MGP – LA CASA DI RIPOSO. Il musicista. — un racconto d’amore

 

 

LA CASA DI RIPOSO

Il musicista

 

 

 

 

  • Claudio il musicista”, non è così che la chiamano? Suonare tutte le sere per questi vecchi e farli cantare . . . ma perché? Per quale motivo lei è qui? Non so capire la ragione della sua scelta – mi chiedeva con insistenza – Non è un infermiere, non è un medico, non è neppure un farmacista o un dietologo. Lei è un pianista. –

Ero un po’ sconcertato dalla sua domanda.
– Ho scelto la vita tranquilla, – le risposi – senza corse, senza turbolenze, senza più tempeste o confusioni. Oh! posso continuare . . . senza subbugli, nervosismi, rabbie, disordini . . . ho deciso per una vita calma, una navigazione di bonaccia direbbe il marinaio. Non le sembra una buona ragione? –
– No – mi aveva risposto decisa – non è sufficiente, non è una ragione valida. Qual è il vero motivo? – Non volevo raccontare altro e lei incuriosita quasi mi perseguitava, mi guardava con uno sguardo indagatore, voleva capire di più.

Una donna bella, più o meno della mia statura e soprattutto affascinante nonostante l’età, forse sui 65. Un’insegnante di letteratura inglese che voleva solo imparare e non insegnare, così diceva. La incontrai per la prima volta nella sala lettura, mentre riordinava i libri della piccola biblioteca.
– Claudio, vero sì, Claudio il musicista, verrò da lei questa sera. E’ tempo per me di cantare. Oh! Mi piace molto cantare. – esclamò con voce allegra e positiva.

Faceva parte del gruppo dei VIVACI, la categoria C (una mia suddivisione degli ospiti) dopo i TRANQUILLI e i PERSI e prima degli ESALTATI. Erano i più reattivi alle mie proposte musicali e molti di loro cantavano. Elena cantava con molta partecipazione, la prima canzone era “Take Your Time” (by Sam Hunt) quella era la sua preferita, ma poi era arrivata “Occhi di ragazza” e poi altre, molte altre, quelle del mio repertorio classico. Aveva una voce di contralto, molto calda e appassionata.

Era successo un fatto che l’aveva risvegliata ulteriormente, non che ne avesse bisogno, era la più brillante tra gli ospite della Casa di riposo Over. Era venuto a trovarla un signore di Bologna, per molti giorni, tutti i pomeriggi e con lui parlavano con grande entusiasmo, ricordando il passato, la prima giovinezza. Non avevo ascoltato tutti i loro discorsi, ma si era capito benissimo. Credo fosse il suo primo amore o l’amore fuggito . . . ricordo benissimo alcune loro frasi.

Appena lo vide dopo tanti anni, il suo viso s’illuminò, diventò quello di una ragazza con lo sguardo impertinente teso su di lui, un guardare pungente accompagnato da gesti seducenti con movenze lente e ricercate.

  • Non credevo tu venissi davvero – gli aveva detto – con tutte le bugie che mi hai sempre raccontato, ho pensato che anche questa lo fosse. Ma sono troppo felice di vederti per sgridarti. Felice, sì. La tua telefonata, la tua voce, come resistere . . . Nel passato ti tenevo testa, ti ho respinto, ti ho mandato via più volte, ma ora non c’è buon senso da salvare.- Parlava in gran velocità e disinvoltura, ma non era proprio spigliata, come voleva sembrare, nascondeva l’imbarazzo del sentimento che ancora ondeggiava dentro di lei. Valerio, così si chiamava, un uomo alto e magro, con un viso allungato e molti capelli brizzolati un po’ scomposti, si era seduto davanti a lei, le accarezzava le mani e le portava alle labbra e le baciava ancora e ancora.
  • – Non ho mai smesso di pensarti in tutta la mia vita. – le disse guardandola dritta negli occhi.
  • – Ecco un’altra bugia . . . sei un seduttore inguaribile. Non penserai che io possa crederti? – replicava con un certo imbarazzo girando la testa di lato e passando la mano sul collo per sollevare i capelli biondi arricciati sotto la nuca. – Lasciamo stare le bugie. Voglio tornare indietro, ora sei qui e mi aiuterai a ripercorrere la mia storia. Non facevano che parlare del mare, delle serate estive, luminose, lungo i viali di Pini Marittimi, le biciclette, il cinema all’aperto, una paura tremenda con i film di Hitchcock. L’abbracciarsi e lo spingersi con rabbia, e poi il vento quello denso che riempiva i viali e i canali e le mareggiate schiumose da rotolarsi dentro fino a riva. Succedevano tante cose, ma tutte senza importanza, sembravano un passatempo, una cornice intorno a noi due che non ci accorgevamo di nulla. –
    Erano ricordi meravigliosi di due giovani di fronte a tante strade, tante soluzioni e anche tante perdite irrecuperabili. Nelle loro parole c’era entusiasmo e allo stesso tempo un velo di tristezza per ciò che avevano perso. Era un amore, così sembrava, forse un amore mancato.
  • – Il tuo sguardo – riprendeva lei – è sempre lo stesso, anche ora mi guardi così, con questi occhi invitanti. . . Fammi vedere come mi guardavi . . . Guardami! Ecco vedi? . . . gli stessi occhi e io ti chiedevo – perché mi guardi così? – – Tu mi calmi, mi rispondevi.- – Io ti calmo? – ti chiedevo incredula. – Sì – insistevi, – tu mi calmi.- Assurdo perché avevo un tale tumulto interno . . . rispondevo al tuo sguardo con un sorriso e il cuore a mille.
    – Lo sapevi, oh sì . . . lo sapevi.-
    Valerio continuava a baciarle le mani e a fissarla, poi prese la testa tra le mani, chiuse gli occhi e si piegò in avanti, verso di lei.
    – Non potrai mai perdonarmi? Sono qui per questo – disse con voce esitante.
    – Ah! per questo . . . – sospirava – Dietro quegli sguardi, oh Valerio . . . c’era il mondo intero. Era il salto fuori dal tempo spensierato della fanciullezza, era l’entrare nel giardino incantato della vita vera, era . . . Sognavo un posto per noi, non importava dove, ma con te. – gli strinse le mani tra le sue. – E poi il nostro discutere da grandi . . . parlavamo di consapevolezza, di ascolto della propria voce, dei propri bisogni, della cura come elemento necessario per stare insieme, eravamo convinti che per decidere bisogna essere già maestri di sé stessi, per una scelta consapevole. Non è successo – spinse la sedia indietro e lasciò cadere le braccia.
    – Eravamo invincibili ed eterni, come lo sono i giovani, privi di paura e con un meraviglioso futuro davanti a noi. –

Ogni pomeriggio continuavano a ricordare animatamente il passato, si mettevano nella veranda del secondo piano, per essere protetti dal vento che ci perseguitava con folate ogni giorno più violente. – Guardate, guardate il mare. – commentava un’infermiera di passaggio – Non si esce oggi. Con questo vento il mare è come un turbine d’acqua, forma tanti mulinelli, non si esce oggi – insisteva – Temo che ci sarà una tromba d’aria. –

– Il vento anche qui – riprendeva Elena – si è fatto selvaggio in questi giorni. Sei tu che lo hai portato. – si girava, rivolta a Valerio – Una volta era il vento caldo della gioventù quello, è il nostro vento – sorrideva – e poi lo zefiro soave della nuova speranza e ancora certi libecci e subito dopo lo scirocco che mi ha indebolito durante il mio matrimonio e ora . . . ora non so. –

Pensava al vento come a una forza misteriosa non curante degli affanni umani, un’energia potente che spazza via tutto, travolge ricordi, emozioni, sofferenze e con totale indifferenza non si ferma. Un vento che somigliava al destino e l’aveva accompagnata in tutti i periodi della vita, spingendola avanti, così che la vita era passata, quasi senza sapere come.
– Mi pare che sia il vento ad aver guidato la mia vita, – continuava – strappandola al periodo precedente e spingendola oltre, sempre più in là, e ora . . .ora penso al vento gelido di tramontana. No, quello non arriverà, non voglio che arrivi mai. –
Lo abbracciava con trasporto. Valerio si avvicinava timoroso al suo viso.
– Non ero pronto – le diceva all’orecchio – io ero un ragazzo e non capivo. – Elena scuoteva la testa, stringeva le labbra e si allontanava da lui. Non sopportava quelle parole.

Quando Valerio se ne andava, Elena si precipitava da me per rilassarsi con un po’ di musica e per sciogliere i crucci dell’anima che sembravano essere diventati tristi rammarichi. M’ inondava di parole, era un flusso irrefrenabile che pareva liberarla da un cumulo di pensieri e di sentimenti. Un grande rancore era affiorato dalla memoria di quegli anni. Non poteva assolvere quell’uomo che non aveva capito, non solo, ma si era preso gioco di lei con la spavalderia di chi infligge dolore e si sente invulnerabile. . . e ora chiedeva anche il perdono.
– Suona per me la mia canzone – mi chiedeva. “The windmills of your mind”, bellissima e lei cantava tutte le strofe, fino in fondo, con una voce commossa, un po’ tremante.
– I mulini della mia mente non mi danno pace – mi diceva – l’inquietudine dell’anima mi ha accompagnato tutta la vita e anche ora non mi dà tregua. – Raccontava di se stessa come di una donna anziana con le gambe indebolite e le mani che non afferrano che palle di gomma e poi di un’anima nascosta che lampeggia come una lucina rossa vibrante di curiosità e desideri, e ancora sbircia strizzando l’occhio in un angolo del cervello. Sono una donna ormai vecchia – affermava convinta – eppure sono una ragazza dentro di me. Così mi sento, forse dovrei vergognarmi, ma non me ne vergogno. Gli adolescenti cercano le sfide, vogliono sempre sperimentare e sono privi di scrupoli, ma temo che questa volta la tempesta sia più forte del solito. – aggiungeva con un po’ di ironia.

Il giovedì pomeriggio e la domenica la sala di accoglienza si riempiva di ospiti, erano amici, parenti, figli e nipoti con carrozzine, bimbi in lacrime e cani. Nasceva una grande confusione e un vociare forte che impediva ogni pensare. Solo in quei momenti gli ospiti della casa di riposo si accorgevano della loro vita separata dal mondo e di quanto sarebbe stato faticoso tornare a casa o andare in un negozio o in un ufficio postale. Elena non aveva visite di parenti, (sapevo di un solo figlio che viveva negli Stati Uniti), ma in quella confusione di umanità poco amata, aveva familiarizzato con Angelina più o meno della sua stessa età, che si sedeva sempre vicino a lei quando riceveva la visita della figlia e del nipotino. La ragione di quel contatto poteva essere una simpatia, ma più di questo era una muta richiesta di aiuto.

Il bambino, Niko, chiamato in continuazione dalla madre, scorazzava avanti e indietro per la sala con pianti e pressioni sulla nonna finché non lo lasciavano andare nella piscinetta dell’acquagym dove faceva navigare la sua piccola barca a vela. Nessuno osava intervenire, si creava un clima di tensione un po’ imbarazzante per il timore che la figlia, liberasse un’irruenza, tenuta stretta a fatica, che si poteva leggere facilmente nel suo gesticolare impetuoso, sul suo viso, nell’abbigliamento piuttosto inquietante, e soprattutto nel trattamento riservato alla madre.
– Non la vuoi capire – le diceva – ma devo andare anche questa sera. Dovrai tenermi Niko- La madre rimaneva immobile e la guardava. – Anche questa sera? – osava chiederle con un filo di voce. – Lo sai, lo sai e non fare più domande. – concludeva la figlia con tono nervoso.
La scena si era ripetuta più volte, in quei pomeriggi ed io avevo temuto che la situazione esplodesse, ma la presenza di Elena, riusciva a calmare gli animi. Con fare disinvolto e sicuro, sorrideva, diceva poche parole e allungava un braccio intorno alle spalle di Angelina quasi annientata dalla personalità della figlia.

Stai tranquilla – le diceva con voce suadente – E’ una bella giornata oggi e noi siamo molto contente. –

Ecco, era quella calma che cercavo, la calma dell’anima senza più lotte inutili, senza più risentimenti volevo vivere con la pace interiore di fronte alla vita che va avanti inevitabilmente. Volevo portare anche agli altri quel sentire, condividerlo, dopo il mio infarto di aprile e la lunga degenza, tutto era cambiato dentro di me, volevo solo trovare la fiducia in me stesso e la strada della tranquillità. Non volevo più rincorrere il successo, l’impegno stressante, l’arrivare a ogni costo, non volevo dipendere dal giudizio degli altri, cercavo un camminare lento o almeno misurato e un cuore aperto ai dolori degli altri. Mi ero confidato con Elena una domenica sera, dopo gli incontri con i parenti e poi avevamo rinviato al giorno dopo.

Passarono quattro o cinque giorni, io non avevo mai tempo e lei era cambiata, si era trasformata in una persona ansiosa e sfuggente, non riuscivo ad avvicinarla. Valerio non si vedeva più, era partito, ma salutandomi aveva detto:
– Ci rivediamo presto! – e dunque sarebbe tornato. Elena lo aspettava.
Aveva cambiato comportamento e aveva perso l’allegria di prima, era diventata pensierosa e solitaria. Non si sedeva più nella poltroncina davanti alla finestra, come faceva ogni mattina, per vedere il mare. Si alzava molto presto, andava a camminare sulla passeggiata, oppure lungo il porto vecchio, a parlare con i pescatori, non stava volentieri con gli altri, però nel pomeriggio sul tardi veniva sempre a cercarmi per ascoltare la mia musica e qualche volta cantava la sua canzone, ma anche altre. Le piaceva “Sognami” ne conosceva tutte le parole, sembrava una canzone scritta per la sua storia d’amore.

Una sera, dopo cena, riuscii a parlarle con calma. Ci eravamo spostati fuori dalla Casa di riposo, eravamo al Mediterranée, un bellissimo bar ristorante con piscina . Era tardi, ma non finivamo più di discutere. Elena mi aveva offerto un bicchiere di vino, e anche quello faceva la sua parte.
Quella sera emerse la vera ragione del mio stare lì, raccontai di aver scelto una casa di riposo, come luogo di serenità, di chi accetta la fine della vita in silenzio e anche un voler essere utile e dare agli anziani la mia voce, la mia musica, e il mio ascolto.

– Certamente occorre far pace con noi stessi, a un certo punto della vita – aveva commentato – chiudere le porte e restare . . . soli.“Io con me” dicevo anni fa. Ma . . . ma in questo abbraccio con noi stessi, non possiamo non accogliere la parte irrequieta che non vuole calmarsi mai, neppure da vecchi. L’insoddisfazione che spinge e vuole di più. – Era estremamente seria e quasi per rompere la gravità delle parole mi aveva abbracciato. Era profumata.
– In definitiva una continua lotta tra gli affanni e la ricerca della quiete,
continuava in tono affettuoso – il poeta aggiunge:“inutile cercare la pace dove non c’è”. Cambierei quell’inutile . . . no, non è inutile, però la pace, quella che desideriamo non l’avremo mai. Non credi anche tu che l’inquietudine sia il sale della vita? – mi chiedeva sorridendo. Penso che non ci quietiamo mai, neppure a questa età e cerchiamo, e ancora cerchiamo. –

Mi era sembrato un messaggio straordinario, una visione diversa dalla mia che in qualche modo m’intrigava . . .”ma forse ha ragione”pensavo mentre continuavo a cercare una risposta osservando i miei vecchi. Avrei voluto chiedere a loro“quale è il segreto di una buona vita?”Ero convinto che quell’esperienza mi avrebbe fatto capire la verità sul come stare al mondo, mentre la mia visione della vecchiaia, stava cambiando.

Molti pensano che arrivati a una certa età (diciamo over 65) tutto si assopisca un po’, il cervello cominci a perdere colpi, il cuore a rallentare, stanco di emozioni e di desideri. Per questo pensiamo ai vecchi seduti in poltrona tranquilli, un po’ inebetiti, senza pensiero, abbandonati a una nebbiolina più o meno densa che offusca lo sguardo e rammollisce i muscoli e le articolazioni. Anch’io lo pensavo prima di venire qui. Ma non è così. O almeno non è così per tutti, posso dire che la maggior parte di questi ospiti cerca di non abbandonarsi all’oblio e a denti stretti si attacca a qualcosa di saldo per non perdersi in quella nebbiolina. La vita trascorsa, i risultati ottenuti, i soldi, i figli, i nipoti . . . questi più o meno sono i punti fermi. Io guardavo con attenzione i comportamenti dei miei anziani, ascoltavo le loro parole e mi era inevitabile pensarli a gruppi; in tre gruppi. Sarà la musica con il suo intreccio con l’aritmetica che mi spinge a scandire, a formare delle divisioni e raccogliere quelle persone in diverse categorie.
Dunque chi arriva da una vita ben vissuta, piena e soddisfacente, chi invece ha trascorso una vita in terza persona, diciamo così, facendo ciò che doveva, ma senza essere protagonista di se stessa e poi chi è ancora in attesa di vivere e l’aspettare è diventato uno stato d’animo quasi rassicurante anche dopo aver capito che non c’è più tempo e non si può più rimandare. Questi ultimi erano la maggioranza.
Elena era fuori da ogni elenco, conosceva troppo bene gli inganni nei quali ciascuno si trincera per salvarsi e li considerava debolezze umane sulle quali poter scherzare bonariamente.
Era nata una bella confidenza tra noi. Io mi sentivo come un suo studente, o meglio un suo ammiratore. Un giorno mi chiese di portarla nella pasticceria migliore della città per ordinare dolci, salatini e una grande torta. Quel pomeriggio, mentre camminavamo per il centro, mi raccontò la sua vita.

  • La mia storia è tutta a rovescio – diceva – sì, tutta da ricominciare, perché io ero troppo prudente, troppo misurata. Era colpa della ginnastica ritmica, era un’ossessione per mia madre e io la seguivo con grande impegno. Esercizi e regole da imparare quotidianamente. Non potevo essere come la figlia di Angelina, e invece avrei dovuto. – mentre parlava si commuoveva. Aveva un gran rimpianto per non aver vissuto la giovinezza con naturale spontaneità e quel pentimento sembrava travolgerla e incitare un desiderio disperato di cancellare tutto. Il racconto si era fatto in qualche modo straziante, si toccava la fronte, come a voler calmare i pensieri, le gambe non la reggevano più e cominciava a barcollare.
    – Ti prego fermiamoci. – mi chiese afferrandomi il braccio. Entrammo nel Bar del Corso per riposare un po’. – Vorrei bere – chiese immediatamente – e decise per due brandy che trangugiò uno dopo l’altro e subito riprese a parlare.

– Vivere in presa diretta con il proprio sentire. Che sogno! – continuava con voce un po’ strascicata e lenta – Ma io non potevo, non era per me, io cercavo la misura, l’armonia . . . una parola difficile – singhiozzava, rideva, si interrompeva, ma non voleva fermarsi – sì, detestavo gli eccessi, i comportamenti spropositati, le eccitazioni superficiali. – Si era stesa sul tavolino del bar appoggiando la testa tra le mie mani. –
Dopo pochi minuti il cameriere si era avvicinato, con aria preoccupata.

  • Chiamo il 112, arriva subito l’ambulanza. – Elena si era distesa ulteriormente sul tavolo e rischiava di cadere. – La tengo, io la tengo, sta per cadere. – continuava il ragazzo. Non sapevo come comportarmi. – Lasci pure, lasci pure – gli dissi, –rimettiamola seduta, non sta troppo male, ha solo bevuto un po’ – Credo che Elena non si fosse neppure accorta del fatto, presa com’era nei suoi ricordi, continuava a parlare un po’ scomposta, ma sempre lucida.
    – Detestavo, sì odiavo gli sprechi, le esuberanze stupide . . . e poi mia madre . . . non potevo tradirla. C’era una continuità nell’essere donna.

Era quella la pena, la ragione per cui soffriva, l’aver perso Valerio per un esagerato bisogno di equilibrio, fuori tempo. Si disperava ed era in balia di un dolore penoso e angosciante. Tornammo con un taxi e subito mi condusse davanti al pianoforte.
– Ho bisogno della tua musica Claudio, ti prego suona, canta per me. –

Due giorni dopo mi chiese di aiutarla a preparare una festa con i dolci ordinati, un profumatissimo tea inglese e la mia musica. Temevo che quella festa fosse un segno di svolta, un addio. Avevo paura della sua decisione, paura di perderla.

Il giorno dopo Valerio entrò nell’atrio, era il mattino del 16 ottobre, verso le dieci. Era bello, elegante, vestito di bianco, era raggiante. Spingeva una grande valigia e subito si diresse verso di me, con un grande sorriso mi diede la mano e mi disse.
– Ti ringrazio, la tua musica è stata fatale, è quella che ha mosso le corde sentimentali di Elena. Sì, ha deciso, la porto con me, partiamo nel pomeriggio, il tempo di riempire questa valigia. – Lo guardai con uno strano sentimento dentro di me, una certa rivalità e forse gelosia, un senso di perdita e di conquista allo stesso tempo. Aveva vinto, me la portava via, sicura, forte e giovane nei suoi 70 anni.

Coppie senior che si tengono per mano insieme sopra il fondo verde della natura.

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16 risposte a MGP – LA CASA DI RIPOSO. Il musicista. — un racconto d’amore

  1. MGP scrive:

    Ringrazio Clara per le bellissime immagini che ha trovato per il racconto e per la pazienza che deve sempre avere per sopportarmi.
    Un abbraccio. MGP

    • Chiara Salvini scrive:

      brevemente cara Mariella, le immmagini questa volta sono state scelte da te; in quanto alla ” pazienza di sopportarti “: la fatica che ho a gestire un blog dipende dal fatto che sono nata nel ’44 e a quei tempi i computer non passegiavano sui nostri banchi; imparare alla mia età è stata arduo e ho imparato appena a fare le stesse cose cui sono abituata a fare tutti i giorni: qualunque imprevisto, come pubblicare il racconto che arriva da un altro computer, se mi sorge, mi trova totalmente impotente a risolverlo e devo ricorrere a ” chi sa ” il quale, in ogni caso, è occupato in faccende per lui molto più importanti – E di questa ” impazienza ” non posso non accorgermi e mi fa star male. Per la seconda volta, ti chiedo di cercare di capirmi, magari chiudendo l’argomento. ciao, chiara

  2. Sandro scrive:

    Il racconto offre una delicata esplorazione di temi come il passare del tempo, le scelte di vita e i rimpianti. L’autore dipinge vividamente i personaggi, con particolare attenzione a Elena, una donna con una profonda connessione con la musica e una storia d’amore del passato.

    Nel complesso, “La Casa Di Riposo” è un racconto coinvolgente e riflessivo che affronta in modo sensibile temi universali come l’amore, il rimpianto e la ricerca di significato nella vita. L’uso della musica come elemento unificante e il ritratto dettagliato dei personaggi contribuiscono a rendere la storia memorabile e toccante.

  3. MGP scrive:

    Grazie Sandro, che bel commento!
    Sì, volevo scrivere sull’ultima parte della vita, sul tempo che inesorabilmente ci trascina e anche sulla vita mancata, su ciò che non si è fatto e quindi sul rimpianto, sentimento di grande sofferenza. Non volevo però cadere lì, nella tristezza della fine, ho riscattato la vecchiaia con un sentimento d’amore accolto malgrado l’età, con grande entusiasmo e un po’ di follia.
    La musica è di contorno ma è anche un elemento importante perché Claudio il musicista era veramente alla Casa di Riposo Over, quando sono andata per visitarla e faceva proprio il lavoro che ho raccontato. Da lui è partito il racconto.
    Grazie e un grande abbraccio

  4. DONATELLA scrive:

    La musica è l’elemento che lega il racconto, la musica che ci fa uscire dai nostri stessi confini. La protagonista sembra seguirla e ritrova una parte di se’ che aveva forse volutamente accantonato. Il ritmo del dialogo tra la protagonista e gli altri attori del racconto è dolce e sommesso e si chiude con un respiro di vita, finalmente pienamente riacquistata.

  5. MGP scrive:

    Grazie Donatella, è dolce il tuo commento, dolce e delicato come il periodo che attraversa la protagonista nella scelta tra la tranquillità, richiesta alla fine della vita, e il desiderio di mettersi alla prova, anche a questa età.
    Credo che sempre rimanga nella mente e nel cuore, anche da anziani, la volontà di non rinunciare, di non rassegnarsi, ma di accogliere con coraggio le opportunità che si presentano, se pur faticose e un po’ scriteriate.
    Un caro abbraccio.

  6. Giancarlo scrive:

    E’ una storia d’amore e una finestra sull’ambiente dove si svolge con due personaggi
    che fanno riflettere Elena e Claudio. Di Elena il sentimento che ancora l’affligge,
    nonostante l’eta’,e che riaffiora di nuovo,gli anni passati, i ricordi, i sogni,la spensieratezza della gioventu ,’ che l’improvviso arrivo di Valerio ha scatenato.Ma oltre a
    cio’riemerge anche il rancore verso ques’uomo che non aveva capito e che si era preso
    gioco di lei.Pero’ l’amore,incredibile, ritorna piu’ forte che mai nonostante il contesto in cui si trova e che non e’ il suo. Di contro il comportamento di Cludio che invece
    trova in quel ambiente la calma dell’anima ,la pace interna,la fiducia in se’ e la voglia
    di condividere la strada della tranquillita’ aiutando gli altri con la gioia della musica.
    Anche questo e’ amore. Dopo aver letto il tuo racconto mi sono guardato dentro e
    ho pensato molto,grazie!

  7. MGP scrive:

    Grazie Giancarlo, bello ciò che scrivi,
    soprattutto l’ultima frase mi piace molto. Il fatto che ciò che scrivo faccia riflettere è bellissimo, è ciò che vorrei. . . Forse ritrovare un po’ di se stessi, della propria vita, di un’interiorità che difficilmente riusciamo a comunicare. Tutto un mondo personale fatto di pensieri, fantasie, desideri, immaginazioni, sentimenti, che teniamo caro perché è la parte più densa di noi. Ne siamo anche un po’ intimiditi e spesso vergognosi come bambini nel riconoscerlo. Lo teniamo un po’ segreto, solo per noi stessi e abbiamo un certo pudore nel comunicarlo agli altri.
    Ecco, di tutto questo mi piace parlare nei miei racconti cercando di svelare la parte nascosta e spesso anche poco riconosciuta.
    Riguardo ai due personaggi: Elena osa fare un salto fuori, con il coraggio di chi ama l’avventura, Claudio cerca la tranquillità con i suoi anziani e con la sua musica, ma non so se la troverà.
    Grazie Gianca, belle riflessioni.

  8. Ivana R. scrive:

    Non mi è piaciuto molto il racconto, meno fantasioso rispetto ad altri, retrospettiva di momenti del passato, in inglese un past progressive, reale nella fotografia di una realtà, la vecchiaia, che non digerisco. Tutto vero quello che scrivi rispetto al sentire interiore di Elena, alle illusioni, disillusioni, aspettative, speranze…ai sogni.
    Elena non si arrende, l’io con me non le è abbastanza, l’abbraccio con se stessi non scalda totalmente, non acquieta l’anima inquieta. Il sogno non muore mai…Valerio la va a prendere per portarla con sé.
    Il cuore con l’avanzare dell’età, e nonostante il peso di ciò che non si è realizzato, continua a vivere di emozioni e desideri, ad attendere…

  9. Rosemary Collini Bosso scrive:

    Ho letto il racconto e anche se il finale non si è ancora verificato, mi sembra un po’ autobiografica. La protagonista che passa da momenti di rimpianti per ciò che poteva essere a momenti di emozioni allegri per quello che potrebbe succedere non è insolito. Il pianista fornisce la colonna sonoro a questa storia romantica con un Happy Ending. Vedremo se corrisponde alla realtà.

  10. MGP scrive:

    Cara Rosemary,
    il racconto non è autobiografico, anche se è inevitabile che rifletta ciò che sono, che penso, la mia memoria ecc. Ho parlato del rimpianto come di un sentimento inevitabile della fine della vita. Chi può non averne? Potevamo fare così o cosà o non abbiamo fatto . . . c’è sempre qualcosa che si poteva vivere diversamente. Non credo a chi dice “non ho rimpianti”. La protagonista passa attraverso momenti alterni quasi necessari prima della decisione, che è difficile da prendere e rivela la sua anima inquieta.
    Un Happy Ending che rispecchia un momento positivo dentro di me, una possibilità di vivere ciò che si è perso, e di ritrovarlo quasi più autentico di prima, con la consapevolezza che l’età impone.
    Non credo che possa accadere nella realtà, è solo un finale romantico.
    Grazie, sono contenta perché hai commentato. Bello!

  11. MGP scrive:

    Grazie Ivana, un commento amaro.
    E’ vero, il racconto è meno fantasioso del solito, credo perché sono andata sul posto, e volevo scrivere dopo aver conosciuto la situazione e questo mi ha tenuto un po’ attaccata a terra, diciamo così. Ma da questo ambiente di rassegnazione si stacca Elena che non si arrende, troppo consapevole di ciò che accade alla fine della vita e in qualche modo ribelle alla vecchiaia che assopisce, mutila e toglie. Questo è il messaggio credo, il non rassegnarsi, ma il poter vivere pienamente anche nel tempo più difficile della vita.
    Certo, non basta “io con me” è solo una condizione di difesa e di partenza, ci vuole l’altro, lo scambio, la condivisione. E quando la fortuna è benevola con noi e noi diventiamo coraggiose può arrivare l’impensabile.
    Grazie, avremo ancora molto di cui parlare su questo e altro.
    Un abbraccio affettuoso

  12. giovanni bolcheni scrive:

    In prima battuta il racconto di MGP mi ha lasciato un po’ perplesso e ho dovuto rileggerlo per reinquadrare il cammino logico degli avvenimenti e i singoli personaggi: forse perché, come dice il racconto, “dopo i 65 anni il cervello…….” (e io sono ben oltre) o forse perché la nostra autrice si è cimentata in una qualche forma di preziosismo letterario nella costruzione del flusso del racconto.
    A mio parere il vero personaggio è l’ambiente della casa di riposo descritto e reso vivo con grande maestria. Un’autentica sceneggiatura in cui si vive il clima dai silenzi ovattati e dai tempi lenti e monotoni dei giorni feriali rotti solo dall’eccitazione del giorno di visita dei parenti che portano il mondo dentro quelle mura.
    I personaggi minori contribuiscono a ricreare quell’ambiente come il coro delle tragedie greche.
    Anche quando i protagonisti e gli ospiti si dedicano ad attività varie emerge sempre un velo di nostalgia del passato e di rimpianto, inevitabile al progredire dell’età.
    Ben caratterizzati sia Claudio che Elena: il primo accetta la sua condizione attuale ma cerca di rivitalizzarla con la musica e questo favorisce il suo inserimento nella comunità; la seconda invece lotta per riconquistare alcune delle occasioni del passato, e sembra riuscirci.
    Così il racconto finisce. Dovrei essere contento del finale rosa, ma non posso esimermi da qualche domanda sul poi e questo tarlo affievolisce la mia soddisfazione. Dove finiranno i due amanti ritrovati? Riusciranno a ricreare una realistica forma di convivenza basata su tempi e presupposti diversi da quelli che per tanti anni avevano ricordato e forse idealizzato?
    Ognuno di noi può dare delle risposte più o meno ottimistiche a seconda dello stato d’animo in cui si trova, io, al momento, sono portato a prevedere un finale reale un po’ meno rosa.

  13. MGP scrive:

    Caro Giovanni,
    troppo roseo il finale? Sì, certo se pensiamo al dopo, come dici tu . . . dove andranno, come si accomoderanno l’un altro ecc. non potremo più essere ottimisti. Forse Elena non aveva più voglia di pensare al dopo. Io credo che, arrivati a una certa età, ci si può buttare in situazioni non proprio pericolose, ma azzardate.
    Se non ora quando . . . così si pensa dopo i 65 . . . manca poco alla fine, posso ancora tentare qualcosa, anche se pare a tutti troppo scriteriato.
    Questo velo di nostalgia del passato, di cui tu parli, può anche disturbare molto, e la consapevolezza che c’è poco tempo, che la vita scappa e di mese in mese divora ciò che rimane, può spingere a far follie o almeno a tentare, a osare senza troppa ritegno, ma con l’amore per il rischio, per l’avventura, per ciò che si voleva fare da tempo, e non si è riusciti a fare. Forse un cimentarsi senza troppo pensare, perché “ora posso fare quello che prima mi spaventava troppo”. Così pensa Elena . . .
    Grazie Giovanni abbiamo ancora molto da dire su questo discorso che mi pare particolarmente delicato.

  14. giacomo scrive:

    Con questo romanzo l’Autrice ha voluto farci riflettere sui rimpianti della vita.
    Premetto che una vita senza rimpianti è quasi impossibile, Il rimpianto è una componente non solo normale dell’esperienza umana ma può essere anche salutare, poichè è legato alla capacità di pensare a noi stessi nel tempo e analizzare.
    Il romanzo ci riscrive alcune pagine della nostra vita e l’importanza di avere accanto persone care. Ci rendiamo conto della loro importanza quando ormai è troppo tardi, poichè le strade si sono divise. Il rendersi conto che si è trascurato il rapporto molte volte avviene proprio nei momenti finali della propria vita dove si è costretti a stare con se stessi.
    L’Autrice ha voluto affermare che non è necessario arrivare alla quarta età pieni di rimpianti e logorandosi per ciò che si è fatto e trascurato, è fondamentale iniziare da subito.
    Bello!!!!!!! il fatto che i protagonisti si rendano conto che non hanno realizzato ciò che davvero volevano, ma si sono limitati a fare quello che ” era giusto”.
    Se si vive una situazione difficile da accettare e che, nostro malgrado, non abbiamo possibilità di cambiare, ricordiamoci di allenarci.
    Darsi sempre la possibilità di essere felici.

  15. MGP scrive:

    Che bello Giacomo! Il tuo è un invito ancora più esplicito del suggerimento che la protagonista vuole darci. Tu scrivi che Elena e Valerio avevano vissuto seguendo ciò che “era giusto”, non ciò che davvero volevano fare. Ed è così, quante volte é successo . . . quante volte nella vita di ognuno di noi. Difficile darsi sempre la possibilità di essere felici, spesso, direi per buona parte della vita si lascia perdere, senza pensare troppo, senza mettere a fuoco ciò che davvero vogliamo.
    Mi sono venute in mente le parole di Michela Murgia che ha lasciato per tutti noi questo messaggio: ” non aspettate il cancro per vivere senza limiti”. Senza limiti è molto forte, credo un’esasperazione di chi sa di morire, ma il messaggio arriva chiaro e si unisce con forza a ciò che tu hai scritto.
    Grazie Giacomo, rimane, in ogni caso, molto difficile rispondere alla domanda: “avrai il coraggio di cercare la tua felicità?”
    Un caro carissimo abbraccio

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