Engagés Volontaires et Résistants Étrangers, il quale Matline è considerato negli ambienti russi come simpatizzante di idee di estrema sinistra, non è possibile né confermarla né negarla. Quanto alla notizia che vuole Kojevnikoff membro del Partito Comunista che conduce un’attività diretta in particolare sul piano scientifico e culturale, appare probabile.
Non è stata raccolta alcuna informazione sulle opinioni di Ivanoff Nina, ciononostante si può supporre che condivida i sentimenti del suo amante.
Riassumendo, riguardo ai soprannominati, è bene esser circospetti almeno dal punto di vista politico.
Fino a oggi non hanno attirato l’attenzione dal punto di vista nazionale.
I loro nomi non compaiono nel Casellario Giudiziario».
A questa lunga informativa ne seguono altre con le quali la Dst chiede maggiori informazioni: ciò che vuol sapere dagli uffici locali è se quanto dichiarato nel gennaio, ovvero che Kojevnikoff «condurrebbe per i Servizi di Sicurezza Sovietici un’attività sul piano scientifico e culturale», abbia un qualche riscontro.
L’ufficio di Nizza risponde in data 30 giugno 1949: «Ricerche minuziose effettuate su più annate e nei diversi archivi di polizia della Regione non hanno permesso di ritrovare alcuna traccia del soggiorno di Kojevnikoff Alexandre nelle Alpes-Maritimes. L’interessato è sconosciuto alle strutture amministrative della Prefettura del Dipartimento e nei servizi amministrativi dei comuni delle principali città della Regione». Conclusione: «Il soggiorno di Kojevnikoff Alexandre durante il quale è stato segnalato condurre un’attività sul piano culturale e scientifico a favore dei Servizi di Informazione Sovietici non può essere verificato nelle Alpes-Maritimes». L’informativa inviata da Marsiglia, in data 15 luglio, riporta la stessa conclusione, aggiungendo che l’inchiesta ha rilevato che durante i mesi in cui è stato lì residente aveva «mezzi di sostentamento ed è stato considerato uomo onesto e serio», inoltre «avrebbe anche lavorato per Henri Moysset, Ministro del Governo di Vichy. In un rapporto dei Servizi locali datato 1942 Kojevnikoff è descritto come persona con un atteggiamento corretto nei confronti di Vichy».
Oltre alle informative c’è un altro documento che Nart cita e che i servizi francesi sono riusciti a ottenere da una talpa all’interno del Partito comunista francese: è una nota datata gennaio 1944 dedicata al «Settore dei prigionieri sovietici» in vista della «necessità di una preparazione politica e militare della massa dei prigionieri sovietici in vista della loro partecipazione a fianco del popolo francese all’insurrezione nazionale».
Tale documento, finalizzato alla struttura di questo settore del partito, riporta fra le iniziative attuate e da attuare (Comitato centrale; creazione di cellule nei campi; censimento dei prigionieri evasi; legami con i gruppi partigiani, creazione di movimenti armati clandestini; un giornale di propaganda) anche un «gruppo di lingua russa del partito e unione dei patrioti russi»: in quest’ultimo punto del documento viene riportato che in seno alle attività dell’unione dei patrioti russi vi è un gruppo «sotto la direzione del Professore della Sorbona (Kojevnikoff) che è allo stesso tempo responsabile delle città di Nizza, Cannes, Grenoble, Pau». Per Nart già questo documento dimostrerebbe con certezza l’affiliazione di Kojève al Partito comunista.
Fedele alla linea o doppiogiochista?
Dalla lettura dei documenti della Dst emerge con chiarezza che, di certo, Kojève ha frequentato non pochi personaggi sui quali vi erano molti sospetti e che poi sono risultati agenti del Kgb.
L’amico con il quale Kojève è coinvolto in una rissa in un caffè, nei primi anni Trenta, è Jacques Goldberg – «una spia del Kgb», afferma Nart. E pure Matline Irul, conosciuto come Gaston Laroche, era un agente dell’ambasciata sovietica. Non solo: per Nart era impossibile che Kojève, per la posizione che ricopriva, per l’influenza che esercitava su importanti diplomatici e uomini politici francesi, non fosse in contatto con i servizi sovietici. Per fugare i dubbi, per non fondare queste sue convinzioni soltanto su sospetti in fondo troppo vaghi, Nart pensa di convocare Kojève e interrogarlo. «Anche se il solo pensiero mi mette i brividi: mi avrebbe messo in tasca come con un fazzoletto. Era un tipo davvero straordinario, immenso, intelligentissimo, e nonostante tutta la potenza pubblica che avrei potuto rappresentare se lo avessi interrogato mi avrebbe sicuramente messo all’angolo. La convocazione sarebbe servita per fargli sapere che le sue attività con i servizi sovietici erano conosciute, che il suo comportamento era suscettibile di procedimenti giudiziari e amministrativi, e che quindi era più appropriato cercare un compromesso, proporgli un accordo con una clausola assolutoria delle autorità francesi a condizione che avesse apportato come contropartita un contributo alla conoscenza dei suoi interlocutori e dei loro centri di interesse».
A ogni modo la questione non si pone: Kojève muore nel giugno 1968 e Nart non lo interrogherà mai.
Il nostro commissario però non demorde: anche se il caso è chiuso, come si dice in questi casi, e nonostante susciti pure qualche risatina fra i colleghi che lo invitano a lasciar perdere, Nart rimane con il pallino di Kojève. Sino a quando, nel 1992, viene a conoscenza di una serie di dossier arrivati alla Dst tramite i servizi segreti rumeni, la Securitate: qui è contenuto l’affaire Charles Hernu, già controverso ministro della Difesa francese, che non soltanto sarebbe stato un agente rumeno, ma aveva fatto una serie di doppi e tripli giochi lavorando anche per bulgari e sovietici. Fatto sta che questo dossier cita un «agente sovietico, un russo bianco che aveva diviso fra il 1952 e il 1955 l’ufficio di Dino (nome in codice di Charles Hernu presso la Securitate) al ministero delle Finanze, Commercio estero». Questo agente sovietico veniva citato con il nome «Schlauer», che in tedesco significa «Più Astuto»: «Parlava più lingue. (…) Era uno specialista di questioni economiche europee». Perciò, dice Nart, come non riconoscere nel «furbo» proprio il nostro Kojève?
Certo, manca ancora la prova definitiva, che però arriva con l’Archivio Mitrokhin.
Qui Nart trova il suo agente «Filosofo» descritto in questi termini: «Lavoro al ministero dell’Economia nazionale. (…) È considerato come agente di valore. Era sposato con una francese come lui d’origine russa, lei aveva i nomi in codice Naina e Sandra. (…) Lui ha collaborato con il Kgb a partire dal 1940. (…) Durante l’occupazione, la polizia di Vichy aveva arrestato Naina mentre tentava di attraversare la frontiera, ma grazie all’intervento di André Moissel (Henry Moisset) del gabinetto di Darlan, è stata rilasciata e ha potuto continuare il suo viaggio verso Marsiglia. (…) Nel 1943, ha tentato di riprendere contatto con la residenza sovietica di Marsiglia attraverso l’intermediazione di Nina, che conosceva le attività del marito per conto dei servizi sovietici. (…) Lui ha trasmesso documentazione nell’ambito economico sui progetti del governo francese per contrastare alcuni aspetti delle relazioni bilaterali. (…) Naina è stata reclutata dal Kgb nel 1959 che la utilizzava come corriere fra il Filosofo e la residenza. Lei ha trasmesso bobine di microfilm contenenti documenti relativi al lavoro che faceva il marito; oltre a queste, anche osservazioni e note personali nelle quali informava sulla politica della Francia nel Terzo mondo di cui lui stesso era uno degli ispiratori (…). Dopo la morte del Filosofo è stata resa una pensione a vita a Naina di 500 franchi a mese per i servizi resi». Ecco finalmente quel che Nart cercava: la conferma a tanti anni di sospetti, inchieste, interrogativi… Così decide di convocare Nina Ivanoff. Lei era stata la compagna del filosofo e il suo nome compare ripetutamente fra le carte. E proprio lei – rivela a Nart – si recherà diverse volte a incontrare dei diplomatici dell’Unesco, al ristorante per cena, durante la quale lei darà loro buste e piccoli pacchetti preparati da Kojève. «Altro che diplomatici dell’Unesco, erano agenti del Kgb», tuona Nart. Che sottolinea un punto per lui fondamentale che emerge dall’incontro con Nina Ivanoff.
«Durante la chiacchierata – non un vero e proprio interrogatorio, sa: la signora Ivanoff aveva già 85 anni quando l’ho incontrata, e come si fa in questi casi si utilizzano modi molto cordiali, senza forzare l’interlocutrice – lei mi ha rivelato il rapporto che Kojève aveva con i soldi. Un rapporto bizzarro: soldi non ne aveva, guadagnava uno stipendio poco più che dignitoso al ministero (del resto aveva questo «grado» di consigliere segreto in qualità di chargé de mission, un ruolo al di fuori della gerarchia, non particolarmente remunerato), eppure viveva in maniera dispendiosa. Se aveva soldi, li spendeva, senza problemi: del resto mangiava sempre al ristorante. E questo perché non teneva in alcun conto il denaro. Anche negli anni Quaranta viveva grazie alla rendita che gli aveva lasciato Denise Mosseri, che era ricchissima: aveva una bella e lussuosa villa a Deauville, in Normandia, in affitto, e il corrispettivo della locazione era destinato a Kojève. Mosseri aveva seguito i corsi di Kojève. Furono sempre molto legati – al punto che Kojève avrebbe voluto sposarla, negli anni Trenta, ma il padre di lei non volle poiché lui non era ebreo».
Questo rapporto col denaro è importante secondo Nart poiché non vi è mai stata traccia che Kojève avesse un qualche ritorno economico dal suo rapporto con i sovietici. «Non vi è traccia perché Kojève non si è mai fatto pagare. Non voleva soldi, non lavorava per quello – del resto non gli interessavano. Lui era una spia perché era un agente ideologico». Cosa significa agente ideologico? Che lui decideva le informazioni da dare; e lo faceva perché voleva giocare un ruolo e influenzare l’Unione Sovietica. Ma prendeva ordini dal Kgb? Non voleva soldi per esser libero di scegliere quali documenti passare e quali no? Domande per ora inevase.
Ma a questo punto vi sono alcune questioni da affrontare.
La prima: perché non pensare che facesse il doppio gioco? Del resto la sua fedeltà alla Francia è stata ribadita non soltanto nel corso dell’interrogatorio con Nina Ivanoff – che certo non ha negato rapporti con il Kgb di Kojève ma ha ribadito il comportamento corretto del filosofo nei confronti del suo paese. Ma anche da grandi uomini di Stato, grands commis come Robert Marjolin, Olivier Wormser, Bernard Clappier, Raymond Barre… Non è possibile pensare che Kojève potesse sì dare informazioni al Kgb, ma concordate con i suoi sodali che lui consigliava nel loro ruolo di alte cariche dello Stato? «No, non è possibile», risponde laconico Nart. Seconda questione: Kojève era un agente del Kgb e i servizi segreti francesi lo sapevano almeno a partire dagli anni Quaranta: perché non hanno fatto nulla? Perché hanno permesso che un agente sovietico arrivasse a diventare un uomo così influente e così in alto nella gerarchia dello Stato francese? È possibile che abbia potuto continuare a fare il suo delicato lavoro di diplomazia internazionale ottenendo persino i massimi riconoscimenti (come la Légion d’Honneur) senza che vi fossero impedimenti di sorta? Anche su questo punto Nart non ha dubbi:
«Perché è stato protetto, in altissime sfere. Basti pensare a Raymond Barre: Kojève con la sua intelligenza, il suo spirito superiore, lo aveva soggiogato. Così come aveva soggiogato altri grandi spiriti, come Raymond Aron, Robert Marjolin e tanti ancora… Lo stesso Barre quando è stato messo a parte del fatto che Kojève fosse un agente sovietico non ha voluto crederci; non ha voluto credere alla Dst! Questo perché Kojève era davvero eccezionale e riusciva a sedurre le persone». Persino lo stesso Kgb, come per esempio nella vicenda della casa di sua madre, che era rimasta a Mosca e viveva in un bell’appartamento che sarebbe stata espropriato, ma che si risolse – come dice Nart – grazie all’intervento di Kojève che parlò «con i suoi amici del Kgb». «Non era certo una passeggiata trattare con Kojève, anche dal punto di vista sovietico, del Kgb: non so nemmeno se c’era qualcuno che si occupasse di lui, credo invece vi fosse chi si occupava di Nina Ivanoff».
Carta di Laura Canali – 2019
Ragioni filosofico-politiche
Però è bene tener conto di una caratteristica tipica del filosofo, che ha spesso messo in atto. Quando per esempio nei primi anni Quaranta con grande nonchalance partecipava alla Resistenza francese con il gruppo Combat di Jean Cassou (di cui era membro con il numero 2131) e allo stesso tempo collaborava con Henri Moysset, ministro del governo di Vichy (il cui nome compare nell’informativa da Marsiglia della Dst);
o ancora perché scriveva un opuscolo di propaganda, in tedesco, nell’ottobre 1944 (insieme a Joseph Bass, capo della Resistenza ebraica nel Sud della Francia) destinato all’esercito tedesco di stanza in Francia, con tinte antisemite e filosovietiche; e ancora perché nel 1940 aveva voluto a tutti i costi che un suo testo, scritto in russo, fosse consegnato all’ambasciata sovietica (quella che lui chiamava «Lettera a Stalin»)? Forse è questa stessa attitudine che può esser richiamata per provare ad analizzare il suo rapporto con il Kgb – ovvero lo sguardo «politico» con il quale Kojève guardava alle sue proposizioni teoriche come anche a quelle pratiche.
Doppio gioco? Volontà di essere sempre alla corte del tiranno o del potere di turno? Bieco opportunismo? Di certo, il testo noto come «Lettera a Stalin» o anche il suo La nozione di autorità, ovvero gli scritti kojèviani redatti durante la guerra, contengono una teoria della propaganda, un modo di concepire filosoficamente la politica che lui stesso espliciterà nel suo lungo dialogo con Leo Strauss.
Che in fondo si può riassumere in alcuni interrogativi: qual è l’azione che deve compiere il filosofo affinché possa verificare le proprie teorie? In che modo il lavoro destinato a modificare l’essenza delle cose deve concretizzarsi nell’azione del filosofo? Per Kojève la risposta a queste domande non può che essere quella platonica: il ricorso alla politica.
Del resto è questo il senso profondo dell’intero confronto con Leo Strauss a proposito della tirannide. Quel dibattito cercava la risposta a una sola, vertiginosa, domanda: di fronte all’impossibilità di agire politicamente senza rinunciare alla filosofia, il filosofo abbandona l’azione politica – ma ha le ragioni per farlo? La risposta, implicita, di Kojève è semplice: il filosofo non può e non deve abbandonare l’azione politica. Nessun ricorso alla virtù o alla moralità, come propone Leo Strauss, potrà cambiare la realtà. Al contrario, Kojève vi contrappone l’«immoralità», perché è la storia a incaricarsi di giudicare, «attraverso la “riuscita” o il “successo”, le azioni degli uomini di Stato o dei tiranni». Compresi i tiranni moderni. Compreso il Kgb.
Bisogna soltanto trovare il modo per espletare questa azione politica. E Kojève trova una sua personale modalità per agire politicamente da filosofo ricorrendo alla propaganda, al doppio gioco. Ecco, con tutto il suo carico dirimente, la distanza che lo separa da Leo Strauss – e al contrario invece, non a caso, lo avvicina con affinità e splendide sincronie a Carl Schmitt. E chissà, se magari un giorno avremo a disposizione anche le carte degli archivi del Kgb potremmo aggiungere un ulteriore tassello a questa vicenda umana, storica, politica che, nonostante tutto, continua a essere fra le più avvincenti che il Novecento filosofico ci abbia lasciato.
Pubblicato in: LE INTELLIGENZE DELL’INTELLIGENCE – n°11 – 2023
chiara: anche per chi non conosce questo famosissimo filosofo perché non si occupa di filosofia, il testo è scritto in modo che attrae come fosse ( e giustamente.. ) una spy story, un racconto di spionaggio. Tra tante letture noiose che ci sobbarchiamo sui giornali, questo non mi ha annoiato e devo ammettere di essere in un età in cui la noia si tiene in tasca.. forse ci prepariamo così all’aldilà dove – se non ci ammettono in paradiso, e neanche nell’inferno- ci annoieremo eternamente.