DA :
Mixtura – blog di Massimo Ferrario
https://masferrario.blogspot.com/search/label/%23SguardiPoIetici
POESIE DI VIVIAN LAMARQUE
Coinquilina poesia (Vivian Lamarque)
in un disimpegno, esiguo
ma con uso di finestrella
solo mia, abita la mia poesia.
Coinquilina poco prevedibile
quando lei decide (più se piove
che se non piove) io corro
a prendere gomma e matita
e il duetto ha inizio (più se cielo grigio
meno se azzurro), una dà il la
l’altra cancella e scrive
in punta di vita, lapsus volevo dire
in punta di matita.
La bimba fiorita (Vivian Lamarque)
Caposala (Vivian Lamarque)
Vivian Lamarque, Era detto aquilone
Non si chiamava così
ma era detto aquilone
perché quando appariva nel campo di erba
sembrava ondeggiare
e quando vedeva da lontano Maria
pareva innalzarsi
portato dal vento e dall’emozione.
Vivian Lamarque
nata Vivian Provera Pellegrinelli Comba (Tesero, 19 aprile 1946), è una poetessa, scrittrice e traduttrice italiana.Vivian Lamarque è nata a Tesero, in provincia di Trento, il 19 aprile 1946. Di origini valdesi (il nonno Ernesto Comba, pastore, fu autore di un’importante opera, Storia dei Valdesi, pubblicata nel 1935), è stata data in adozione, a nove mesi, in quanto illegittima, a una famiglia cattolica milanese. A quattro anni ha perso il giovane padre adottivo, un vigile del fuoco. A dieci ha scoperto di avere due madri e ha iniziato a scrivere le prime poesie. Vive a Milano dove ha una figlia e due nipoti (“Lamarque” è il suo cognome da sposata).Ha insegnato italiano agli stranieri e materie letterarie in licei privati. Ha tradotto La Fontaine, Valéry, Prévert, Baudelaire. Dal 1992 scrive sul Corriere della Sera.”Teresino”, ha vinto il Premio Viareggio Opera Prima nel 1981. Tra gli altri successivi premi, il Montale (1993), il Pen Club ed il Premio Nazionale Alghero Donna di Letteratura e Giornalismo (1996) nella sezione poesia, il Camajore (2003), l’Elsa Morante (2005), il Cardarelli-Tarquinia (2006). Autrice anche di molte fiabe, ha ottenuto il Premio Rodari (1997) e il Premio Andersen (2000). Gran parte della sua produzione poetica è stata raccolta nell’Oscar Mondadori “Poesie 1972-2002”. Del 1996 è “Una quieta polvere”, del 2004 “Poesie di ghiaccio”, del 2007 “Poesie per un gatto” (Mondadori), del 2009 “Poesie della notte”.
Tra i racconti: “La bambina quasi Maghina” (2001), “Fiaba di neve” (2003), “La timida Timmi” (2003), “Tre storie di neve” (2004), “Storie di animali per bambini senza animali” (2006), “Metti subito in disordine” (2007), “I bambini li salveranno” (2010), “La bambina sulle punte” (2010) e “La bambina che mangiava i lupi” (2011).
Nel 2022 pubblica per Mondadori, L’amore da vecchia, raccolta di poesie grazie alla quale è entrata nella cinquina finalista del Premio Strega Poesia 2023.
DA : https://it.wikipedia.org/wiki/Vivian_Lamarque
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Vivian Lamarque: «Io rimbambinisco»
A 76 anni, Vivian Lamarque quando si «fidanza» non avverte l’amato, proprio come fanno i bambini. Lei l’amore non lo dice, lo scrive in versi di tenerezza e di dolore. Che riscattano la sua infanzia
Come il bambino diligente sa che dovrebbe chiudere il fumetto per studiare, ma poi non resiste e nel fumetto si tuffa, così Vivian Lamarque prova in tutti i modi a non parlare della sua infanzia, ma poi non resiste e in quegli anni bui e fiabeschi torna a tuffarsi.
I 76 anni trascorsi guardando indietro sono disegnati dappertutto in lei: nello sguardo senza età e nella frangetta da eterna bambina; nei libri accatastati con disordine da intellettuale e nelle ciotole piene di chewing gum alla fragola; e persino sui muri di casa sua dove compaiono, fianco a fianco, foto della mamma adottiva che la amava e del nonno naturale che volle allontanarla dalla famiglia: «Noi siamo le nostre origini», spiega, «per questo io tengo tutto e finisco per raccontare tutto».
Lo fa in questa chiacchierata dove si sforza di partire dall’oggi, salvo poi sprofondare in tutti gli ieri passati alla ricerca della sua famiglia d’origine (la poetessa milanese, per anni collaboratrice di Vanity Fair, è stata una figlia illegittima, data in adozione a nove mesi). Lo fa pure nel libro appena uscito, L’amore da vecchia, dove l’intento di decantare gli amori nuovi lascia presto il posto all’istinto di scavare in quelli passati.
Partiamo dal più recente. Ci racconta l’ultima passione?
«Mi sono innamorata che avevo 70 anni. Ma non gliel’ho detto. L’ho tenuto per me: ho pure festeggiato gli anniversari da sola. In quel periodo, ho cominciato a scrivere un fiume di poesie. Mi svegliavo di notte e le appuntavo sul cellulare. Pensavo di dedicare l’intero libro a questa storia. Poi, invece, mi sono resa conto che l’amore da vecchia è un amore più diffuso che riguarda anche le piante, gli animali, il cinematografo, i nipoti, i treni…».
Si tratta quasi sempre, però, di amori rivolti indietro, al passato.
«Alla mia età, avanti è meglio non guardare».
Che cosa teme, la morte?
«Più che temerla, la morte mi sorprende. Lo dico in una poesia: Nessuno si meraviglia / se uno alla sua età / muore. / Nessuno. / Ma lei sì!».
Allora di che cosa ha paura?
«Uno dei miei fratellastri, invecchiando, aveva dimenticato in quali giorni della settimana insegnava, così si presentava in aule vuote. Aveva perso i numeri. Io ho paura di perdere l’alfabeto. E di vedere soffrire i miei cari».
Lei che, come scrive in un’altra poesia, riconosce da lontano il dolore e lo sa / ascoltare.
«Quello che hai vissuto, lo vedi negli altri. Ha presente le aiole, con i mazzi di fiori tutti viola o tutti gialli? A volte il vento soffia un seme viola tra quelli gialli. Io mi sono sempre sentita così: estranea tra i viola e pure tra i gialli».
Fuor di metafora: a dieci anni ha capito di essere stata adottata.
«Sì, c’erano troppi segnali. Fisicamente non assomigliavo alla mia mamma adottiva: lei era alta, bella, mora e snella. Io piccola e rotondetta. Poi, un giorno ero in colonia estiva e anziché Provera, il cognome del mio papà adottivo, mi chiamano Comba. Io non sapevo chi fosse Comba. Lo guardi, è lui Comba (dal comò afferra un ritratto antico di uomo severo, ndr): il mio nonno materno, un moderatore valdese di Firenze che non poteva permettersi una nipote illegittima, così mi fece allontanare».
Lei l’ha scoperto andando a rovistare nei cassetti.
«Ero sempre a casa da sola, perché il mio papà adottivo era morto in un incidente e la mia mamma lavorava fino a mezzanotte. Un giorno mi sono messa a frugare tra la biancheria e ho trovato un attestato in cui la signora Tal dei Tali, mia madre naturale, rinunciava a me».
Immagino lo shock.
«Da un lato, certo. Dall’altro mi sentivo un’eroina dei libri: in quel periodo stavo leggendo Senza famiglia di Malot. Fingere di vivere nelle fiabe mi ha aiutato, per un po’».
Poi?
«Poi è diventata una psicosi. Distorcevo la realtà. A 17 anni mi ero fissata che una professoressa fosse una mia parente. Aveva caschetto, frangetta e occhiali come me: questo mi bastava per fantasticare. Sul diario scrivevo: “Oggi mi ha dato 4 (per non fare differenze con gli altri)”. E il giorno dopo: “Oggi mi ha dato 7 (la voce del sangue è stata più forte)”. Si rende conto? Ero pazza. Passavo tutto il tempo a cercare quelli che mi avevano abbandonata».
Alla fine li ha trovati.
«Sono stati incontri molto duri. Soprattutto con mio padre, il preside di una scuola in Trentino con cui mia madre, già vedova, aveva avuto una breve relazione. Un giorno mi sono presentata da lui e gli ho detto queste nove parole: scusi-mi-hanno-detto-che-lei-è-mio-padre».
Che cosa ha risposto?
«“Chi gliel’ha detto?”. Io ho riferito il nome di mia madre. Lui l’ha denigrata con una frase offensiva».
Con sua mamma non è andata molto meglio
.
«Avevo 19 anni quando l’ho incontrata. Ero curiosissima e agitata. Mi ero fatta carina con una camicetta azzurra e capelli freschi di parrucchiere. Lei era grossa e avvolta da una pelliccia ancora più grossa. Ma la faccia era spiccicata alla mia. Avevo disseminato il divano di mie foto da bambina: pensavo che le interessasse sapere com’ero cresciuta. Sbagliavo. Mi disse: “Grazie cara, un’altra volta”. Usava quell’aggettivo, cara, che non sopportavo».
La teneva a distanza.
«L’ha sempre fatto. Quando ha compiuto 80 anni le ho telefonato chiedendole se, per la prima volta, potevo partecipare al suo compleanno: “Sì, certo cara, ti farò sapere”. Mi chiamò il giorno dopo i festeggiamenti per ringraziarmi di un regalino che le avevo lasciato in portineria: “Scusa per ieri, cara, non abbiamo fatto niente di speciale: eravamo solo tra noi”. Persino quando, più avanti, l’ho accompagnata in ospedale, alla domanda dell’infermiera: “Quanti parti ha avuto?”, ha risposto: “Tre, più uno”. Io ero il più uno. Neanche in grembo ero uguale agli altri».
Come mai era così fredda?
«Non era fredda, era disturbata. Tanto che, quando li ho ritrovati, i miei fratellastri mi dicevano: “Beata te che sei stata adottata”. Mia madre era un fuoco d’artificio schiacciato dal rigore borghese e valdese. Non ce l’ho con lei, anzi sono contenta di averla frequentata».
Perché?
«Altrimenti sarebbe rimasta un affascinante fantasma che avrebbe sottratto amore alla mia mamma adottiva».
Che per lungo tempo non ha chiamato mamma. In una delle sue poesie scrive: Me l’hai detto tu che da bambina / ti chiamavo solo la domenica mattina / dalla vasca per lavarmi la schiena / tu facevi finta di non sentire / per sentirmi ripetere due volte / ho finito mamma.
«Da piccoli siamo dei mostri di crudeltà. Mi sono riscattata più avanti: quando era vecchietta la chiamavo mamma ogni due secondi. Ora basta parlare della mia infanzia».
Ha mai pensato di scriverci un libro, sulla sua infanzia?
«Lo sto facendo. Ma non ho tolto l’autobiografia dalla poesia, e ora sa che succede? Che nell’autobiografia entrano le poesie! Non riesco a separare le due cose».
In un capitolo di L’amore da vecchia lo denuncia proprio: «Io sono autobiografica!».
«Eh sì: volevo parlare solo di questi miei innamoramenti maturi, ma non ci sono riuscita».
Raccontava che si è trattato di passioni unilaterali.
«Certo, chi vorrebbe mai essere amato da un’ottantenne? Nessuno: i miei amori sono fantasmi».
Come gli amori dei bambini, che si fidanzano all’insaputa dell’altro.
«Precisamente. Sono tantissime le corrispondenze tra infanzia e vecchiaia. Ho fatto un elenco: loro non hanno i denti, a noi cadono. Perdiamo i capelli e la memoria e torniamo spelacchiati e smemorini. Camminiamo con il girello…».
Si dice che si rimbambisce.
«Preferisco “rimbambinisce”: tutti dovremmo conservare con cura il nostro io bambino».
Lei l’ha fatto e la poesia Nel giardino di Emily D. ne è la prova: Quando entrai nel tuo giardino / era tutto fiorito di cosmee / vietato cogliere pensai. / Ma poi – / le colsi! / prezioso bottino!
«Poi le resi. Ero una brava bambina. Ho anche scritto una poesia su questo: Mangiavo dormivo / facevo la brava-bambina / per conquistarti “mammina”. / Corteggiamento vano / a nove mesi mi hai preso per mano / mi hai lasciata a Milano. Essere brave per sempre, però, non si può».
Che cosa succede quando si
smette?
«Che si commettono tantissimi errori. Io, prima di entrare in analisi a 38 anni, ne ho fatti parecchi».
Anche come mamma?
«Purtroppo sì: adoravo mia figlia, ma brancolavo nel buio. Avevo tutto, ma mi interessava solo cercare quegli altri. Se solo fossi diventata madre dieci anni dopo, e 300 di analisi dopo! Per la nonnitudine, invece, ero matura».
Infatti scrive alcuni versi molto dolci sui suoi nipoti: Anche nell’aldilà me lo porterò / il mare con le sedie del Lido con su seduti voi.
«Per tanti anni ho fatto la nonna a tempo pieno. Anni faticosi, e felici».
Oggi anche lo è?
«Ma sì, dai. Rispetto al passato sto bene».
Si ricorda l’ultima volta che ha pianto?
«Sa che no? Prima dell’analisi piangevo tantissimo».
Per che cosa?
«Spesso per amore. Mi bastavano due sorrisi e io mi innamoravo. Sempre di uomini impossibili».
Sposati?
«O completamente disinteressati. Ogni volta credevo di morire. Invece, recentemente non è più così: l’amore da vecchia fa meno male. L’ho anche scritto al mio analista: ha fatto proprio un gran lavoro con me».
In che senso?
«Mi ha aiutata a sviluppare maggiori difese, maggiore autoironia. E, soprattutto, a non sentirmi più un’orfana».
Che in realtà non è mai stata, avendo avuto due madri e, anche se per poco, un papà.
«Già, ma tutti, in fondo al cuore, ci sentiamo orfani. Chi, in famiglia, non ha patito il dolore di non essere abbastanza visto, riconosciuto o amato dai propri genitori? Di questo parlano i miei versi: Catturata dalla poesia / dove Frank O’Hara bambino / scontroso da dietro un albero / grida forte agli altri bambini / che stanno giocando beati / I am an orphan! I am an orphan! / Ma, sorpresa, orfano lui non era affatto. / Come io non lo sono / come voi non lo siete /
come tutti – / lo siamo».
DOCUMENTARIO DI SILVIO SOLDINI : ” Quattro giorni con Vivian Lamarque “,
un film-passeggiata di Silvio Soldini, girato nell’inverno 2007/2008 tra i luoghi milanesi cari alla poetessa Vivian Lamarque.
A cura di Massimo Cecconi.
di GIOVANNI BONOLDI
APRI QUI
https://memomi.it/gente-di-milano-medialogo/vivian-lamarque-quattro-giorni-con-vivian
DA :
MEMOMI.IT-FACEBOOK
per chi volesse, altre poesie di Vivian Lamarque, dallo stesso blog — link sotto:
Cucivi così bene,
e saldamente, come
col fil di ferro.
I miei punti invece
tu andata, non tengono
niente, sbaglio spolette,
imbastiture, gli aghi
cadono i nodi si snodano
i bottoni appena attaccati
si staccano gli orli
ondeggiano,
come scuoteresti la testa.
Tu andata mi si è scucito
il guardaroba, il mondo.
Vivian LAMARQUE, Cucivi, da Madre d’inverno, Mondadori, 2016, in ‘il canto delle sirene’, 9 maggio 2021
chi ancora sulla spiaggia gioca si bagna
la loro vacanza non è ancora finita:
sarà così sarà così lasciare la vita?
PS.: Siamo poeti
vogliateci bene da vivi di più
da morti di meno
che tanto non lo sapremo.
Il castello in aria aveva fondamenta?
Sì, di cemento armato. Le fondamenta del castello erano il cervello della signora.
La signora e il castello in aria erano dunque una cosa sola?
Sì, la signora e il castello in aria erano dunque una cosa sola.
Ma è lei il suo bianco abitante.
Condomina e casa
abitante e abitata
inquilina pallida
finestrella e affacciata.
Non sei venuto questa sera all’appuntamento
va bene che c’era un po’ di vento
e non ti avevo detto da che parte della stanza
e non sapevi poverino l’ora esatta
ma solo la sera della settimana
non mi ricordo più le cose
da quando ti sono stata presentata
proprio quella sera che non mi hai notata
abbiamo parlato solo due tre volte
ti ho detto solo quattro cinque cose
nome cognome e che sono separata
non puoi saperlo poverino
che mi sono innamorata
II
Nonostante ci fosse un po’ di vento
sei venuto questa sera all’appuntamento
e mi hai dato due baci sulle guance
e mi hai fatto una carezza e un complimento
mi gira forte la testa
ma non c’entra il vento
III
Non sei venuto questa sera all’appuntamento
eppure non c’era in cielo il vento
e ti avevo detto da che parte della stanza
e anche son sicura l’ora esatta
non mi muovo sto qui ad aspettare un complimento
e siccome mi sono innamorata io mi sento
con dentro alla testa un po’ di vento.
VIVIAN LAMARQUE,NVento, da Teresino, Società di poesia, 1981.
Segnalato in ‘ipoetisonovivi.com’, 17 maggio 2018
Mio fratello lo sapevo che dormiva nel mare
ma dissi a mia madre partendo – tranquilla, io no.
Sono invece anch’io sul fondo con loro, d’acqua il viso
la bocca? d’acqua le lettere del mio bel nome cognome?
alfabeto muto di pesci? Voi che potete, pescate le nostre A,
le nostre B, restituite i nomi a chi ce li diede.
VIVIAN LAMARQUE, ‘La Lettura’, 19 agosto 2018
I mattini ghiro mio
come vorrei che tu imparassi ad amare i mattini
soffriresti meno ad alzarti forse
se da te fosse come qui
che quando apri le finestre
subito hai lì alberi perfetti
immobili ma a guardare bene
con anche un punto dove le foglie tremano
per un uccello appena volato via
al rumore della finestra
(o forse ghiro mio avresti sonno lo stesso).
VIVIAN LAMARQUE, I mattini ghiro mio, da Poesie 1972-2002, Mondadori, 2002.
Segnalata da ‘ipoetisonovivi.com’, 27 settembre 2013
E poi cadono continuamente
come bambini. Cadono gli uni
e gli altri sbucciati spaventati, ma.
Ma badanti raccolgono
da terra gli uni, baci di madre gli altri.
VIVIAN LAMARQUE, Vecchini come bambini, II, da Madre d’inverno, Mondadori, 2016
Invece sì, invece forse sì,
le poesie lo cambieranno un poco
il mondo.
Però tra tanto tanto
di quel tempo
sì me lo sento
che dalle poesie verrà un poco
di cambiamento
ma come un nevicare lento lento lento.
Cambiare il mondo, da Vivian Lamarque, Madre d’inverno, Mondadori, 2016
Le era entrato nel cuore.
Passando dalla strada degli occhi e delle orecchie
le era entrato nel cuore.
E lì cosa faceva?
Stava.
Abitava il suo cuore come una casa.
Il signore nel cuore, da Vivian Lamarque, Il signore d’oro, Crocetti, 1986
TUTTE LE POESIE SONO DA :
Mixtura
di tutto un po’, a modo mio // seriamente, ironicamente // per (far) pensare
BLOG DI Massimo Ferrario
https://masferrario.blogspot.com/search/label/_Lamarque%20Vivian
chiara: mi dispiace per l’impaginazione, ci perdo tanto tempo, faccio più volte come mi ha raccomandato un tecnico, ma lei – la stronza – fa solo a modo suo. La cosa mi pesa tanto perché è una delle caratteristiche di tutti gli esseri che mi circondano, umani, animali, cose.. tutti tutti fanno solo a modo loro e io .. ballo.
In fondo non è poi male, potrebbe essere peggio, no ?
E se mettessimo questo disagio in poesia?