ANPI-NAPOLI 1943-2023 — + ADRIANA POLLICE, Napoli nelle Quattro giornate LA STORIA. Settembre 1943, un mese di rivolte.. –IL MANIFESTO –26 SETTEMBRE 2023 +++altro

 

 

manifesto dell’ANPI di NAPOLI_ 2023
https://www.anpi.it/le-quattro-giornate-partigiane-di-napoli-le-istituzioni-e-lanpi-celebrano-l80deg-anniversario

 

 

 

IL MANIFESTO –26 SETTEMBRE 2023
https://ilmanifesto.it/napoli-nelle-quattro-giornate

 

Napoli nelle Quattro giornate

LA STORIA. Settembre 1943, un mese di rivolte: l’opposizione al regime tesse la tela, il popolo in armi caccia i nazifascisti. Ma nel dopoguerra si afferma il racconto dell’insurrezione senza politica, mossa solo dalla fame

Napoli nelle Quattro giornate

Mussolini porta l’Italia in guerra e su Napoli cade una pioggia di bombe: dal 1940 al 1943 è la città d’Italia più colpita dai raid alleati con circa 25mila morti. Dalla destra monarchica agli anarchici, una fitta rete tiene viva la cospirazione contro il regime fascista nonostante arresti e confino. Sarà questo tessuto a innervare la rivolta che porterà Napoli a liberarsi da sola con le Quattro giornate.

 

L’8 SETTEMBRE del 1943 arriva l’annuncio dell’Armistizio, in Campania ci sono oltre 20mila tedeschi.

I generali Riccardo Pentimalli ed Ettore Del Tetto, ai quali era affidata la responsabilità militare della provincia, fuggono ma prima consegnano la città all’esercito germanico.

Dal 9 settembre cominciano gli scontri con le truppe nazifasciste a via Depretis, via Santa Brigida, in piazza del Plebiscito. Gli occupanti per rappresaglia appiccano un incendio alla Biblioteca Nazionale e sparano sulla folla.

Il 12 un nuovo scontro a via Mezzocannone, i soldati tedeschi fanno irruzione nell’università Federico II con l’intenzione di distruggere la biblioteca. Maria Bakunin, figlia dell’anarchico russo e direttrice dell’Istituto di Chimica, si siede accanto alle fiamme incrociando le braccia, il comandante ordina la ritirata.

 

LA GIORNATA TERMINA con la dichiarazione di stato d’assedio da parte del colonnello Walter Schöll, comandante delle forze armate occupanti. Il proclama viene affisso sui muri il giorno successivo.

Al punto 2: «Chiunque agisca contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni verranno ridotti a rovine. Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte». Al punto 6: «Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile». La rivolta spontanea è in atto ormai da giorni.

 

BOMBARDAMENTI, miseria, razzie, esecuzioni, rastrellamenti e gli Alleati che non arrivano. La rete clandestina inizia ad armarsi saccheggiando gli arsenali.

Il 23 settembre Schöll ordina lo sgombero di tutta la costa fino a 300 metri dal mare, probabilmente per distruggere il porto, e il prefetto intima la chiamata al servizio di lavoro obbligatorio per i maschi fra i 18 e i 33 anni, cioè la deportazione forzata in Germania.

L’esito in un nuovo proclama di Schöll: «Al decreto hanno risposto circa 150 persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30mila. Da ciò risulta il sabotaggio.Incominciando da domani coloro che sono contravvenuti agli ordini pubblicati saranno dalle ronde senza indugio fucilati».

 

IL 26 SETTEMBRE la folla si scaglia contro i nazisti liberando gli uomini catturati, il 27 cominciano i combattimenti, una delle prime scintille al Vomero in località Pagliarone.

Il primo ottobre i carri armati alleati entrarono nella città già liberata. Secondo la Commissione ministeriale per il riconoscimento partigiano le vittime furono 155 ma dai registri del Cimitero di Poggioreale risulterebbero almeno 562 morti.Gli Alleati hanno atteso lasciando che gli antifascisti venissero uccisi fino alla ritirata, Hitler aveva chiesto che Napoli fosse ridotta «in cenere e fango».

 

A RICOSTRUIRE LE STORIE di chi si è opposto al regime è lo storico

Giuseppe Aragno (Antifascismo popolare, manifestolibri, 2009; Le Quattro giornate di Napoli, Intra Moenia, 2017).

Com’era la città che si rivolta lo racconta la biografia di Federico Zvab: triestino di famiglia socialista, ha partecipato alla lotta rivoluzionaria in Francia, Germania, Austria, Lussemburgo, Belgio. In Spagna guida una brigata di oltre 200 volontari: catturato, viene espulso in Italia e confinato a Ventotene. Da lì arriva all’ospedale Incurabili di Napoli alla fine del 1942. Agli Incurabili, Zvab incontra il dottor Cicconardi che, con parte del personale, tiene i contatti con la rete clandestina fino a conservare armi nell’ospedale. «Zvab giunge a creare una trama di relazioni così fitta ed efficiente che, dopo l’armistizio, ha organizzato venti gruppi pronti a combattere. Una pattuglia di reduci di Ventotene resta a Napoli, combatte, contribuisce alla vittoria, poi si disperde». La città quindi è uno dei nodi dell’Italia resistente.

EMILIA BUONACOSA

EMILIA BUONACOSA– ( 1895, Pagani, da ignoti /Nocera Inf.  12 dicembre 1976 )
foto dalla Biblioteca Franco Serrantini-https://www.bfscollezionidigitali.org/entita/13268-buonacosa-emilia– nel link una biografia di Emilia Buonacosa fatta da Giuseppe Aragno

 

CHI NON COMBATTE è Emilia Buonacosa:

«Lavora in fabbrica a Nocera Inferiore quando si fa notare per le idee libertarie e i contatti con noti estremisti. Nel 1913, giovanissima, è inclusa tra i sovversivi pericolosi». Espatria clandestinamente nel 1927: a Parigi frequenta fuorusciti, è segnalata tra gli anarchici capaci di compiere atti terroristici. Nel 1937 è a Barcellona. Tornata a Parigi, nel 1940 è deportata in Germania e poi consegnata alla polizia italiana, condannata a 5 anni di confino a Ventotene. Nelle Quattro giornate non c’è perché rinchiusa nelle colonia penale in condizioni durissime. L’8 settembre è ancora al confino, da cui rivendica la liberazione «per le mutate condizioni politiche»: lei che ha combattuto contro la dittatura, è costretta a chiedere la libertà all’ex fascista Badoglio. Dal campo di concentramento di Fraschette d’Alatri partirà solo il 7 agosto 1944: «Il fascicolo di polizia in cui è schedata perché “pericolosa alla sicurezza pubblica” vive fino al 1959».

 

MADDALENA CERASUOLO

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MADDALENA CERASUOLO,  partigiana italiana, medaglia di bronzo al valor militare, settembre 1950, Napoli
FOTO : sconosciuto

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Libretto pensione Carlo Cerasuolo per la Medaglia d’Argento al Valor Militare, partigiano italiano e padre di Maddalena Cerasuolo.

 

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Maddalena Cerasuolo ( anni 23 )  e Antonio Amoretti ( anni 16 ) armati in attesa di entrare in azione a Santa Teresa al Museo angolo vico della Purità, Napoli, 30 settembre 1943

 

 

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Decorazione con Medaglia di Bronzo al Valor Militare di Maddalena CerasuoloNapoli, 24 maggio 1946.

 

Anna D'Andria canta Canciello e sposa

ANNA D’ANDRIA – canta Canciello ‘e sposa (Versi di Armando De Gregorio – Musica di Furio Rendine)
https://www.youtube.com/watch?v=4SPEEhVW2_c

 

 

COMBATTE invece armi in pugno Maddalena Cerasuolo: non solo partecipa agli scontri ma continua la lotta anche dopo le Quattro giornate. Diventa una spia per il Servizio inglese, passa le linee 7 volte (paracadutata e via sommergibile), si finge cameriera in casa della cantante Anna D’Andria e, con la sua complicità, raccoglie informazioni sui piani tedeschi.

 

FOTO SOPRA DA :
https://it.wikipedia.org/wiki/Maddalena_Cerasuolo

 

In armi anche Giovanna Baiano che, con un gruppo di antifascisti, fin dal 9 settembre si nascondono nel bosco di Chiaiano per dare battaglia contro gli occupanti.

Le donne giocano un ruolo cruciale in una città in cui gli uomini si devono nascondere per i rastrellamenti.

 

 

«PASSATA LA BUFERA – spiega Aragno – spariscono quasi tutte nel nulla e quando se ne parla diventano popolane prive di convinzioni politiche.

Sulle 8.457 domande di riconoscimento (della qualifica di partigiano ndr) presentate, 8.341 riguardano gli uomini e solo 316 le donne, per lo più vittime di stragi. Sulle 62 donne riconosciute partigiane, 23 sono le cadute, le invalide e le ferite».

Del resto viene sottostimato anche il contributo degli uomini: solo 1.589 combattenti ufficialmente riconosciuti in totale, molti altri bollati come approfittatori. Sparisce anche il contributo dei «femminielli» in armi a San Giovanniello. Elementi funzionali al racconto, alimentato per anni, di una insurrezione senza politica, mossa dalla fame e vittoriosa per abbandono di campo dei tedeschi.

 

 

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RIPORTO QUI — per chi mai volesse dare un’occhiata — UNA PAGINA DAL :

NUOVO MONITORE NAPOLETANO– 9 SETTEMBRE 2023

 

C’erano proprio tutti dietro le barricate

 

Dietro le barricate combattevano donne e uomini, vecchi e bambini, intellettuali, militari ed operai. Al ponte della Sanità fu infaticabile la giovanissima Maddalena Cerasuolo (20 anni), detta Lenuccia ‘a Sanità; altre donne si segnalarono per il loro attivismo: Anna Bruno, detta Annarella,  (del gruppo partigiano dei Ponti Rossi), Sirina Angora (una diciottenne di Ponticelli, che sottrasse alcune bombe ad un mezzo tedesco), Stella Emmia (ventitreenne sarta, che andò in giro a distribuire volantini contro i tedeschi), Eleonora Paduano, impegnata a lanciare mattoni contro gli occupanti della città; Maria Improta (che trasformò il suo basso in rifugio per quanti rifiutarono di aderire ai proclami tedeschi); Emilia Scivoloni, una popolana che assicurò il pane a una trentina di giovani nascosti nelle sterpaie dei Camaldoli; Clementina Pellone (sempre sollecita a dare una mano agli insorti); suor Maria Antonietta Roncalli, Superiora del Convento di Santa Maria delle Periclitanti, che si prodigò per dare un nascondiglio sicuro ai giovani braccati dai tedeschi.

Ancora altre donne furono protagoniste (spesso oscure) delle Quattro Giornate.

Esse combattevano sopra le barricate (come Giovanna Baiano nella battaglia del Pagliarone), proteggevano i loro uomini dai rastrellamenti tedeschi, erano latrici di messaggi in codice, si inventavano crocerossine ed infermiere. Tra le tante oscure eroine non possono non essere ricordate almeno due: Maria Improta e Anna Maria Pica.

La prima, Maria, mise a disposizione, rischiando di persona, la camera da letto della sua abitazione, pur di sottrarre molti giovani dai rastrellamenti. Da quella camera, infatti, con un salto si raggiungevano le fognature e, quindi, una strada abbastanza sicura verso la libertà

La seconda, Anna Maria, era una ragazzina di sedici anni ed abitava al Corso Vittorio Emanuele. Nel cuore dei combattimenti, alla sua porta bussò insistentemente un giovane braccato dai tedeschi. Anna Maria aprì e nascose il giovane; non riuscì, però, a fermare il tedesco che, poco dopo, voleva perquisire la casa.

La giovane cercò di opporsi con la forza; il tedesco le sparò un colpo al volto, ferita Anna Maria «si rialzò, per opporsi nuovamente, ma venne sparata una seconda volta e colpita alla spalla. Si rialzò […] rinnovando l’opposizione, il tedesco le sparò una terza volta colpendola di striscio all’addome e cadde in una pozza di sangue. Per tanto, il giovane e con lui il fratello della signorina ebbero il tempo di fuggire da una finestra, per cui la perquisizione risultò negativa.» (Aragno G., Le quattro Giornate di Napoli, Intra Moenia, 2017).

Portata all’Ospedale, la giovanissima Anna Maria riuscì a salvarsi, rimanendo, però, gravemente invalida.

Alle Quattro Giornate di Napoli diedero un forte contributo anchefemmenielli. La loro partecipazione fu un atto d’amore verso la città di Napoli ed una testimonianza di infinito coraggio. Ma fu, soprattutto, un segnale di integrazione di un popolo, che, coeso per dignità, si sentiva ed era affratellato nella lotta, per la riconquista della libertà e della democrazia.

Molti omosessuali, vestiti da donna, sfidando il controllo tedesco, trasportavano armi sotto le gonne, erano latori di messaggi ai combattenti, indicavano vie di fuga a chi scappava dai rastrellamenti. Ma vi furono anche molti femminielli, che, imbracciati i fucili, non ebbero remore a catapultarsi nella mischia. Quelli che caddero combattendo rimasero, spesso, senza nome.

Furono autentici eroi sconosciuti, protagonisti di un estremo sacrificio dei quali valse a liberare –insieme a quello di tanti altri patrioti- Napoli dai nazifascisti.

Uno di questi eroi combattenti nelle giornate del settembre 1943 si chiamava Vincenzo ed abitava al rione San Giovanniello (via San Giovanni e Paolo); vendeva sigarette di contrabbando, viveva in un basso, che era la sua alcova ma anche il luogo di incontro e di riunioni degli omosessuali della zona, impegnati nella lotta per liberare Napoli dai tedeschi.

Nell’ottobre del 2018 accanto al basso di Vincenzo è stata apposta una targa alla memoria: «Per aver contribuito a liberare la città dall’occupazione nazifascista e per aver difeso gli ideali di giustizia, fratellanza ed uguaglianza. Ai femmenielli di Napoli e a tutte le persone LGBT».

Anche il clero napoletano ebbe un ruolo di primo piano nella cacciata dei nazisti dalla città. Alcuni –tra preti e suore- si segnalarono per il contributo di amore ed assistenza (molti si trasformarono in infermieri, barellieri e addetti alle mansioni più umili negli ospedali dei Pellegrini e degli Incurabili) offerto ai combattenti; altri non ebbero disdegno ad imbracciare un fucile, a nascondere e/o procurare armi, a mentire pur di salvare la vita non solo ai napoletani ma, talvolta, anche agli stessi soldati tedeschi.

Madre Ermelinda del Sacro Cuore, suora francescana del convento all’Arenella, salvò una ventina di giovani dai rastrellamenti, facendoli nascondere in un ripostiglio coperto da un pesante armadio; non paga, appena fu scongiurato ogni pericolo, incitò quegli stessi giovani affinché scendessero in strada a combattere.

Molti giovani napoletani riuscirono ad avere salva la vita grazie ai nascondigli procurati dall’assistente diocesano don Gennaro Nardi, da don Federico Russi e don Espedito Cirillo (rispettivamente parroci dell’Annunziata e di S. Maria della Misericordia a Capodimonte) nonché dal rettore della chiesa di Assunta alla Pedamentina di S. Martino (don Agostino Imparato).

Il padre barnabita Matteo Lisa –ben coadiuvato da don Igino Pinto e da don Erberto D’Agnese- scelse una barricata di via Salvator Rosa, per fare la sua parte dietro una mitragliatrice.

Il rettore della Chiesa di Gesù e Maria, padre Francesco Schettino, incurante del pericolo, invece, raccolse su un carrettino molti feriti degli scontri in Piazza Mazzini e li trasportò in ospedale. Singolare il contributo alla lotta di liberazione offerta dal sacerdote Antonio La Spina: sulle barricate di via Roma recitò il salmo 94: «Dio che fai giustizia, o Signore, mostrati nel tuo fulgore! Ergiti, giudice della terra, rendi ai superbi quello che si meritano».

Don Aldo Caserta, rettore della Chiesa di San Raffaele a Materdei, si prodigò, invece, da pastore delle anime, nel conforto dei feriti e nella benedizione dei corpi dei caduti; non si sottrasse, infine, dalla carità cristiana, riuscendo a convincere gli insorti napoletani a far salva la vita anche ad un tedesco e ad un fascista.

 

 

ALTRA PAGINA CHE NON SI PUO’ TRALASCIARE ..

 

Gli scugnizzi combattenti

 

 

Tra gli impavidi combattenti delle Quattro Giornate ci furono anche -talvolta non sempre bene identificati e, quasi sempre, entrati nella leggenda, grazie alla fantasia dei corrispondenti di guerra americani («I reporters alleati sono colpiti dall’onnipresenza dei ragazzini armati; inoltre un fotografo ex fascista ritrae e vende immagini di scugnizzi militarizzati; completa il quadro una celebre foto di Robert Capa che fa il giro del mondo (il ragazzetto con elmo e cartuccera che si appoggia a una scritta antifascista.» in De Antonellis G., Napoli sotto il regime, 1972) – le pittoresche figure degli scugnizzi.

Molti, purtroppo, persero la vita – tra cui Gennaro Capuozzo (12 anni), Pasquale Formisano (17 anni), Filippo Illuminato (13 anni), Antonio Garofalo (12 anni), Giuseppe Oliva (11 anni), Vincenzo Baiano (12 anni), Francesco Verde (13 anni), Mario Minichini (anni 17), Armando Salvati (anni 17), Gennaro Iannuzzi (anni 17), Gaetano Albanese (14 anni) – contribuendo, così, ad alimentare la retorica dei bambini – soldato senza evidenziare la difficoltà avuta dai partigiani combattenti nel frenare gli ardori dei giovanissimi.

«Nei più importanti e in un certo senso organizzati gruppi di combattenti, in cui non mancavano uomini seri, capaci e pienamente responsabili, ai ragazzi, agli “scugnizzi”, non furono date le armi e, quando le circostanze lo permettevano, furono loro tolte: certamente, in linea di principio, fare osservare una norma di questo genere non era né facile né sempre possibile, per il semplice motivo che i ragazzi volenterosi e diligenti erano attivi e capaci di procurarseli da loro stessi.» (in Zvab F., Il prezzo della libertà, 2003).

 

Quattro “scugnizzi” caduti durante i combattimenti furono insigniti della medaglia d’oro al valor militare.

 

Gennarino Capuozzo, cugino di Maddalena Cerasuolo, era nato a Napoli il 2 giugno del 1932.

Sin da piccolo era stato accudito dalla famiglia Cerasuolo, perché sua madre, dopo aver perso tredici figli per malattia, era stata ricoverata in manicomio. I suoi amici lo chiamavano Gennarino ‘o fasulo da quando, per una di quelle inutili prodezze infantili, aveva infilato un fagiolo nel naso e non riusciva ad espellerlo.

Gennarino lavorava come ragazzo di bar; durante le Quattro Giornate incrociò un gruppo di ragazzi –suoi coetanei o di poco più grandi- che, evasi dal riformatorio di Sant’Eframo, sotto la guida di Giovanni Aiello (ufficiale di marina), si ritenevano utili e preparati a partecipare agli scontri in corso.

Il piccolo Capuozzo scelse di unirsi al gruppo degli improvvisati guerriglieri e si avviò a combattere al Frullone ed a Santa Teresa degli Scalzi, dove, dal terrazzo delle suore Maestre Pie Filippini fu incaricato di lanciare (lui, che eccelleva nel tiro con le pietre) bombe a mano sulla teppaglia tedesca.

Quando comparvero i carri armati Tigre, Gennarino si apprestò a lanciare il suo primo ordigno; nemmeno il tempo di lasciare andare la bomba che un cannoncino tedesco puntò e sparò sul terrazzo. Con Gennarino caddero altri sette valorosi napoletani, tra i quali lo studente Vittorio Lapugnano ed il giovane Roberto Savarese.

Il corpo di Gennarino Capuozzo fu possibile recuperarlo solo all’alba del giorno dopo; la morte era stata provocata da una scheggia, che gli si era conficcata nella gola. Fu portato a casa Cerasuolo e composto con una corona di rosario tra le mani.

A guerra conclusa gli fu assegnata una medaglia d’oro alla Memoria:

«Appena dodicenne, durante le giornate insurrezionali di Napoli partecipò agli scontri sostenuti contro i tedeschi, dapprima rifornendo di munizioni i patrioti e poi impugnando egli stesso le armi. In uno scontro con i carri armati tedeschi, in piedi, sprezzante della morte, tra due insorti che facevano fuoco, con indomito coraggio lanciava bombe a mano fino a che lo scoppio di una granata lo sfracellava sul posto di combattimento insieme al mitragliere che gli era al fianco. Prodigioso ragazzo che fu mirabile esempio di precoce ardimento e sublime eroismo».

Pasquale Formisano, figlio di Raffaele e di Nunziatina, era nato nel 1926; nel 1943 aveva appena 17 anni! Quando si cominciò a combattere contro i tedeschi, a nulla valsero le parole dei suoi genitori, che l’imploravano perché non corresse rischi.

Pasquale, però, fu sordo ad ogni raccomandazione, uscì di casa, impugnò fucile e bombe a mano e si tuffò, insieme ad un folto gruppo di suoi coetanei, nella mischia, agli ordini del tenente Fadda. Sparò contro un autocarro tedesco; poi, si appostò in vico d’Afflitto, dove sostavano alcune autoblindo.

Il giovane Formisano, indomito, riuscì a lanciare la prima bomba; si apprestava a tirare la seconda ma non ci riuscì: i tedeschi lo avevano colpito a morte.

Gli venne assegnata una medaglia d’oro al valor militare alla Memoria:

«La sua mano non tremò nell’epico gesto e con la bomba lanciò anche il suo cuore contro il ferrigno strumento di guerra tedesco che seminava la morte tra il popolo insorto. Colpito da mitraglia nemica, immolò in suprema dedizione alla Patria la giovine esistenza ed il suo olocausto si scolpì ad eterna memoria nell’anima di Napoli che nelle giornate della leggendaria insurrezione vibrò di entusiasmo e di dolore che sono la vera gloria dei suoi figli, soli artefici della sua vittoria».

 

Anche all’apprendista meccanico Filippo Illuminato, di 13 anni, caduto in via Carlo De Cesare, fu assegnata una medaglia d’oro alla Memoria:

«Combattente tredicenne nella insurrezione di Napoli contro l’invasore tedesco, solo e con sublime ardimento, mentre gli uomini fatti cercavano riparo, muoveva incontro ad una autoblinda che dalla piazza Trieste e Trento stava per imboccare via Roma.

Lanciata una prima bomba a mano continuava ad avanzare sotto il fuoco nemico e lanciava ancora un’altra bomba prima di cadere crivellato di colpi. Suprema nobile temerarietà che solleva il ragazzo tredicenne fra gli eroi della Patria e che viene additata con fierezza al ricordo di Napoli e dell’Italia tutta».

La quarta medaglia d’oro al valor militare fu assegnata a Mario Menichini: «Amor di Patria infiammò il suo cuore e rese saldo il suo braccio che non tremò. In epico gesto degno delle tradizioni della vera gioventù italiana, affrontò e colpì con bomba a mano un carro armato tedesco che, avanzando per strade della martoriata città, seminava la morte fra il popolo insorto contro l’oppressore.

La sua giovane esistenza, stroncata dalla mitraglia nemica, vive e palpita nell’anima di Napoli che, nelle leggendarie Quattro Giornate, cantò la sua più bella canzone di amore e di morte che fu novella vita».

Mario Menichini, nativo di Pannarano (Benevento), aveva lasciato la scuola (Liceo Pansini), per lavorare come tipografo. Arruolatosi nella Milizia fascista era stato mandato in servizio nel viterbese. Quando scoppiò la rivolta a Napoli, Mario non resistette più a lungo; disertò, infatti, dal suo reparto e corse a combattere nella sua città, a fianco della sua gente. Cadde in via Nardones, combattendo, il 29 settembre, sotto i colpi di una mitragliatrice tedesca.

 

 

sarebbe interessante sapere qualcosa del tema che segue

Le Quattro Giornate, una “fortuna” per gli Ebrei di Napoli

ma pubblico solo questo brano :

Alberto Defez (1923-2014) fu uno degli ebrei -combattenti delle Quattro Giornate- che aveva evitato la deportazione grazie proprio all’insurrezione del popolo napoletano; egli così raccontava le prime ore di quei giorni di settembre 1943:

«Durante la notte tra il 26 e 27 settembre sentimmo spari di mitragliatrice ad intermittenza e, scrutando attraverso uno spiraglio, vedemmo degli automezzi leggeri tedeschi che percorrevano via Roma, che si arrestavano all’incrocio con via Tarsia, così come agli altri incroci, mitragliavano prima da un lato e poi dal lato opposto, dopo di che proseguivano e un altro automezzo che sopraggiungeva ripeteva la stessa operazione. E così andò avanti per tutta la notte. Non ci rendevamo conto di cosa stesse accadendo».

Nella storia degli ebrei in Campania si segnalò la comunità di Tora Presenzano (oggi Tora e Piccilli), un piccolo centro del casertano, che dal 1942 divenne il luogo dove venivano internati o avviati al lavoro obbligatorio un buon numero di giudei napoletani.

Con l’occupazione tedesca la vita di quegli esuli ebrei fu sconvolta, perché essi rischiarono in ogni momento di essere arrestati dai tedeschi e deportati. La popolazione di Tora, però, (compresi i fascisti locali con in testa il podestà Ciro Maffuccini) li protesse da ogni pericolo, li nascose con discrezione e provvide al loro sostentamento.  Tora e Piccilli, nel 2002, fu insignito della medaglia di Giusto tra le Nazioni.

 

lascio di nuovo il link:  

https://www.nuovomonitorenapoletano.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3587:tappe-di-avvicinamento-alle-quattro-giornate-di-napoli&catid=84&Itemid=28

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  1. DONATELLA scrive:

    “Quando il popolo si desta…”

  2. labarbara scrive:

    In quel periodo mio padre era a Napoli, la situazione era molto strana, così ha scritto alla moglie dicendole: “Prendi i bambini e vieni qui anche tu, così la facciamo finita”. Mia mamma ha preso i due bambini che aveva (uno di 2 anni, l’altro in fasce) e lo ha raggiunto. Ricordo che diceva che Napoli era la città più bombardata d’Italia, ha preso un treno di 3^ classe da Merano a Napoli e lì si è fermata qualche mese. Sono rientrati tutti salvi a Merano, e non solo nessuno era morto, ma si è accorta di essere incinta per la terza volta, di me. Allora aveva 23 anni.
    Eccomi qua, mi sento un po’ un residuato bellico.

    • Chiara Salvini scrive:

      Non avresti voglia e tempo di trovare sul diario di tuo padre il periodo in cui ha vissuto a Napoli fino al ’44 ? ” residuato bellico ” è creatività magnifica !

      • labarbara scrive:

        il Diario di mio padre va dal ’56 al 2000 e parla ben poco del periodo bellico.
        purtroppo, sarebbe stato interessante!
        ciao

        • Chiara Salvini scrive:

          grazie cara labarbara, ci vediamo presto, ciao, brù
          post scriptum — ti voglio molto bene, credo da sempre, certamente da questo istante, brù

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