In copertina: Wisława Szymborska con
la femmina di scimpanzé Ciki nello zoo
di Cracovia (anni Sessanta).
archiwum fundacji wisławy szymborskiej
Anna Bikont, Joanna Szczęsna
Cianfrusaglie del passato
La vita di Wisława Szymborska
A cura di Andrea Ceccherelli
La collana dei casi, 105
2015, pp. 455
«Confidarsi in pubblico è come perdere l’anima. Qualcosa bisogna pur tenere per sé» ha detto Wisława Szymborska. E ha detto anche: «Cerco di non pensare troppo a me, e non lo dico per smanceria o per ingraziarmi il lettore. È la verità: non sono al centro dei miei interessi». Scavare nella vita di chi tanto detestava mettersi pubblicamente a nudo e ha fatto della riservatezza la propria insegna potrebbe dunque sembrare un’indebita intromissione. Peggio: un tradimento. Anna Bikont e Joanna Szczęsna – due tra le migliori firme del giornalismo culturale polacco – sono riuscite, brillantemente, a evitare questo scoglio. Cianfrusaglie del passato (espressione tratta dalla splendida poesia Scrivere il curriculum: «Sorvola su cani, gatti e uccelli, / cianfrusaglie del passato, amici e sogni») è una biografia non solo rigorosa e documentatissima, frutto di accurate ricerche e di lunghe conversazioni con la Szymborska stessa e con quanti l’hanno frequentata, ma soprattutto discreta. Giacché a risuonare, in ogni pagina, non è la loro voce, ma quella, irresistibilmente ironica, di una donna che – ha scritto Adam Zagajewski – «sembrava appena uscita da uno dei salotti parigini del Settecento». Scopriremo così il suo ambiente familiare, le letture, i giochi e le paure dell’infanzia, la vita nel «kolchoz dei letterati» di Cracovia e la giovanile adesione all’idea comunista, la rapida disillusione, il distacco, e poi la simpatia per Solidarność negli anni Ottanta, infine lo spartiacque del Nobel. Ma anche che la Szymborska amava i ninnoli kitsch, i gadget di pessimo gusto, i limerick e la poesia scherzosa in genere – e difficilmente potremo resistere alla tentazione di imparare a memoria le sue più impagabili battute. E scopriremo, alla fine, la sua gravità, la sua profondità, puntigliosamente celate dietro lo schermo della leggerezza giocosa e della impenetrabile discrezione: «Io so come adattare i lineamenti / perché nessuno veda i miei tormenti» si legge in una poesia del 1954.
La poesia e l’ironia così felicemente intrecciate!