GIANNI BONO — STORIA DEL FUMETTO NEL DOPOGUERRA :: ” Questa vignetta non s’ha da vedere! ” – Autocensure nel fumetto italiano del Dopoguerra —

 

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GIANNI BONO ( GENOVA, 1949 ), è uno storico
e studioso del fumetto italiano.
Nel 1971 organizza la rassegna genovese “Le 3 giornate del fumetto”. Nel 1972 scrive il saggio Appunti sul fumetto italiano del dopoguerra. Nel 1984, per il Salone Internazionale dei Comics di Lucca.   Nel 1994 è direttore culturale della rassegna milanese Cartoomics e redige la prima edizione della Guida al fumetto italiano. Nel 2004, dopo due anni di lavoro, crea a Lucca il Museo italiano del fumetto e dell’immagine.

molto di più in : https://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Bono

 

 

Questa vignetta non s’ha da vedere!

Autocensure nel fumetto italiano del Dopoguerra

 

Fin dalla prima legislatura della Repubblica Italiana si sono moltiplicate le iniziative “bipartisan” per mettere la mordacchia ai fumetti, considerati diseducativi, nella migliore delle ipotesi. Dopo diversi disegni di legge di censura preventiva andati a vuoto, gli editori capirono che sarebbe stato meglio emendare da soli i propri fumetti prima che ci pensasse qualcun’altro. Fu comunque un massacro.

 

 

Questa vignetta non s'ha da vedere!

 

 

Non erano bastati il ventennio fascista, l’autarchia e l’odio per i prodotti dei nemici stranieri d’oltreoceano ad azzoppare la gracile industria del fumetto italiano. Nel Dopoguerra ci si misero anche i politici. Da destra e dal mondo cattolico, si invocava la difesa della morale e la tutela dei fanciulli contro le turpitudini di cui sarebbero stati popolati i “giornalini”. Da sinistra, il fumetto era visto come un sottoprodotto della cultura imperialista americana e perciò quantomeno da osteggiare in via di principio ideologico. Tra gli onorevolli della prima legislatura (1948-1953), particolarmente attiva si dimostrò la deputata democristiana Maria Federici, prima firmataria di diversi progetti di legge in materia di censura sui fumetti, uno dei quali, il 6 marzo 1952, fu addirittura approvato alla Camera dei Deputati, ma non fece in tempo a passare al Senato per la definitiva conversione in legge, a causa del naturale termine della legislatura.

 

 

OPUSCOLO ANNI CINQUANTA DIFFAMATORIO NEI  CONFRONTI DEL FUMETTO

 

Un grande editore come Mondadori, da sempre “filogovernativo” a prescindere, sentiva moltissimo la responsabilità di fare il possibile per tutelare i ragazzi che leggevano i suoi fumetti, ma soprattutto cercava di evitare che i politici si mettessero di traverso al business. Eppure, nonostante tutto, “l’incidente diplomatico” era sempre dietro l’angolo, come quella volta che, nel 1951, un eroe puro e specchiato come Pecos Bill – realizzato da Guido Martina e Raffaele Paparella e pubblicato nella collana mondadoriana Albo d’Oro – venne messo all’indice su un libello intitolato “Mammina me lo compri?”, diffuso attraverso il circuito delle parrocchie. L’autore, Benedetto Elllier Caporale, era riuscito a beccare e a mettere sotto accusa probabilmente l’unica vignetta tra migliaia, nella quale il nostro eroe inveisce sopra le righe con un: “Maledetti! Vorrei uccidervi tutti i quanti!”. Orrore e istigazione all’omicidio! D’altra parte gli avevano ucciso l’amica e in ogni caso tre vignette dopo desiste dal proposito di vendetta! L’episodio è tratto da Albo d’Oro n. 269 del 7 luglio 1951.

L’esempio fa sorridere, ma è anche indicativo del clima da caccia alle streghe dell’epoca. Non stupisce quindi il fatto che, quando Mondadori portò in Italia Superman sugli Albi del Falco, nel 1954, lo sottopose a una “cura” di più di più di 150 manipolazioni in un arco di 14 anni circa. Perfino il nome stesso del personaggio fu modificato, da Superman in Nembo Kid. Sulle ragioni di questo cambiamento autarchico, degno del ventennio appena lasciato alle spalle, qualche delucidazione ce la fornì una testimone di prima mano, la vedova di Decio Canzio, signora Silviana Vercelli, che appena ventenne traduceva dall’inglese proprio le sceneggiature di Superman per Mondadori. Durante le interviste per la realizzazione del libro “I Bonelli. Una famiglia mille avventure” (pubblicato da Sergio Bonelli Edtore nell’ottobre 2017), ci spiegò che quel nome era stato scelto probabilmente per non urtare la suscettibilità di certi ambienti cattolici con accostamenti all’osteggiata filosofia del superomismo di Friedrich Nietzsche. Ciò comportò, paradossalmente, un super-lavoro per una schiera di redattori incaricati di cancellare dalle tavole originali le centinaia di “S” che comparivano sul costume di Superman. Tra essi, a far la gavetta, c’era anche un giovane Gaudenzio Capelli, futuro direttore di Topolino.

 

 

 

Un altro esempio della cattiva stampa di cui gode il fumetto negli anni Cinquanta.

 

 

Mondadori però, a quanto pare, non era l’unico a rimaneggiare le proprie edizioni. Di recente abbiamo trovato esempi di censura anche nelle tavole di un personaggio insospettabile come il Grande Blek pubblicato dalla Dardo, un altro editore di successo che aveva tutto l’interesse a che le sue pubblicazioni non attirassero troppo l’attenzione delle varie liste di proscrizione in circolazione. Gli esempi di censure di Blek, che documentiamo qui per la prima volta, riguardano strisce comparse originariamente tra il 1955 e il 1957 e ritoccate sulle ristampe rimontate in formato Albo d’Oro della Collana Prateria (1956-1957).

 

Uno dei numerosi esempi di autocensura sugli Albi del Falco di Mondadori: addio bacio.

 

 

 

Tra i diversi esempi rinvenuti, abbiamo un’impiccagione giudicata, forse, un po’ troppo cruenta; un apprezzamento decisamente razzista di Blek nei confronti di una zingarella e un duello al pugnale trasformato in una rissa a mani nude. Quest’ultima censura, in particolare, fa riflettere perché non è risultata essere un caso isolato. Anzi, altri esempi sembrano testimoniare una vera e propria fobia in casa Dardo per le lame, che nelle ristampe si squagliano come ghiaccioli al sole, lasciando i cattivi di turno del tutto disarmati o muniti di nodosi randelli sostitutivi.

 

 

 

 

Con l’arrivo degli anni Sessanta del XX secolo, le iniziative autocensorie dei singoli editori trovano una forma di coordinamento con la nascita di un’associazione che si incarica di redigere e applicare un Codice di Garanzia Morale, sempre allo scopo di evitare interventi a gamba tesa della politica nel settore della stampa a fumetti.

 

 

La continuazione “dell’impiccagione” si conclude in farsa. Di cosa avrebbe dovuto morire il prigioniero nella versione di destra? Di vecchiaia, forse..

 

In questo altro esempio scompaiono dalle vignette i coltelli, di cui non si fa più menzione neppure nel testo dell’ultima vignetta.

 

 

La conclusione del duello precedente.

 

In quest’altro duello all’arma bianca, il letale pugnale viene sostituito da un nodoso e buffo randello, brandito per di più come una melanzana. Siamo oltre il limite del ridicolo.

 

 

In questo caso Blek, oltre a non comportarsi da gentiluomo, cede a un velato razzismo.

 

Un esempio delle autocensure su Tex. Non sia mai che una donna, per di più scollacciata, possa salvare Tex.

 

 

Ancora da Tex: meglio sorvolare su cadaveri e becchini.

 

Arnoldo Mondadori e Sergio Bonelli sono i punti di riferimento per l’associazione. Il primo per ovvi meriti industriali, il secondo per il ruolo di segretario che ricopre nell’associazione, nonostante la giovane età.

 

Sergio mette in pratica i dettami dell’associazione di cui è rappresentante con un rigore e uno zelo degni di miglior causa;  soprattutto sul suo prodotto di punta, Tex Willer, le cui censure nelle ristampe sono oggi materia arcinota anche perché, per popolarità del personaggio e tirature delle sue pubblicazioni, non potevano certo passare inosservate al vaglio dei collezionisti. Anche di queste, trovate alcuni esempi in galleria. E chissà che, prima o poi, non saltino fuori censure di altri personaggi, finora ignorate.

 

Gianni Bono

 

 

Una versione più succinta di questo testo è stata pubblicata da Sergio Bonelli Editore nell’ambito di una serie di approfondimenti  e curiosità relative al volume iBonelli. Una famiglia. Mille avventure, scritto da Gianni Bono.

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1 risposta a GIANNI BONO — STORIA DEL FUMETTO NEL DOPOGUERRA :: ” Questa vignetta non s’ha da vedere! ” – Autocensure nel fumetto italiano del Dopoguerra —

  1. DONATELLA scrive:

    Credo che nel secondo dopoguerra il fumetto, come genere, fosse considerato di serie B, se non peggio. Facevano eccezione Topolino e gli altri fumetti per bambini e ragazzi. Ricordo che avevano una grande diffusione i fotoromanzi, con storie lacrimevoli di innocenti ragazze portate alla prostituzione da loschi individui. C’erano star già di prima grandezza come Sofia Loren, allora diva casareccia, che non aveva ancora le ascelle depilate.

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