JOSIF BRODSKIJ, FUGA DA BISANZIO, ADELPHI, 3a ediz.2016 + ANTONIO ARMANO, IL FATTO QUOTIDIANO, 2015 + tre note

 

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IN COPERTINA
Giandomenico Tiepolo, Studio di sfingi e pesci, incisione.

FUGA DA BISANZIO

di Jurij Brodskj Adelphi, Milano, 1996 / 2014 / 2016

 

Iosif Brodskij era finora conosciuto e riconosciuto, da noi, come il massimo poeta vivente di lingua russa. Con questo libro si rivela un grande prosatore in lingua inglese. Una parte di Fuga da Bisanzio si compone di pezzi memorialistici, centrati su Leningrado. Sono testi di straordinaria intensità e sobrietà: l’evocazione di una città che è una categoria dello spirito, intrecciata al racconto di una giovinezza in Russia, negli anni del dopoguerra, segnato da una straziata precisione. E insieme il memorabile ritratto dei genitori, che sembrano condensare nelle loro figure la muta sofferenza della Russia in questo secolo. Il Brodskij poeta ci parla poi in due omaggi a Mandel’štam e a Auden, che sono quanto di più illuminante sia stato scritto su questi due autori. Infine, nella lunga prosa che dà il titolo al volume, ed è una fuga anche in senso musicale, Brodskij si lancia in una febbrile riflessione sulla storia della civiltà, che tocca l’imperatore Costantino e l’Islam, la storia della Russia e la natura del tempo – per indicare, quasi a caso, solo alcuni dei numerosissimi temi che si sovrappongono in questo saggio. Poeta metafisico, Brodskij ci offre in queste pagine un esempio di prosa metafisica, dove una sorpresa e una percezione imprevista ci attendono a ogni frase.

DA : ADELPHI

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO — 17 APRILE 2015
https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/17/iosif-brodskij-e-la-profezia-del-doppio-oriente-dispotico/1593970/

Antonio Armano

BLOG — ANTONIO ARMANO–  apri qui
giornalista e scrittore

 

Iosif Brodskij e la profezia del doppio Oriente dispotico

 

Sono passati trent’anni da quando il premio Nobel Iosif Brodskij pubblicava su New Yorker un intenso e sconsolato saggio narrativo, ‘Flight from Bizantyum’ (Fuga da Bisanzio), dove sovrapponeva i disastri di due “orienti”: quello musulmano e quello russo. Le inquietudini attuali si dividono proprio tra questi due fronti – imprese efferate dei terroristi islamici e guerra in Ucraina, fomentata dal Cremlino -, ma allora un eventuale collegamento risultava meno evidente.

“La mia terra natale – scrive il poeta pietroburghese – non è forse diventata un impero ottomano – per estensione, per potenza militare, per la minaccia che rappresenta agli occhi del mondo occidentale? Non siamo arrivati sotto le mura di Vienna?” Si trattava dell’Unione Sovietica – essendo nato Brodskij a Leningrado nel ’40… La Perestrojka, che sarà lanciata nell’86, un anno dopo l’uscita dell’articolo, sembrava smentire la visione della Russia come irredimibile monocrazia imperialista. Dopo Gorbacev e l’etilista Eltsin ecco però arrivare Putin.

Brodskij citava una famosa frase di Stalin, impressa nella memoria dei russi e riportata sui siti internet di aforismi in cirillico: “Da noi nessuno è insostituibile”. Era l’ironico eufemismo con cui il dittatore, detto anche Koba, si riferiva alle epurazioni di massa. Colpi alla nuca alla Lubjanka, biglietti di sola andata per Magadan. Brodskij connette l’aforisma a un episodio della storia turca: la castrazione di un figliastro del sultano. Perdendo gli attributi, il bambino non avrebbe potuto concorrere alla successione. Anche se tra i proverbiali mille mestieri aveva fatto il sezionatore di cadaveri in una morgue sulla Neva, a Brodskij quel diamoci-un-taglio resta impresso.

Attraverso il Mar Nero – la Crimea dunque, sempre la Crimea! – prima il cristianesimo bizantino poi l’islam turco hanno imbevuto il principato di Moscovia di autoritarismo militarizzato e crudeltà asiatica. A distanza di sicurezza da ogni rinascimento o illuminismo. Bisanzio-Istanbul, la seconda Roma. Mosca, la terza Roma:

“Se Ad Atene Socrate poteva essere processato pubblicamente e poteva pronunciare interi discorsi – tre discorsi! – in propria difesa, a Isfahan, mettiamo, o a Bagdad, un Socrate sarebbe stato impalato, seduta stante, impalato o flagellato, e tutto sarebbe finito lì. Non ci sarebbero stati dialoghi platonici, né neoplatonismo, niente: infatti non ci furono. Ci sarebbe stato solamente il monologo del Corano: infatti ci fu. Bisanzio era un ponte verso l’Asia, ma il traffico che lo attraversava fluiva nella direzione opposta”.

I nessi sono svariati, come i prestiti linguistici: “È sufficiente, perciò, dare un’occhiata al dizionario e scoprire che katorga (lavoro forzato) è un’altra parola turca”.

E così: “Un fatto è certo: a qualunque estremo possa arrivare la nostra idealizzazione dell’Oriente, non riusciremo mai ad attribuirgli la minima parvenza di democrazia”.

Per Oriente Brodskij intendeva anche l’Europa Orientale. Cioè la Russia. Non l’Est Europa post-asburgico, in cui si riconosce l’Ucraina indipendentista e anti-russa. Galizia, Bukovina… Teniamo presente che sapeva il polacco e traduceva la Szymborska. Per il resto: Istanbul o Isfahan fa lo stesso.

Dopo avere letto ‘Fuga da Bisanzio’ si ha l’impressione che il quadro si semplifichi. Le notizie che arrivano dal confine russo-ucraino e quelle che provengono dalla mobile frontiera jihadista hanno un comune denominatore dispotico. E un evento drammatico riflette questo gioco di specchi messo in scena dal poeta dissidente sepolto sull’isola di San Michele.

Ed è l’omicidio di Boris Nemtsov. L’arresto dei ceceni farebbe credere che sia dovuto alle dichiarazioni dell’oppositore di Putin in difesa di Charlie Hebdo. Vedi alla voce fondamentalismo. Si tenta di tenere separati i due “orienti”… Ma il dossier che Nemtsov stava preparando sui legami tra Mosca e i combattenti filo-russi in Ucraina proietta l’ombra di Putin. Detto anche Vova. Koba o Vova che sia: nessuno è insostituibile. Tantomeno un oppositore.

Brodskij nell’incipit del pezzo invita il lettore allo scetticismo. Anche se usa il condizionale ed è più sofisticato, a tratti può ricordare la Fallaci: “Il delirio e l’orrore dell’Est. La catastrofe polverosa dell’Asia. Verde soltanto sulla bandiera del Profeta. Qui nulla cresce tranne i baffi. Contrassegni salienti di questa parte di mondo: occhi neri, barba dilagante, già ricresciuta prima di cena. Braci di falò spente con getti di orina”. Ma niente rabbia, niente orgoglio, solo rassegnazione. Per citare un altro titolo brodskijano (sempre Adelphi): ‘Fondamenta degli incurabili’.

 

 

nota 1 — JOSEPH BRODSKY

Le incisioni esuli di Josif Brodskij - Frontiera di Pagine ...
foto di — http://www.polimniaprofessioni.com/rivista/le-incisioni-esuli-josif-brodskij/

Joseph Brodsky  ( Leningrado24 maggio 1940 – New York28 gennaio 1996), è stato un poetasaggista e drammaturgo russo naturalizzato statunitense.

Considerato uno dei maggiori poeti russi del XX secolo, fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1987 e nel 1991 fu nominato poeta laureato (United States Poet Laureate). Scrisse principalmente in russo, fatta eccezione per i saggi, che scrisse in inglese.

https://it.wikipedia.org/wiki/Iosif_Aleksandrovi%C4%8D_Brodskij

 

nota 2 –

MAGADAM 

Varlam Tichonovič Šalamov - lo straordinario narratore del ...

VARLAM TICHONOVIC SALANOV–  (Vologda18 giugno 1907 – Mosca17 gennaio 1982) è stato uno scrittorepoeta e giornalista sovietico. Prigioniero politico per lunghi anni, sopravvisse all’esperienza del gulag.
Nel novembre 1953 – otto mesi dopo la morte di Stalin – Šalamov ottiene il permesso di lasciare Magadan.

 

ADELPHI, 2a edizione, 1999- pp. 631

Vi sono libri che sembrano rifiutare ogni presentazione editoriale: parlano, anzi gridano, da soli. Sono anche libri che sembrano sottrarsi a un giudizio estetico: ci portano all’inferno, come guide impeccabili, e lì ci abbandonano a noi stessi. Ma Šalamov era soprattutto scrittore, e a lui dobbiamo il prodigio di una discesa all’Ade raccontata con voce spassionata e quasi impartecipe, con un candore e una rassegnazione che stridono con l’inimmaginabile brutalità delle cose descritte. E questo incontro diventa, sulla pagina, sconvolgente. Sono racconti spesso molto brevi, dedicati a un qualche «caso» della vita quotidiana nella funesta regione dei lager della Kolyma: un’occasione di abbrutimento, depravazione, assurdità, barbarie, abiezione, pietà, solidarietà, coraggio, lotta per la sopravvivenza, resa, morte; una qualsiasi delle occasioni che hanno segnato il destino di milioni di esseri umani (decine di milioni: non conosceremo mai il loro numero) nella Russia sovietica. Come scrisse Michail Geller, presentando la prima edizione in Occidente di questi Racconti, la Kolyma «non era un inferno. Era un’industria sovietica, una fabbrica che dava al paese oro, carbone, stagno, uranio, nutrendo la terra di cadaveri. Era una gigantesca impresa schiavista che si distingueva da tutte quelle conosciute della storia per il fatto che la forza-lavoro fornita dagli schiavi era assolutamente gratuita. Un cavallo alla Kolyma costava infinitamente di più di uno schiavo-detenuto. Una vanga costava di più». Nulla riscatta l’orrore di questo macabro mondo – neanche la natura, che con la sua asprezza sembra allearsi con gli aguzzini per facilitarne il compito, una natura maligna che ruba le ultime briciole di umanità. Eppure a quella natura Šalamov sa dare anima in subitanei, velocissimi squarci visionari, e la cosa crudele che circonda i prigionieri prende vita e testimonia di una lotta tra forze primordiali in cui l’uomo è soltanto timida comparsa. Ognuno, dopo aver letto questo libro, sperimenterà la morbosa ossessione del pane che ispira le cronache dei campi di concentramento. Ma si chiederà anche perplesso da dove, da chi venga a Šalamov quella tenera ironia che a tratti illumina l’universo torturante che gli diede in sorte la storia.
I racconti della Kolyma apparvero per la prima volta in volume nel 1978 in Occidente e nel 1992 in Russia.

 

 

NOTA 3 –  BORIS NEMTSOV

 

IL FATTO QUOTIDIANO — 3 MARZO 2015
https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/03/nemtsov-politkovskaja-berezovskij-tutte-morti-sospette-dellera-putin/1472541/

 

MONDO

Nemtsov, da Politkovskaja a Berezovskij: tutte le morti sospette dell’era Putin

Nemtsov, da Politkovskaja a Berezovskij: tutte le morti sospette dell’era Putin

L’oppositore ucciso il 27 febbraio viene sepolto al cimitero Trojekurovskoje, lo stesso che nel 2006 ha accolto la salma della giornalista assassinata nell’androne del suo palazzo: per il Cremlino in entrambi i casi di è trattato di una “provocazione”. Ancora senza un movente, dopo anni di indagini, le morti di oppositori come Natalja Estemirova, Sergej Magnitskij e Aleksandr Litvinenko

L’oppositore russo Boris Nemtsov, ucciso il 27 febbraio a Mosca con quattro colpi d’arma da fuoco, viene sepolto al cimitero Trojekurovskoje, lo stesso che nel 2006 ha accolto la salma della giornalista Anna Politkovskaja, assassinata nell’androne del suo palazzo. Era il 7 ottobre, giorno del compleanno del presidente russo Vladimir Putin. La morte della Politkovskaja, come disse lui allora, danneggiava il Cremlino più che i suoi articoli di denuncia al potere. All’indomani dell’omicidio di Nemtsov, il Comitato investigativo rispolvera la stessa tesi. Uno dei motivi del delitto, dice, potrebbe essere “una provocazione per destabilizzare la situazione politica nel Paese”. Lo scenario che si ripete, come in un incubo, contribuisce ad aumentare lo scetticismo dell’opposizione: in tanti sono convinti che non si saprà mai chi ci sia dietro l’omicidio del politico russo, come non si è mai scoperto il mandante dell’omicidio della Politkovskaja.L’uccisione della giornalista della Novaja Gazeta, autrice di inchieste e libri sulla corruzione del potere russo e sulle violazioni dei diritti umani durante la seconda guerra cecena, aveva provocato uno grande choc nella società russa. Ne sono seguiti lunghi anni di processi, con diverse accuse di insabbiamento da parte della famiglia della giornalista. Solo nel 2012 è arrivata la prima condanna all’ex poliziotto Dmitrij Pavljuchenkov, che aveva organizzato il pedinamento della giornalista. Mentre a otto anni dalla morte della Politkovskaja, il 9 giugno 2014, sono stati finalmente condannati altri cinque responsabili del delitto, compreso il killer, il ceceno Rusatm Makhmudov. Ignoto il mandante. La sentenza parla di una “persona non identificata” alla quale “hanno dato fastidio” gli articoli di denuncia della Politkovskaja.L’ipotesi dell’omicidio per discredito del potere ricorre anche nel caso di Natalja Estemirova. Attivista per i diritti umani del centro Memorial, anche lei, come la Politkovskaja seguiva i casi della violazione dei diritti umani in Cecenia. Denunciava, tra l’altro i metodi del capo della repubblica caucasica, Ramzan Kadyrov, fedele alleato di Putin. Il 15 luglio 2009 era stata rapita vicino alla sua casa nel capoluogo ceceno di Groznyj. Lo stesso giorno il suo corpo della veniva  trovato vicino all’autostarada nella confinante repubblica di Inguscezia. L’inchiesta sulla morte prosegue ancora oggi. La Novaya Gazeta, che conduce un’indagine alternativa, ha provato l’infondatezza della versione ufficiale, secondo la quale sarebbe stato un militante ceceno, Alkhazur Bashaev, ad uccidere la donna.I grassi anni 2000 della famosa stabilità per cui viene lodato Putin si associano non solo ai delitti misteriosi di chi criticava il potere, ma anche al moltiplicarsi dei prigionieri politici. A cominciare dall’oligarca Mikhail Kodorkovskij, che voleva sfidare Putin sul campo politico e invece perse la sua compagnia petrolifera Yukos e anche dieci anni di vita passati dietro le sbarre, dal 2003 fino alla grazia concessa da Putin stesso il 20 dicembre del 2013. L’avvocato Sergej Magnitskij invece non è mai uscito dalla prigione, morto di pancreatite nel centro di detenzione Matrosskaja Tishina il 16 novembre del 2009. La sua colpa è stata quella di aver denunciato, insieme al suo capo, il cittadino britannico Bill Browder, proprietario della compagnia di investimenti che lavorava in Russia, l’Hermitage Capital Management, la corruzione in seno al potere.

L’impennata dei processi politici è arrivata a seguito della reazione del Cremlino alle proteste esplose nel dicembre del 2011, dopo le accuse di brogli alle elezioni parlamentari. L’avvisaglia della grande purga è stata l’arresto, il 3 marzo 2012, delle Pussy Riot, per una canzone anti Putin cantata nella chiesa del Cristo Salvatore a Mosca. Condannate il 17 agosto a due anni di reclusione, Nadezhda Tolokonnikova e Maria Alekhnina, sono state rilasciate il 23 dicembre 2013, grazie a un’amnistia. Se il caso delle ragazze con il passamontagna è diventato più noto a livello internazionale, qualche mese dopo il loro arresto, è iniziata un’altra inchiesta, molto più rilevante per quanto riguarda il numero degli indagati. Nel caso dei disordini in piazza Bolotnaya, nato dopo la protesta del 5 maggio 2012, qualche giorno prima dell’insediamento di Putin per il terzo mandato presidenziale, sono state coinvolte una trentina di persone. L’inchiesta prosegue a tutt’oggi, le accuse contro 13 persone sono state sollevate grazie all’amnistia, mentre altri 15 rimangono ancora dietro le sbarre.

Chi sfida il potere in Russia non può starsene tranquillo neanche all’estero, come dimostra il caso di Aleksandr Litvinenko. L’ex ufficiale dell’Fsb, dopo aver pubblicamente rivolto una serie di pesanti accuse contro il potente servizio segreto russo, è fuggito nel 2000 in Gran Bretagna. Lì ha trovato la morte il 23 novembre 2006. Gli investigatori hanno scoperto la causa del suo improvviso decesso – avvelenamento da polonio – ma resta ancora da appurare le responsabilità. Uno dei principali sospettati è Andrei Lugovoi (la Russia ha respinto la richiesta di una sua estradizione nel 2007), anche lui con un passato nei servizi segreti e ora deputato. Il 27 gennaio del 2015, dopo una lunga battaglia giudiziaria portata avanti dalla vedova, è iniziata in Gran Bretagna un’inchiesta pubblica, che dovrebbe chiarire se nell’omicidio ci sia la mano del Cremlino.

Litvinenko era uno stretto collaboratore dell’oligarca russo Boris Berezovskij, anche lui morto in circostanze misteriose. Berezovskij, eminenza grigia negli anni di Eltsin, è fuggito in Gran Bretagna nel 2000, quando è arrivata la stretta di Putin sugli oligarchi. Il suo corpo senza vita è stato trovato il 23 marzo 2013 nel bagno della sua residenza ad Ascot, con vicino una sciarpa. Il verdetto delle autorità giudiziarie britanniche sulle cause della morte, pronunciato il 27 marzo del 2014, non è giunto però ad una conclusione definitiva. Anche se la versione del suicidio per guai finanziari sembrava la più probabile, non è ancora possibile scartare l’ipotesi dello strangolamento, sostenuta dai famigliari dell’oligarca.

Finche Berezovskij era in vita, è stato una specie di capro espiatorio per il Cremlino. Fu incriminato dei peggiori delitti, compreso l’omicidio della Politkovskaja. Ora non c’è più, eppure, come in un vecchio copione, nel caso di Nemtsov viene di nuovo ventilata la versione dell’”omicidio sacrale” (termine coniato da Putin stesso), ossia compiuto dall’opposizione per screditare il Cremlino. Qualche anno fa, scrivendo sull’omicidio Politkovskaja, lo stesso Nemtsov aveva denunciato questa tesi come la migliore dimostrazione “del cinismo e della crudeltà” del leader russo. Era convinto che per fare luce sull’uccisione della giornalista fosse necessario rottamare il potere di Putin. Non ha fatto in tempo. Ora la sua morte rischia di trasformarsi nell’ennesimo delitto irrisolto.

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1 risposta a JOSIF BRODSKIJ, FUGA DA BISANZIO, ADELPHI, 3a ediz.2016 + ANTONIO ARMANO, IL FATTO QUOTIDIANO, 2015 + tre note

  1. DONATELLA scrive:

    L’ombra del potere in Russia assume delle forme che ricordano le corti rinascimentali italiane.

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