+++ ESPRESSO.REPUBBLICA – 21 GIUGNO 2023 – GLORIA RIVA INTERVISTA NINO CARTABELLOTTA DI GIMBE : «Stiamo perdendo il servizio sanitario pubblico: sarà a un disastro economico e sociale» «Un danno incalcolabile che spianerà definitivamente la strada ad una sanità regolata dal libero mercato»

 

ESPRESSO.REPUBBLICA – 21 GIUGNO 2023
https://espresso.repubblica.it/attualita/2023/06/21/news/nino_cartabellotta_intervista_sanita-405283111/

 

Nino Cartabellotta: «Stiamo perdendo il servizio sanitario pubblico: sarà a un disastro economico e sociale»

«Un danno incalcolabile che spianerà definitivamente la strada ad una sanità regolata dal libero mercato». Parla il presidente di Fondazione Gimbe

 

Sotto finanziamento, liste d’attesa fuori controllo, fuggi fuggi dei medici, carenza di medici di base, pochi infermieri in servizio, apparecchiature obsolete.

Nino Cartabellotta, presidente di Fondazione Gimbe, il quadro è impietoso: qual è l’elemento di maggiore pericolosità? Cosa rischiano davvero gli italiani?

«Senza troppi giri di parole il rischio è di perdere il modello di un servizio sanitario pubblico e universalistico, una perdita che porterà ad un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti, già ben evidente in diverse aree interne delle Regioni del Sud. Un danno incalcolabile che spianerà definitivamente la strada ad una sanità regolata dal libero mercato, dove l’accesso a tecnologie diagnostiche e terapie innovative sarà limitato solo a chi potrà pagare di tasca propria o avrà sottoscritto costose polizze assicurative. Che, in ogni caso, non potranno mai garantire una copertura globale come quella offerta dalla sanità pubblica. Purtroppo già oggi è sempre più evidente che universalità, uguaglianza ed equità – i princìpi fondamentali del Ssn – siano stati traditi lasciando la scena a ben altri refrain: oltre a lunghissime liste di attesa, aumento della spesa privata, diseguaglianze di accesso alle prestazioni, inaccessibilità alle innovazioni, migrazione sanitaria, rinuncia alle cure, sino alla riduzione dell’aspettativa di vita».

 

Esiste oggi un problema di sanità di serie A e sanità di serie B che deriva dalla regionalizzazone della materia sanitaria?

«Quelle regionali sono indubbiamente le diseguaglianze più note, ma all’interno delle singole Regioni ne convivono altre che compromettono l’equità di accesso ai servizi sanitari: diseguaglianze tra aree urbane e rurali, tra uomini e donne, oltre che correlate al grado di istruzione e al livello di reddito.

Il monitoraggio del Ministero della Salute sugli adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) documenta un gap Nord-Sud ormai incolmabile, che rende la “questione meridionale” in sanità una priorità sociale ed economica.

Infatti, guardando ai punteggi LEA nel decennio 2010-2019, tra le prime 10 Regioni solo due sono del centro (Umbria e Marche) e nessuna del Sud; nel 2020 solo 11 Regioni risultano adempienti ai LEA, di cui solo la Puglia al Sud. Inoltre, eccetto Basilicata e Sardegna, tutte le Regioni del Centro-Sud sono in Piano di rientro, con Calabria e Molise commissariate. Queste diseguaglianze si riflettono sulla mobilità sanitaria: nel decennio 2010-2019, 13 Regioni (quasi tutte del Centro-Sud) hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi di euro. E tra i primi quattro posti per saldo positivo si trovano le tre Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia (+ 6,18 miliardi di euro), Emilia-Romagna (più 3,35 miliardi), Veneto (più 1,14 miliardi).

Nel 2020 su 3,33 miliardi di valore della mobilità sanitaria, il 94,1% del saldo attivo si concentra sempre nelle stesse tre Regioni.

 

In questo scenario di diseguaglianze regionali e di “frattura” strutturale Nord Sud, è evidente che l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze regionali. Ovvero, il regionalismo differenziato in sanità legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute.

Ecco perché la Fondazione Gimbe, in Commissione Affari Costituzionali del Senato, ha proposto di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. Proprio perché la loro attuazione finirà per assestare il colpo di grazia al Ssn».

 

 

Due anni fa facevamo tutti il tifo per il Ssn, era il momento del Covid, adesso la sanità è sparita dai radar. Come se lo spiega?

«Eh sì, durante la fase più critica della pandemia tutte le forze politiche celebravano il valore della sanità pubblica e invocavano la necessità di potenziare il Ssn. Poi, passata l’emergenza, la sanità è stata rimessa all’angolo, in fondo alle priorità del Paese, ovvero dove è stata relegata da tutti i Governi degli ultimi 20 anni. Governi di tutti i colori che hanno sempre considerato la spesa sanitaria come un costo e non un investimento e l’hanno ripetutamente utilizzata come un bancomat per ottenere consensi, dirottando le risorse su altre priorità mirate a soddisfare il proprio elettorato. Una politica miope che, limitandosi alla “manutenzione ordinaria” del Ssn, ha portato allo sgretolamento dei princìpi di universalismo, equità e uguaglianza, sino a compromettere il diritto costituzionale alla tutela della salute».

 

Come si potrebbe ripartire? Il Pnrr darà una mano?

«Serve innanzitutto una visione sul modello di sanità che vogliamo lasciare in eredità alle future generazioni; quindi, occorre definire quante risorse pubbliche investire per la salute e il benessere delle persone; infine, bisogna attuare coraggiose riforme per condurre il Ssn nella direzione voluta. Naturalmente tutto questo richiede ancor prima un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, riconosca nel Ssn un pilastro della nostra democrazia, una conquista sociale irrinunciabile e una leva di sviluppo economico.

In alternativa, se mantenere un Ssn pubblico, equo e universalistico non è più una priorità del nostro Paese, la politica dovrebbe avere l’onestà di scegliere apertamente un altro modello di sanità, governando in maniera rigorosa i processi di privatizzazione che si stanno già concretizzando in maniera subdola, creando di fatto una sanità a doppio binario.

 

Dal punto di vista pratico, il Piano di Rilancio del Ssn, recentemente elaborato dalla Fondazione Gimbe, indica tutte le azioni da mettere in campo:

rilanciare progressivamente il finanziamento pubblico per allinearlo entro il 2030 almeno alla media dei paesi europei;

-potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni;

-garantire l’aggiornamento continuo dei Lea per rendere subito accessibili le innovazioni; –

rilanciare le politiche sul personale sanitario;

-riprogrammare l’offerta dei servizi socio-sanitari in relazione ai bisogni di salute della popolazione; –

-regolamentare rapporto pubblico-privato e sanità integrativa;

-investire in prevenzione e promozione della salute;

-potenziare l’informazione istituzionale basata sulle evidenze scientifiche;

-aumentare le risorse per la ricerca indipendente;

-rimodulare ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie.

 

Il Pnrr indubbiamente rappresenta una straordinaria opportunità per rilanciare il Ssn, ma solo se inserito in un disegno complessivo di rafforzamento della sanità pubblica.

Infatti, in assenza di ulteriori risorse vincolate per il personale sanitario, di coraggiose riforme di sistema (in particolare quella sui medici di famiglia) e di un affiancamento dello Stato alle Regioni più in difficoltà, rischiamo di indebitare le future generazioni solo per finanziare un costoso lifting del Ssn. Ovvero, il Pnrr non può rappresentare solo da stampella per un Ssn agonizzante».

 

 

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