Con il Direttore di Limes Lucio Caracciolo approfondimento sul club dei BRICS e la variegata galassia dei Paesi non allineati al campo occidentale. La postura di India, Brasile e Sudafrica riguardo ai principali scenari di crisi, a partire dalla guerra in Ucraina; le prospettive e le problematiche del cosiddetto “Sud Globale” in uno dei passaggi storici più critici e pericolosi
ISPI – ISTITUTO
Arabia Saudita a tutto BRICS
Rapporti economici e adesione al “multilateralismo orientale” segnano la spinta del regno verso un mondo multipolare. Obiettivi: “diversità globale” ed Expo 2030.
Basterebbe partire da qui: nell’area MENA, l’Arabia Saudita è il primo partner commerciale dei Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) ed è ora candidata a farne parte, come Iran ed Emirati Arabi Uniti (EAU). Il probabile ingresso del regno saudita nei BRICS è favorito da una relazione economico-commerciale sempre più forte con la Cina, come evidenziato dal recente Arab-Chinese Business Forum, nonché dalla ripresa delle relazioni diplomatiche con l’Iran mediata – in ultima istanza – proprio da Pechino. Un fatto, quest’ultimo, che rende il Golfo potenzialmente ancora più appetibile per gli investitori, perché meno conflittuale. Con risvolti geopolitici importanti: d’altronde, anche le politiche e i progetti post-oi ldell’Arabia Saudita, ovvero Vision 2030, hanno contribuito a disegnare, insieme alla Belt and Road (BRI) cinese, i contorni di quell’ordine mondiale extra-occidentale rappresentato dai BRICS (se sarà post dipenderà molto dalla reazione occidentale). Questo il clima che accompagna la corsa di Riyadh verso l’assegnazione di Expo 2030.
NOTA 1 :
AREA MENA
Il termine MENA è un acronimo di “Medio Oriente e Nordafrica”- Il termine si riferisce ad un’ampia regione, estesa dal Marocco all’Iran, che include la maggior parte sia degli Stati mediorientali che del Maghreb. Il termine è sinonimo di Grande Medio Oriente (quest’ultimo, però, ricomprende a volte Pakistan e/o Afghanistan)
BLU – Comunemente accettati come Stati MENA.
TURCHESE – A volte considerati anch’essi parte della regione.
https://it.wikipedia.org/wiki/MENA
Perché i BRICS non sono la SCO
Come sottolineato dal ministro degli Affari esteri saudita Faisal bin Farhan, l’interscambio commerciale tra il regno e i BRICS è raddoppiato da 81 miliardi di dollari nel 2017 a 160 miliardi nel 2022. Una realtà economica che potrebbe presto trasformarsi in un’alleanza multilaterale, data la probabile adesione dell’Arabia Saudita al club dei BRICS. Nel marzo 2023, l’ingresso dei sauditi come Paese partner nella Shangai Cooperation Organization (SCO), fin qui poco incisiva sul piano dei contenuti, non ha rappresentato un vero game-changer nella relazione tra Arabia Saudita e Stati Uniti.
Negli anni, la SCO ha mitigato la connotazione di sicurezza e di contrasto al terrorismo che l’aveva contraddistinta, mentre il tratto economico è da sempre prevalente nei BRICS. Ciò che fin qui ha accomunato SCO e BRICS è la differenza di valutazioni e strategie tra i grandi Paesi membri: Cina, Russia e India. Di certo, la probabile adesione saudita e delle potenze del Golfo ai BRICS potenzierebbe la forza, il capitale e il dinamismo economico del Global South, proiettandolo sempre più verso aree d’investimento terze, come l’Africa continentale.
Investimenti e membership
Nel 2023, l’Arabia Saudita è entrata ufficialmente nella SCO come dialogue partner e ha fatto richiesta formale per l’ingresso nei BRICS, come hanno fatto Iran, Emirati, Egitto, Bahrein e molti altri Paesi: decisione che verrà probabilmente presa nel vertice dell’organizzazione del prossimo agosto. L’Arabia Saudita sta inoltre discutendo dell’ingresso nella “banca dei BRICS”, ovvero la New Development Bank (NDB), che finanzia progetti di sviluppo nelle economie emergenti: gli Emirati ne sono diventati membri già nel 2021.
Sono due i fattori che stanno accelerando l’avanzata di Riyadh verso i BRICS: la Cina e l’Iran. La partnership tra Arabia Saudita e Cina è sempre più stretta. La decima edizione dell’Arab-Chinese Business Conference, svoltasi a Riyadh l’11-12 giugno 2023 con il titolo evocativo di “Collaborating for Prosperity”, ha messo in evidenza quanto, tra Arabia Saudita e Cina, non sia più una questione di promesse economiche, ma di numeri reali. La conferenza, che ha ospitato rappresentanti governativi e del settore privato, si è concentrata su energie rinnovabili, tecnologia, intelligenza artificiale (AI), costruzioni, agricoltura e minerali strategici: gli accordi firmati tra sauditi e cinesi ammontano a 10 miliardi di dollari. Alcuni di questi temi, come le tecnologie, AI e i minerali strategici, si inseriscono in quella sottile linea di (non) confine tra economia, sicurezza e difesa che provoca crescenti preoccupazioni negli Stati Uniti. D’altronde, la direzione strategica di Riyadh verso Oriente non è al momento un processo negoziabile. Washington non può che prenderne atto, cercando di contenere lo scivolamento – per certi versi inesorabile – di sauditi e cinesi dalla cooperazione economico-commerciale a quella di difesa e sicurezza.
I risvolti geopolitici
Il secondo fattore è interno al Medio Oriente. Infatti, la ripresa delle relazioni diplomatiche fra Arabia Saudita e Iran accelera l’avvicinamento e la graduale integrazione dei Paesi del Golfo, a cominciare dal regno saudita, nei consessi multilaterali guidati da Pechino. Riyadh, come Teheran e Abu Dhabi, guarda con favore alla ridefinizione degli assetti internazionali. L’obiettivo è promuovere dei fora istituzionali alternativi a quelli del tradizionale “Washington consensus” di Bretton Woods (Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale), nati su impulso americano nel 1944. L’intento è invece affermare, mediante la forza economica e demografica, l’esistenza consapevole di un ordine mondiale extra-occidentale.
Pertanto, l’avvicinamento delle potenze del Golfo alle istituzioni del “multilateralismo orientale” come la SCO e i BRICS – sempre più a guida cinese e meno russa – può contribuire alla stabilità del Medio Oriente, promuovendo la cooperazione economica regionale e cross-regionale. E dunque incentivando la de-escalation tra i rivali mediorientali. Allo stesso tempo, SCO e BRICS spingono il Golfo sempre più verso Est, plasmando un locus alternativo all’ordine mondiale di emanazione statunitense e una visione altra, seppur fin qui limitata alla non ingerenza negli affari altrui. D’altronde, come ha dichiarato il ministro delle Finanze saudita nel corso dell’Arab-Chinese Business Conference, l’ordine globale multipolare “è emerso”, non è più “emergente”.
Riyadh e il mondo multipolare: aspettando Expo 2030
In questo clima internazionale, l’Arabia Saudita potrebbe beneficiare dell’appoggio delle potenze BRICS (e dei Paesi ad esse legati), per ottenere l’assegnazione di Expo 2030 a Riyadh, città candidata in competizione con Roma e la coreana Busan. Presentando la candidatura della capitale, i sauditi hanno infatti messo l’accento su un’esposizione “costruita dal mondo, per il mondo” in un’ottica di “diversità globale”: concetti che fanno eco alla narrazione dei BRICS. E non sfugge che l’eventuale Expo saudita, il cui tema di candidatura è “L’era del cambiamento: insieme per un domani previdente”, aprirebbe i battenti nel 2030, ovvero l’anno in cui Vision 2030, presentata come la quintessenza del cambiamento, raggiungerebbe – nei piani sauditi – la sua piena realizzazione. Insomma, l’Expo 2030 a Riyadh come volano di Vision 2030verso un ordine globale extra-occidentale.
Così va inteso il lunghissimo soggiorno (nove giorni) del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman in Francia, iniziato il 14 giugno: Parigi è anche la sede del Bureau International des Expositions (BIE). Perché le doppie ambizioni di MbS per il 2030, Vision ed Expo, non passano soltanto per il “nuovo mondo” dei BRICS. A Parigi, il French-Saudi Investment Forum ha firmato 24 accordi (tra cui energia green, turismo e cultura, sanità e industria della difesa) che impatteranno su un interscambio commerciale franco-saudita cresciuto già del 47% nel 2022 (raggiungendo i 12 miliardi di dollari) rispetto al 2021. Non a caso, il Saudi Public Investment Fund (PIF), il fondo sovrano del regno, ha appena annunciato che aprirà un bureau anche a Parigi, oltre a quelli di Londra, New York e Hong Kong.
D’altronde, la nuova Arabia Saudita dalle ambizioni globali non può essere classificata come un Paese che intende “cambiare campo”, da quello filo-occidentale a quello filo-orientale: Riyadh vuole sviluppare appieno l’approccio multipolare alla politica. Quindi, i sauditi non intendono più costruire relazioni implicitamente gerarchiche, ma solo rapporti di cooperazione o alleanza paritaria. Per non dover dipendere economicamente, un domani, dalla Cina, dall’India o dalla Russia come lo sono stati fin qui – e in parte ancora lo sono – dagli Stati Uniti per la sicurezza.
Recentemente, Mohammed bin Salman ha offerto tre esempi di come il regno intenda il suo nuovo corso internazionale. Il principe ereditario ha detto più volte no alla richiesta degli USA di aumentare le quote di produzione petrolifera; ha dato un dispiacere pubblico alla Russia invitando il presidente ucraino Volodymyr Zelensky al vertice della Lega Araba di Jedda del maggio scorso; ha chiaramente detto alla Cina che le giovani aziende delle monarchie devono essere protette, anche se la cooperazione con la Cina si rafforzasse in un prossimo accordo di libero scambio. Nell’era multipolare, Riyadh ha dunque scelto rapporti paritari con più potenze possibili, specie nel Global South. Alleanze o collaborazioni ambiziose, prive di condizionamenti politici e per questo imprevedibilmente dialettiche.
Molto interessante vedere come i tempi possano cambiare.