LA REGIONE DI LIMOGES ( LIMOUSIN )
Cattedrale Santo Stefano a Limoges
– Opera propria– wikipedia
Cagnes-sur Mer–Costa Azzurra
Haut-de-Cagnes, il vecchio borgo di Cagnes-sur Mer, con il castello Grimaldi
RENOIR, TERRASSES A CAGNES, 1905
https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Fichier:Pierre-Auguste_Renoir_-_Terrasses_%C3%A0_Cagnes.jpg
MUSEO RENOIR A CAGNES SUR MER
https://www.cotedazur-card.com/activites/musee-renoir-a-cagnes-sur-mer-N4fiche_CACPAC0060000086-rub_133.html
UN RITRATTO DI RENOIR INTORNO AL 1910
Dornac (1858–1941), photographe
dettaglio
«Sebbene non ci siano pervenuti referti medici, è stato possibile grazie a fotografie, a sue lettere, a note biografiche di persone che lo hanno conosciuto, pervenire ad una ragionevole ricostruzione della evoluzione della malattia. L’artrite iniziò attorno ai 50 anni, assunse una forma molto aggressiva a partire dal 1903, quando l’artista aveva circa 60 anni, e lo rese quasi completamente disabile all’età di 70 anni per gli ultimi sette anni della sua vita. In una foto del 1896, quando Renoir ha 55 anni, è possibile vedere chiaramente le tumefazioni delle articolazioni metacarpofalangee delle mani. Altre drammatiche immagini documentano la natura particolarmente aggressiva dell’artrite che si manifesta nell’anchilosi della spalla destra, nella rottura di numerosi tendini estensori delle dita e dei polsi, che limiterà gravemente la funzionalità delle sue mani. L’artrite ha deformato orribilmente le mani che si presentano con le dita ricurve e serrate contro il palmo, mentre l’intero corpo smagrito è come bloccato dalla malattia. Nel 1912, all’età di 71 anni, un attacco di paralisi lo colpisce alle braccia e alle gambe e da quel momento in poi l’artista non camminerà più e sarà costretto su una sedia a rotelle»
AUTORITRATTO, 1910
Gabrielle à la chemise ouverte, 1907.
The Yorck Project (2002)
FOTO SOPRA DA :
https://fr.vikidia.org/wiki/Pierre_Auguste_Renoir
«Mio padre aveva qualcosa di un vecchio arabo e molto di un contadino francese, con la differenza che la sua pelle, sempre protetta dal sole per la necessità di tenere la tela fuori dai riflessi ingannatori, era rimasta chiara come quella di un adolescente. Quel che colpiva gli estranei che s’incontravano con lui per la prima volta erano gli occhi e le mani. Gli occhi erano di un marrone chiaro, tendente al giallo; aveva una vista acutissima. Spesso ci indicava all’orizzonte un rapace che sorvolava la valle della Cagnes, o una coccinella che si arrampicava lungo un filo d’erba nascosto fra gli altri fili d’erba. Nonostante i nostri occhi di ventenni, eravamo costretti a cercare, a concentrarci, a interrogarlo, mentre lui scovava di colpo tutto ciò che lo interessava, fosse vicino o lontano. Questo per quanto riguarda le caratteristiche fisiche dei suoi occhi. Quanto all’espressione del suo sguardo, immaginatevi un misto di ironia e di tenerezza, di canzonatura e di voluttà. Sembrava che i suoi occhi ridessero sempre, che scorgessero anzitutto il lato divertente delle cose; ma era un sorriso affettuoso, buono. O forse si trattava di una maschera; era infatti estremamente pudico e non voleva che il prossimo si accorgesse dell’emozione, pari a quella che altri uomini provano nel toccare o nell’ accarezzare, che lo assaliva al solo guardare i fiori, le donne o le nuvole in cielo. Aveva le mani deformate in maniera spaventosa; i reumatismi avevano fatto cedere le articolazioni ripiegando il pollice verso il palmo e le altre dita verso il polso. I visitatori non abituati a quella mutilazione non riuscivano a staccarne gli occhi; la reazione ed il pensiero che non osavano formulare era questo: “Non è possibile. Con delle mani simili non può dipingere questi quadri; c’è sotto un mistero!”. Il mistero era Renoir stesso, un mistero appassionante che in questa mia opera tento non di spiegare, ma solo di commentare. Potrei scrivere dieci, cento libri sul mistero Renoir e non riuscirei a esaurire l’argomento. Dal momento che sto parlando del fisico di Renoir, permettetemi di completarlo rapidamente. Prima che restasse paralizzato era alto circa un metro e sessantasei. Alla fine, ammettendo che lo si fosse potuto raddrizzare per misurarlo, doveva essere senz’altro un po’ più basso, dato che la colonna vertebrale gli si era lievemente accorciata. I capelli, un tempo di un castano chiaro, erano bianchi, piuttosto abbondanti sulla nuca, mentre la sommità del cranio era ormai del tutto calva; ma non lo si vedeva perché aveva preso l’abitudine di tener sempre il cappello in testa, anche in casa. Aveva un naso aquilino ed energico. La sua barba bianca era bellissima e accuratamente tagliata a punta da uno di noi; una strana piega dovuta al fatto che gli piaceva dormire con le coperte tirate molto in su sotto il mento, la inclinava verso sinistra. Il suo abbigliamento si componeva abitualmente di una giacca dal collo chiuso e di pantaloni lunghi che gli ballavano intorno alle gambe: i due capi erano di stoffa grigia a righe. La cravatta lavallière, azzurra a pois bianchi, era annodata con cura intorno al collo della camicia di flanella. Mia madre comprava le cravatte in un negozio inglese, perché i francesi hanno lasciato che a poco a poco l’azzurro si tramutasse in ardesia, “un colore triste, e il bello è che nessuno se ne accorge perché la gente non ha occhi. Il negoziante dice: ‘È azzurro’, e loro ci credono”. La sera, salvo in piena estate, gli si aggiungeva sulle spalle una piccola mantella. Calzava pantofole di feltro larghe e alte, grigie a quadri oppure color marrone, con chiusura metallica. Quando era fuori, si riparava dal sole con un leggero cappello di tela bianca; in casa portava di preferenza un berretto di tela con i lati ripiegabili, di quel tipo antiquato che i cataloghi dei negozi di novità presentavano agli inizi del secolo col nome di “berretto da automobilista” ( Vedi dipinto sotto, 1910 ). Non aveva certo l’aspetto di un uomo del nostro tempo; faceva pensare a un monaco del Rinascimento italiano»
foto –MY movies
Jean Renoir (Parigi, 15 settembre 1894 – Beverly Hills, 12 febbraio 1979)
«Ho l’impressione di essere un uccello … un grosso uccello che becchetta i frutti dei più disparati frutteti […] Sono stato felice. Ho girato dei film che ho desiderato girare. Li ho girati con persone che erano più che dei collaboratori, erano dei complici. Ecco, io credo, una ricetta della felicità: lavorare con persone che si amano e che vi amano molto.»
Autoportrait au chapeau blanc, 1910
foto da : https://www.wikiart.org/fr/auguste-renoir
Pierre-Auguste Renoir Autoritratto (1876) Fogg Art Museum, Cambridge, Massachusetts
Frédéric Bazille Ritratto di Pierre-Auguste Renoir (1867) Musée Fabre, Montpellier.
Dal catalogo della mostra Renoir di Torino: «Bazille […] immortala [il collega in] un momento di riposo: Renoir, con estrema disinvoltura, siede posando i piedi su una poltrona di vimini. Lo sguardo è assorto, il giovane sogna forse qualche futura composizione. L’abbigliamento ordinario ma curato – giacca nera, pantaloni chiari senza risvolti, camicia bianca, cravatta blu e stivaletti neri – contribuisce alla naturalezza e all’efficace semplicità della composizione»
IL CATALOGO SKIRA DELLA GRANDE MOSTRA TORINESE
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labRouge
6 GENNAIO 2013
Auguste e Jean Renoir. Padre e figlio //// L’Arte e il Cinema.
Allo Spazio Oberdan di Milano è stato presentato “Renoir”, diretto da Gilles Bourdos. Il film faceva parte della sezione “Un certain regard” nell’ambito dell’ultimo festival di Cannes. E’ un film di grande qualità, è incomprensibile come non abbia trovato una distribuzione italiana. O meglio è comprensibile essendo nota la … disattenzione, chiamiamola così, dei nostri cineasti. Si raccontano gli ultimi anni di Auguste (Michel Bouquet), gran maestro dell’Impressionismo, ancora attivo nella sua proprietà in Costa Azzurra, a partire dal 1915. Il vecchio pittore è devastato dalla sclerosi, che gli ha deformato le mani, ma non rinuncia al lavoro. Lo sostengono una schiera di aiutanti, tutte donne, lo trasportano sulla sedia a rotelle, gli fasciano le mani, gli infilano il pennello fra le dita, gli preparano la tavolozza: Renoir non ha la forza per trattare i colori, ma possiede ancora la grazia per disporli sulla tela. Le opere di quel periodo sono capolavori magari ancora più intensi di quelli precedenti. Il disegno è fragile e sfumato, quasi invisibile, ma i colori dichiarano una magia maggiore. Gli infiniti nudi, Le bagnanti, La colazione sull’erba, Le ragazze al piano: prendono forma lenta, ma la magia si compone. Ed è il regista Bourdos a comporla seguendo la mano deformata del vecchio. Sfocando là dove sfoca il colore. Perché Renoir, in quella sua ultima stagione, aveva talmente rarefatto il disegno fino a quasi sfiorare l’astrazione. E questa evoluzione la si deve al film, che dunque non solo rappresenta la vicenda umana, la vita finale dell’artista, ma anche il passaggio davvero immane fra il figurativo e la successiva ricerca che confluirà nella mutazione della pittura.
TRAILER DEL FILM ” RENOIR ” DI GILLES BOURDOS, PARLATO IN FRANCESE CON SOTTOSCRITTE INGLESI
per chi preferisse : parlato in francese, sottoscritte in spagnolo
Ed è lì che arriva Jean, il figlio. Sopraggiunge al cancello lentissimo, perché procede sulle stampelle. E’ stato ferito in guerra. La casa, l’atelier, tutto gira intorno al grande vecchio. Domestici e modelle, e ora il figlio, tutto è in silenzio, per non disturbare l’ispirazione, e … il carattere non facile del malato. Ma qualcuno arriva, a catalizzare, a farsi vedere e rispettare. E’ Andrée Heukling (Christa Théret), una modella che sembra uscita da un dipinto del Tiziano. Una carne, una testa, un corpo fatti per essere dipinti. Da Renoir. La ragazza si aggira nuda nei prati, fra i cespugli e i ruscelli. Auguste la dipinge, Jean la guarda. Entrambi, in modi diversi, ma neppure tanto diversi, sono innamorati di lei. Nel frattempo Jean sta nutrendo la sua vocazione: sarà per il cinema ciò che suo padre è stato per la pittura. Proietta i primi filmati con un rudimentale proiettore. E’ come se sapesse che fra poco il “figurativo” sorpassato dalla pittura, diventerà prerogativa del cinema. Il cinema come rappresentazione del reale, con qualcosa in più, naturalmente, il movimento. Jean intende, una volta guarito, tornare al fronte, Andrée, disperata, lascia la proprietà, scompare. Manca a tutti. Jean la cerca, la trova in un bordello, se la riporta a casa.
Tutto il gruppo si ricompone. Il film finisce lì. Ma è doveroso proseguire il racconto, che è uno sviluppo inevitabile come un destino segnato. Perché al passaggio artistico quadro-film segue quello umano. Andrée nel 1920 ha sposato Jean. Il regista ne ha fatto la protagonista, col nome di Catherine Hessling, di alcuni dei suoi primi film (La file de l’eau, La petite marchand d’allumettes, Nana). Nel tempo i due si separarono. Per morire nello stesso anno, il 1979. Come detto sopra Jean Renoir è uno dei massimi artisti di cinema di sempre. Fa parte della spina dorsale di quella disciplina. Almeno due suoi titoli sono perennemente presenti nella parte più alta (diciamo nei primi dieci) della classifiche riconosciute, La grande illusione e La regola del gioco.
IN COPERTINA
Jean Renoir e il padre Pierre-Auguste in una foto attribuita a Pierre Bonnard (1916).
Renoir, mio padre
Traduzione di Roberto Ortolani
Biblioteca Adelphi,
3ª ediz., 2015
p. 433
22 EURO, PREZZO PIENO
In questo libro incantevole, frutto di lunghe conversazioni e di un’appassionata immersione nei ricordi di tutta una vita, il regista Jean Renoir è riuscito a raccontare, con lo stile rapido e ironico e insieme con la delicatezza che saranno poi la cifra del cinema di Truffaut, la storia di suo padre, fissandone per sempre, come solo un grande pittore avrebbe saputo fare, i gesti e i pensieri più quotidiani e segreti. Ma chi era veramente Pierre-Auguste Renoir? Quell’uomo semplice, sbrigativo, che nell’aspetto «aveva qualcosa di un vecchio arabo e molto di un contadino francese», che non poteva fare niente che non gli piacesse, che odiava sopra ogni cosa il progresso e aveva per la donna un culto incondizionato, restava per suo figlio un mistero. Un mistero appassionante che queste pagine non cercano di svelare ma solo di commentare: «Potrei scrivere dieci, cento libri sul mistero Renoir e non riuscirei a venirne a capo».
Bellissimi, gioiosi i quadri e bellissimo anche il libro del figlio.