DANIELE SANTORO, A Gaza l’Iran testa l’intesa tra Turchia e Israele — LIMESONLINE -18 OTTOBRE 2023

 

chiara : se avrete voglia di leggere piano piano fino alla fine, vi convincerete, forse, come mi sono convinta io, che è impossibile formulare un giudizio oltre quello umanitario ( che è fondamentale, se non l’unico che vale ) tanto ogni questione è sotto/ sovra – dimensionata, come si diceva anticamente.  Ogni argomento che prendiamo è come prendere il famoso ago nel pagliaio con il quale viene insieme, anche se non riusciamo a percepirlo, anche il relativo pagliaio. Forse per questa complessità delle vicende storico-politiche cui assistiamo inermi, produce tanti discorsi  diciamo vuoti, senza senso, o meglio ” partigiani ” nel senso peggiore del termine, cioè di odio verso la parte avversa, mentre la nostra parte è stata scelta – probabilmente – in modo analogo — Ma ripeto:  fuori la questione umanitaria che riguarda sia il popolo palestinese che quello ebraico, come tutti ormai affermiamo. O quasi tutti, purtroppo.

 

 

LIMESONLINE -18 OTTOBRE 2023
https://www.limesonline.com/turchia-israele-hamas-gaza-iran-erdogan-caucaso-azerbaigian-siria-cipro/133961

 

A Gaza l’Iran testa l’intesa tra Turchia e Israele

 

 

 

 

Carta di Laura Canali – 2023

Le conseguenze dell’offensiva di prossimità sferrata da Teheran contro lo Stato ebraico per interposto Hamas vanno misurate lungo l’asse Ankara-Gerusalemme. La coppia turco-israeliana può cambiare l’equazione mediorientale, costituendo un fronte anti-iraniano. Ma pone i turchi di fronte a un dilemma.

 

di Daniele Santoro

 

Israele è caduto nella sofisticata trappola palestinese tesa dall’Iran.


Dopo la sorprendente e umiliante offensiva di terra lanciata da Ḥamās (Hamas) la mattina del 7 ottobre lo Stato ebraico non ha altra alternativa che entrare a Gaza per provare a ristabilire una parvenza di deterrenza. Mentre Ḥizbullāh (Hezbollah), da nord, sembra non attendere altro che l’obbligato passo falso del nemico sionista per costringerlo a combattere su due fronti.Con i persiani che si preparano ad aprire un terzo fronte trasferendo armamenti e milizie verso la Siria occidentale. E gli israeliani che brancolano palesemente nel buio. Affidandosi al massiccio aiuto dell’America, che intende inviare nel Mediterraneo orientale una seconda portaerei, con relativo gruppo di battaglia, mettere a disposizione di Gerusalemme duemila marines con compiti di sostegno logistico, approvare un nuovo pacchetto di aiuti militari da due miliardi di dollari per l’alleato mediorientale (e l’Ucraina), oltre agli armamenti già consegnati allo Stato ebraico negli scorsi giorni.


 

Gli Stati Uniti si stanno facendo coinvolgere sempre meno indirettamente nel conflitto, mentre l’Iran ne resta formalmente fuori. Non è America e Israele contro Iran, ma America e Israele contro gli agenti di prossimità dell’Iran. Uno dei quali – Hamas, che ha acceso la miccia palestinese – veniva dato per cerebralmente morto non solo dall’intelligence israeliana ma anche dal resto dei servizi segreti mediorientali. Già in questo sta la misura del successo dei persiani, che stanno costringendo la superpotenza a impaludarsi di nuovo nel pantano mediorientale. Controvoglia, senza motivazioni strategiche. Con la stessa astrategicità che contraddistingue la reazione israeliana agli stimoli provenienti da Teheran, questi sì manifestazione di una visione propriamente strategica.

 


Il tutto nella prospettiva di una guerra lunga che promette di cambiare i parametri della competizione mediorientale e la cui posta in gioco nel medio-lungo periodo rischia di diventare la sopravvivenza stessa di Israele. Già travagliato da linee di faglia forse non ricomponibili. Ed eccessivamente dipendente da un’America internamente fratturata e tendente all’isolazionismo.


Ma gli effetti della sorprendente mossa persiana non sono limitati al confronto Israele-Iran per interposti Hamas ed Hezbollah. Influiranno in profondità sulla natura delle relazioni tra lo Stato ebraico e i suoi “alleati” mediorientali. Vecchi e nuovi. Il saudita Muḥammad bin Salmān (MbS), per esempio, ha dovuto improvvisamente innestare la retromarcia sulla normalizzazione con Gerusalemme, naufragata e destinata a sprofondare negli abissi mediorientali.


E anche gli Stati arabi che hanno già stabilito rapporti formali con Israele potrebbero essere costretti a rivedere il livello della cooperazione – o peggio – qualora il numero di vittime civili provocato dalla rabbiosa vendetta di Tsahal ( = Forze Armate d’Israele ) superasse la (peraltro molto elevata) fisiologica soglia di resistenza della celeberrima piazza araba. Forse oltrepassata con la strage dell’ospedale al-Ahli, che le opinioni pubbliche mediorientali attribuiscono inequivocabilmente a Gerusalemme. Le manifestazioni filopalestinesi ad Amman, l’allarme lanciato dalla Giordania sul rischio di un nuovo massiccio esodo di profughi a est del Giordano e il rifiuto di re Abdullah II di moderare un summit regionale al quale avrebbe dovuto prendere parte anche il presidente americano Joe Biden sono in tal senso inquietanti campanelli d’allarme.


In termini strategici le conseguenze geopolitiche dell’offensiva di prossimità sferrata dall’Iran contro Israele andranno tuttavia misurate lungo l’asse Ankara-Gerusalemme. Gli accordi di Abramo e la prospettiva della normalizzazione israelo-saudita hanno fatto passare in secondo piano il vero potenziale game changer ( punto di svolta ) degli equilibri mediorientali.

La riconciliazione tra Turchia e Israele, celebrata in pompa magna lo scorso 19 settembre con lo “storico” incontro tra Erdoğan e Netanyahu a New York. Durante il quale i due veterani del Medio Oriente hanno grottescamente discusso, tra le altre cose, la normalizzazione tra Gerusalemme e Riyad ( capitale Arabia Saudita ). A riprova di come il presidente turco non avesse alcun sentore di quanto stesse bollendo nella pentola gaziana.


L’intesa tra Turchia e Israele ha ontologicamente il potenziale per cambiare il Medio Oriente, e non solo.

Il progetto di condurre il gas israeliano in Europa attraverso un gasdotto sottomarino e l’infrastruttura turca può rivoluzionare la partita energetica che si gioca nel Mediterraneo orientale. Forzando l’Egittoa aderire allo schema turco-israeliano, dunque in prospettiva a riconoscere l’accordo turco-libico del 2019 sulla delimitazione delle frontiere marittime. Creando un precedente strutturale per lo sfruttamento degli idrocarburi della sezione orientale del mare nostrum. Quindi in ultima istanza costringendo greci e greco-ciprioti a scendere a patti con i turchi.


 

 

 


 

Carta di Laura Canali – 2020— https://www.limesonline.com/carta-accordo-turchia-tripoli-libia-mediterraneo-orientale/116653

 

A ciò si aggiunga che la cooperazione di intelligence sviluppata da Ankara e Gerusalemme nell’ultimo triennio ha già prodotto risultati tutt’altro che trascurabili in chiave anti-iraniana, permettendo, per esempio, a Turchia e Israele di arginare l’influenza di Teheran nell’Alto Iraq. Dove alla coppia turco-israeliana si sono di recente aggregati anche gli Emirati Arabi Uniti ( Dubai, EAU ), ai quali infatti la Repubblica Islamica ha indirettamente inviato inequivocabili segnali di disagio.


 

L’asse turco-israeliano si configura infatti come il più efficace e credibile baricentro di un fronte anti-iraniano attorno al quale ruoterebbero i vari satelliti arabi, sauditi ed emiratini inclusi. Non è un caso, in questo senso, che la Turchia abbia consapevolmente e strumentalmente cavalcato l’onda degli accordi di Abramo, sviluppando profondi partenariati militari tanto con Abu Dhabi quanto con Riyad. Fino a tre anni fa nemici giurati di Ankara dal Nord Africa all’Asia centrale. Estensione tradizionale del campo di battaglia turco-persiano. Il cui centro di gravità è il Caucaso, dove nel 2020 – a quasi 25 anni dall’accordo del 23 febbraio 1996 – è risorta la dimensione militare dell’intesa turco-israeliana. ( prossima puntata, ch. )


Al di là della necessità della Turchia di congiungersi all’Azerbaigian e alle Asie turche, il sostegno militare fornito alla riconquista del Nagorno Karabakh da parte di Baku ha permesso ad Ankara e Gerusalemme di infliggere un colpo potenzialmente letale all’influenza iraniana nel Caucaso meridionale, sigillandolo. Così come di costringere i persiani a guardarsi le spalle, aprendo di fatto un nuovo fronte nella multidimensionale partita che si gioca in Asia occidentale (Batı Asya, toponimo con il quale i più raffinati interpreti del kemalismo indicano il nostro Medio Oriente), e in prospettiva di risvegliare i sopiti istinti pannazionalisti della folta minoranza azera della Repubblica Islamica (almeno un quarto della popolazione). ( prossima puntata se ci regge il c.. )


Carta tratta da un testo scolastico che rappresenta il mondo turco.

Carta tratta da un testo scolastico che rappresenta il mondo turco.


In questo senso, non è probabilmente un caso che i persiani abbiano dato avvio alla riscossa proprio dal Caucaso meridionale, siglando con l’Azerbaigian un accordo infrastrutturale che permetterebbe a Baku di congiungersi alla Repubblica autonoma del Naxçıvan attraverso il territorio iraniano. Il giorno prima dell’inizio dell’offensiva di Hamas.

A riprova di come in termini strategici quest’ultima vada letta anche – forse soprattutto – nell’ambito del serrato confronto regionale tra Turchia – o meglio Turan – e Iran.

 


La spregiudicata mossa persiana ha infatti colto Erdoğan in mezzo al guado. Nello scorso biennio il presidente turco ha consapevolmente fatto emergere in superficie l’intesa con Israele, disarticolando contestualmente la struttura della Fratellanza musulmana – Hamas compresa – in territorio turco. Convinto che non gli sarebbe più servita e che il conflitto israelo-palestinese fosse una reliquia del passato. Peccato mortale per colui che un decennio fa si atteggiava a “re di Gaza”. Perché nel giro di poche ore l’Iran ha ristabilito i parametri classici della geopolitica mediorientale. Ponendo la Turchia di fronte a un atroce dilemma: puntare sulla partnership con Israele rinunciando di fatto – quantomeno nel futuro prevedibile – all’ambito ruolo di Stato-guida del mondo musulmano o rincorrere l’Iran nella contesa per la leadership dell’ecumene islamica mandando a monte la preziosa intesa con lo Stato ebraico.


Entrambe le opzioni danneggerebbero notevolmente la postura globale di Ankara. Anche perché non è detto che la prima sia effettivamente percorribile. Nelle prime fasi della guerra l’opinione pubblica turca ha esibito una sorprendente maturità strategica. Accodandosi alla narrazione di Erdoğan e soprattutto del suo alleato ultranazionalista Devlet Bahçeli ( politico turco del Partito Movimento nazionalista, è stato vice-primo ministro della Turchia dal ’99 al 2001 ) e ha castigato la “barbarie” di Israele almeno tanto quanto le “azioni disturbanti” di Hamas.


Ma la strage dell’ospedale al-Ahli rischia di rendere questo approccio insostenibile. Israele sta mettendo a durissima prova la proverbiale pazienza degli anatolici, che nella notte tra il 17 e il 18 ottobre hanno letteralmente assediato le rappresentanze diplomatiche israeliane in Turchia – inducendo Gerusalemme a mettere in stato d’allerta i propri cittadini – e si sono poi riversati in massa verso la base Nato di Kürecik (operata dagli americani).


Segnali di disagio che non possono essere sottovalutati, anche se il punto di non ritorno non sembra essere stato ancora raggiunto. Dopo la carneficina di Gaza i vertici dello Stato turco hanno condannato severamente il “crimine contro l’umanità” commesso dallo Stato ebraico, ma

il ministro degli Esteri Hakan Fidan ( da giugno 2023  )–che da oltre un decennio gestisce il dossier israeliano per conto di Erdoğan – ha messo in chiaro che Ankara intende moltiplicare gli sforzi per raggiungere “uno storico accordo di pace”.


Il che richiede il mantenimento di un approccio equilibrato, per quanto ormai non più equidistante. Ma soprattutto impone a Turchia e Israele di rilanciare il proprio sodalizio. Perché mentre Tsahal fa scorrere sangue musulmano i turchi devono avere la granitica certezza che l’intesa con Gerusalemme produca visibili e tangibili vantaggi per gli interessi nazionali della repubblica fondata da Mustafa Kemal. A partire, per esempio, dal Mediterraneo orientale, dove i paradossi geopolitici assumono sfumature kafkiane.


Israele è il principale partner militare di Azerbaigian e Cipro Sud. Grazie (soprattutto) al sostegno dello Stato ebraico – che ha fornito alla repubblica caucasica i due terzi degli armamenti acquistati nel quinquennio precedente all’inizio del conflitto con l’Armenia – Baku è riuscita a restaurare la sua integrità territoriale. E una volta scongiurata la prospettiva del riconoscimento del Nagorno Karabakh (Artsakh) come Stato indipendente, il presidente azerbaigiano İlham Aliyev si predispone a riconoscere l’indipendenza della Repubblica Turca di Cipro Nord.

La quale a sua volta ha iniziatorivendicare apertamente le acque di Cipro nella loro totalità. Mentre Israele si adopera militarmente proprio per scongiurare l’estensione più o meno diretta della sovranità turca su tali spazi acquatici. Nella fase aperta dalla mossa palestinese di Teheran, questi tatticismi nel cuore della profondità difensiva anatolica rischiano di frantumare l’asse turco-israeliano.


Ragionamento analogo vale per la Siria, dove gli interessi di Ankara e Gerusalemme sono perfettamente componibili. Per la banale ragione che tanto Erdoğan quanto Netanyahu vedono come il fumo negli occhi l’involuzione di Damasco a protettorato persiano. La Turchia si aspetta ormai da anni che Israele faccia valere la sua relazione privilegiata con gli Stati Uniti per convincerli a cambiare l’equazione a est dell’Eufrate, in modo da attenuare le minacce alla propria sicurezza nazionale. Così da porre le basi per un efficace roll-back nei confronti dell’Iran e per una cogestione (naturalmente non paritaria) turco-israeliana dello spazio siriano.


In assenza di iniziative di tale portata, l’asse Ankara-Gerusalemme potrebbe non reggere all’urto.


E a quel punto il successo della Repubblica Islamica sarebbe totale.


Carta di Laura Canali - 2021Carta di Laura Canali – 2021

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1 risposta a DANIELE SANTORO, A Gaza l’Iran testa l’intesa tra Turchia e Israele — LIMESONLINE -18 OTTOBRE 2023

  1. DONATELLA scrive:

    E’ difficile capirci qualcosa. Quello che salta agli occhi, come dice Chiara, è l’estraneità del concetto di umanità verso chi vive in quei tormentati territori da parte dei vari stati e delle superpotenze.

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