ROBERTO RODODENTRO : ” Per questa notte chiamami Esterina ”, un bellissimo racconto d’antan :08.12.2001

 

 

Per questa notte chiamami Esterina

 

 

 

bardelli, l'attesa, 2016, computer graphics
mario bardelli, Esterina, 2016

La vedo ferma sul marciapiede, un po’ rientrata verso le bancarelle chiuse del mercato di Ponte Milvio, quasi come se non gliene importasse niente.
Una macchia scura nello scuro della notte, solo un viso che appare più chiaro anche se indistinto… mi pare di distinguere un bell’ovale, ma mi fermo lì, perché passo veloce in auto. Solo uno sguardo di sfuggita o forse neppure quello: vista solo con la coda dell’occhio e con la coda dell’occhio fotografata. E’ rimasta nella retina, come una pellicola in negativo, pronta ad essere stampata appena capita.
Ero ormai arrivato quasi all’altezza dove via di Tor di Quinto s’immette nella Flaminia, quando senza neppure pensarci o il pensiero covava dentro e rimestava la giornata passata, giro la macchina e torno indietro. Accelero, inconsciamente con la paura di non trovarla più. Eppure sono le quattro del mattino, che ci facciamo ancora lei ed io sulla strada?
Qualcosa ci accomuna, in quel momento sento che abbiamo un legame quella notte e un piccolo e breve destino in comune perché lei è li che aspetta me. Siamo due alla deriva. Chi più uno dell’altro in quel momento non so capirlo e neppure lo penso.

Veronica l’ho lasciata da meno di mezz’ora, il tempo di fermare la macchina davanti al portone di casa sua, un saluto, un bacio veloce sulla guancia…. Appena sfiorata, come se il toccarci potesse anche contaminarci. E cosi lei esce dall’auto senza voltarsi indietro e come tutte le altre volte pensa di uscire dalla nostra vita.

Accosto l’auto al marciapiede e lei è ancora lì. Lei non viene incontro alla macchina, sembra non guardare nemmeno ed io non cerco di chiamarla. Esco semplicemente e le chiedo quanto vuole, perché questa è la prassi – se non lo chiedessi sarei visto come un rapinatore o un poliziotto – e lei è proprio come l’ho registrata nella retina, al confronto le due immagini si sovrappongono: capelli scuri fino alle spalle, abito semplice e scuro, per nulla adatto alla professione ed un viso bianco e ovale dove spiccano due occhi scuri ed indifferenti.
Non c’è bisogno di un lungo viaggio. C’incamminiamo che sono due passi, appena al di la del piazzale del mercato, in una stradina interna; lei apre un portone che da su un corridoio poco illuminato e squallido. “ Ed io che ci faccio qui?”, fingo di domandarmi, ma lo so che tutto mi va bene pur di ritardare il rientro a casa e il momento di pensare.

Apre una porta chiusa con un solo giro di chiave. Anch’io apro una porta edietro la mia porta c’è solo caos.

“ Mio padre. Erano urli tutte le sere e poi picchiava mia madre che si riparava dietro di me, e poi se ne andava da quell’altra sbattendo la porta.
Avevo quattordici anni e odiavo mia madre perché faceva arrabbiare mio padre.”
Parla sorridendo Veronica, mentre colpisce nervosa un raviolino ripieno di polpa di granchio.
La ragazza ha aperto la porta e mi precede nella stanza appena illuminata e piena di roba oltre ad un letto e ad un lumino che spande la luce fioca.
Io entro dietro di lei.

Anche Veronica mi ha fatto entrare nella sua stanza buia. Mangia un altro raviolo, lo mastica lentamente e sorride sempre mentre alza per un attimo gli occhi azzurri ma quasi neri tanto sono blu quella sera, verso di me:
“ Poi mia madre lo minaccia con una scure ed urla “io ti ammazzo! Io ti sgozzo e ti faccio a fette!” Tu l’hai vista mia madre: piccoletta e tutta nervi. Se l’avesse preso, l’avrebbe veramente ammazzato. Me lo ripete ancora adesso che sono passati tanti anni .
E lui sbatte la porta e se ne va.
Questo è andato avanti per anni, tutte le sere, mi sembra tutta la mia vita.”

Mi chiede i soldi pattuiti con indifferenza e li ripone in un cassetto aperto e lì li lascia.. anche il cassetto rimane aperto, poi:
“ Dimmi almeno come ti chiami” Dice, ma non aspetta il nome mentre si sfila il vestito nero dalla testa.
Per un momento, un lunghissimo momento, almeno a me pare, rimane cosi, senza viso, una specie di Medea in una stanza buia e caotica, e vedo solo le gambe bianche di quel corpo senza volto e le cosce bianche coperte da uno slip di pizzo nero.
“ Allora, come ti chiami?” Insiste uscendo dal vestito, ora con un accenno di sorriso sulle labbra perché deve fare la sua parte.
Ma forse non è nemmeno cosi, perché mi prende la mano e mi accompagna al letto ed è lei che mi spoglia.
Oddio, e io come un idiota le accarezzo le braccia bianche mentre sono inerme nelle sue mani, seduto sul letto che l’aiuto, sollevandomi appena, a togliermi i pantaloni.

“ Sabrina aveva sei anni. L’hai conosciuta tu Sabrina, mia sorella? No, vero. L’hai sentita per telefono.. E’ una bellissima ragazza. Non ha mai capito niente di quel che succedeva.
Poi mio padre, finalmente se n’è andato con quell’altra ed io, finalmente ero felice: aspettavo che venisse a prendermi e mi portasse con lui.”
Il piatto di ravioli è finito perché Veronica non avanza mai nulla. Lei dice che le serve per i tempi magri, come i cammelli.
Le verso il vino. Lei mi guarda sorridendo e mi chiede se voglio farla ubriacare cosi, finalmente quella sera riesco a scoparla.
Dirle che non ne ho nessuna intenzione non servirebbe a niente. Cosi sto zitto. Ma lei insiste:
“ Intanto io con te non ci scoperò mai. Perché sei sposato e puoi offrirmi tutte le cene di questo mondo. E poi, siamo amici, no?
Ci pensa su un po’, poi: “ Che razza di amicizia malsana è la nostra. “ E non sorride più.
Questa frase è come un ritornello.
Lei dice sempre che la nostra è un’amicizia torbida. Perché io voglio scoparmela e quando sono con lei ho sempre il cazzo duro ed è lui che mi comanda.
Ma mentre dice questo io mi chiedo sempre e spesso glielo dico, se, per il solo fatto di pensarlo, non sia lo stesso anche per lei.
“Anche se fosse non potrei.” Mi risponde lei, seria. Poi mi sorride maliziosa “ Potrei farti un pompino…un meraviglioso pompino, meglio delle puttane che frequenti. Quanto me lo pagheresti?”
Ma quella sera no. Non va oltre la battuta vecchia e inutile che sappiamo tutti e due quant’è vera e quant’è falsa.

 

 

Mi ha detto di chiamarsi Esterina, che per quella sera quel nome le va bene.
Siamo sul letto ed anche lei mi accarezza mentre parla piano con una voce scura ed indistinta come la stanza e lo sa che non la sto ascoltando e io so che è per questo motivo che mi sono fermato: la lascio fare inerte, alle sue parole ed alle sue mani. Eppure mi sento di stare bene li tanto che ci dormirei in quel letto con lei se me lo permettesse. Questo sto pensando quando mi chiede quando mi decido che il tempo sta per scadere.
Chissà che tempo le dico io, alle cinque del mattino!!
“Non te lo immagini nemmeno, dice lei, tra un po’ aprono il mercato e quelli sono tutti assatanati! Lo sai come siete voi la mattina appena svegli, no? E ride, dai, saltami addosso che ormai sei più che pronto! Potrebbe anche piacermi.”
Mi tenta con la lusinga, lei lo sa che noi maschietti siamo tutti stupidi, che bastano due complimenti riferiti alle nostre prestazioni sessuali per renderci soddisfatti: sono anni che ci conosce bene.

Siamo ormai in macchina, sulla strada del ritorno, quando Veronica riprende a parlare di suo padre. Credevo avesse esaurito l’argomento o che non volesse più parlarmene. Nel frattempo, dopo la battuta sul sesso avevamo cambiato discorso. Ma avrei dovuto capirlo che lei era sempre lì.
“ Ho aspettato tre mesi che mi venisse a prendere. Ero convinta io. Sai, Quando se n’è andato mi sono sentita felice perché ho pensato che da allora l’avrei avuto tutto per me. Mia madre non riuscivo a sopportarla. Sempre dietro a Sabrina ed io come se non esistessi. A quattordici anni ero sempre per la strada, la scuola c’era si e no, e se i professori chiedevano di mia madre dicevo che era matta: non sbagliavo di molto.
Ormai erano tre mesi che non si faceva vivo ma io sapevo dove abitava con quell’altra: perfino più scialba di mia madre.
Cosi un giorno ho deciso che se non veniva lui sarei andata io.

Dove siamo ora?”
Mi chiede all’improvviso cambiando discorso.
Eravamo ormai ad Ostia, sulla rotonda sul mare da dove si imbocca la strada che porta alla via del Mare per tornare a Roma.
“Fermati un momento, per favore.” mi chiede ed io ubbidiente accosto la macchina. Coi finestrini aperti si sente il mare che anche se non lo vediamo sappiamo che è li.
Ce ne stiamo in silenzio ed è un silenzio che piace anche a me, tanto che non faccio neppure il gesto di accendermi una sigaretta.
Siamo cosi vicini e amici in quel momento che neppure ci sfioriamo, eppure.
“Allora? Ti decidi si ho no. Dai che faccio io.” Mi dice Esterina mentre io sono cosi lontano che neppure la vedo.

Ho cercato anche di spiegarlo a Veronica il giorno dopo, quando l’ho rivista a casa sua. Eravamo nella sua stanza e mi spiegava quant’era stata male la sera prima e quanto dolce e carino ero stato io a capirla ed accettarla anche cosi, quando io ho cercato di raccontarle il seguito di quella notte.
Perché anch’io ero stato male con lei.
Veronica ha la voce tranquilla anche se un po’ roca quando riprende:” Ero sul portone d’ingresso ed ho pensato di fargli una improvvisata.
Cosi sono salita fino al quarto piano dove abitava facendomi le scale a piedi a due per volte. Ho suonato il campanello col cuore che mi batteva il gola.
E mi ha aperto lui. Proprio lui come volevo io ma non cosi. Mi ha detto senza neppure salutarmi cosa ci facevo lì e mi ha mandata via chiudendomi la porta in faccia: torna da tua madre , mi ha detto.”

Mi ha preso la mano per un attimo, appena sfiorata poi è uscita sul lungomare e si è allontanata da sola.
Allora io ho acceso una sigaretta mentre la vedevo lontano nello specchietto retrovisore.

La puttana l’ho salutata con un bacio su una guancia e lei mi ha abbracciato. Sembravamo, lì sulla porta, una coppia di amanti che si saluta sapendo che presto si sarebbe rivista.
Fuori era chiaro, quasi giorno.
Ho cercato di spiegarlo a Veronica il giorno dopo e pensavo avrebbe capito. Ma lei mi ha guardato duro e mi ha detto che si, ragionavo solo col cazzo.

08.12.2001

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1 risposta a ROBERTO RODODENTRO : ” Per questa notte chiamami Esterina ”, un bellissimo racconto d’antan :08.12.2001

  1. DONATELLA scrive:

    Bello il racconto di Roberto, poetico e un po’ ironico al tempo stesso.

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