Terre di confine. La frontera. La nuova mestiza. Nuova ediz.
Edizioni Black Coffee, 2022
Terre di confine torna in libreria in una nuova traduzione di Paola Zaccaria, grande studiosa dell’opera di Anzaldúa
Texana, docente di Chicano Studies, Feminist Studies e scrittura creativa, e attivista del movimento per i diritti dei lavoratori agricoli migranti, Gloria Anzaldúa ha dato grande impulso alla letteratura e alla coscienza chicana, ponendo al centro del dibattito politico ed estetico la questione della frontiera e le sue implicazioni culturali. In “Terre di confine. La Frontera” si mescolano diversi stili di scrittura, storia e mito, spagnolo e inglese, esperienze personali e poesia. È così che Anzaldúa sceglie di introdurci in uno spazio fronterizo, un luogo di passaggio, contraddizioni e conflitti. Un luogo che è altro da tutto ed è altro ancora. Questo luogo geografico è la frontiera tra Messico e Stati Uniti. “Terre di confine” torna in libreria in una nuova traduzione di Paola Zaccaria, grande studiosa dell’opera di Anzaldúa. Nel testo originale le parti in spagnolo non sono tradotte, e così si è deciso di fare anche in questa edizione per esporre chi legge direttamente all’esperienza del bilinguismo e alla fatica di capire poco o di non capire affatto.
( da IBS )
Gloria Anzaldúa era nata il 26 settembre 1942 a Harlingen (Texas). Il padre era figlio di un giudice della corte hidalga ( ” nobile ” ), discendente di famosi esploratori baschi arrivati in America nei primi anni del diciassettesimo secolo. Ha solo undici anni quando inizia a sentire sulla propria pelle gli effetti di quella discriminazione razziale che fu uno dei temi della sua riflessione letteraria.
Donna capace di dare voce alla poesia che le scorreva dentro e ripercorrere la storia della “espropriazione” materiale e culturale – fatta dagli anglos – delle terre Aztlán, luoghi d’origine della cultura azteca appartenute agli indigeni messicani sino al 1848 e sottratte loro (con il trattato di Guadalupe-Hidalgo) dagli Stati Uniti.
Nelle sue opere Gloria Anzaldúa ha recuperato e reinventato alcuni miti femminili nati dal contatto/scontro della civiltà nativa con quella europea: come Malinche, la traduttrice-amante di Cortés a lungo ritenuta dai discendenti degli aztechi una “traditrice”, presentata invece come esempio di una faticosa intermediazione linguistico-culturale.
Non ha trascurato nemmeno la Virgen de Guadalupe, la Madonna messicana frutto della fusione sincretica con la divinità azteca Coatlique. Ha riportato poi la sua esperienza personale di donna lesbica e chicana – ruoli faticosi da far rispettare – e si è soffermata a mettere in luce l’arcobaleno delle lingue variegate che hanno contraddistinto il panorama linguistico delle borderlands, fra Messico e Stati Uniti, partendo dalle contaminazioni presenti nella sua complessa biografia.
«Le parole sono lame d’erba che attraversando gli ostacoli, germogliano sulla pagina; lo spirito delle parole che si muove nel corpo è concreto e palpabile come la carne; la fame di creare è altrettanto materiale quanto le dita e la mano. Guardo le mie dita, vedo crescervi piume. Dalle dita, mie piume, inchiostro nero e rosso cola sulla pagina». (in Terre di confine).
Un vero e proprio inno alla mescolanza: non solo per i temi affrontati ma anche nella struttura dove i confini tra i generi letterari sfumano l’uno nell’altro (saggio teorico e biografia, poesia e storiografia, antropologia e romanzo) come quelli fra i codici linguistici (castigliano, chicano, inglese standard e slang, nahuatl).
Se al confine si vogliono costruire muri e separare culture, escludendole l’una dall’altra, lei ha tentato di costruire ponti per disinnescare il meccanismo di separazione, invitando ad abitare la frontiera per attraversarla mille e mille volte.
È infatti la mescolanza delle culture, del sudore, delle sofferenze che può creare una possibile relazione fra le genti. «There is the queer of me in all races» (C’è la mia “stranezza” in tutte le razze) afferma con orgoglio. Riconoscere questa stranezza aiuta a superare gli steccati che circondano la vita di ognuno di noi, dalle origini alla sessualità, dalla lingua alla religione.
Il concetto di new mestiza sviluppato con la sua scrittura ha avuto come obiettivo anche quello di spezzare qualsiasi forma di contrapposizione assoluta (filoamericano-amerindio) per cercare di disegnare una cartografia nuova di luoghi fisici ed emotivi.
E’ scomparsa il 15 maggio 2004. Ha le sorti di un gruppo di esseri umani tre volte penalizzato: le donne di “razza” meticcia e dall’orientamento sessuale non tradizionale
testo da :
LA BOTTEGA DEI BARBIERI.ORG
ww.labottegadelbarbieri.org/gloria-anzaldua-chicana-donna-lesbica/
RECENSIONE DI MICROMEGA
15 DICEMBRE 2022
https://www.micromega.net/terre-di-confine-la-frontera-di-gloria-anzaldua-ogni-parola-e-una-rivolta/
DANIELE BARBIERI
“I libri mi hanno salvato dalla pazzia” scrive Gloria Evangelina Anzaldúa (ma lei preferiva firmarsi come gloria anzaldúa, con le minuscole come bell hooks (— scrittrice americana, il nome è uno pseudomino che voleva minuscolo ), oppure con la sigla GEA):
“La conoscenza ha aperto i luoghi in me sigillati e mi ha insegnato dapprima come sopravvivere e poi come librarmi in volo”. Una frase che molte persone, pur senza essere chicanas ( — popolazione di origine messicana residente negli Stati Uniti d’America ) o femministe come lei, potrebbero sottoscrivere: l’ignoranza è il primo anello della catena che ci rende schiave e schiavi nelle teste prima che nei corpi.
È una lettura indispensabile – ma faticosa, poi spiegherò perché – questo “Terre di confine / La frontera” del 1987 che meritoriamente le edizioni Black Coffee ripubblicano (300 pagine, 18 euro) nella nuova traduzione di Paola Zaccaria che strada facendo deve essersi sentita oscillare fra l’angoscia dell’intraducibile e la felicità di aver trovato le parole giuste, a volte lasciate in originale, ben motivando questa sofferta scelta. Nuova traduzione della stessa Paola Zaccaria, perché nel 2000 ancora non aveva fatto pienamente i conti con “una lingua mestiza” cioè “insubordinata, selvatica, non etero-normativa, indisciplinata, smurante, denazionalizzate e deuniversalizzante”. S-murante: che abbatte i muri. Un “testo-corpo” che bisogna dunque affrontare con la passione e i sensi prima che con i vocabolari. Perché qui ogni parola può essere un mondo nuovo e/o una rivolta urgente.
Il tipo di linguaggio che oggi viene definito “transfemminista” (o simili etichette-gabbiette) è a volte diventato uno stereotipo. Qui invece siamo all’origine e al senso compiuto: una vera rottura dei confini, muoversi controcorrente, mettere tutto sottosopra.
Un libro assolutamente da leggere ma con calma perché molti passaggi non sono facili: il piacere dell’immaginazione ma anche la trasformazione personale che verranno insieme alla lettura – e dopo – compenseranno di ogni piccola fatica.
Scritto in poesia e prosa ma anche in molte lingue parte da “una frontiera fisica reale” (fra il Texas e il Messico) per poi scavalcarne molte: “psicologiche, sessuali, spirituali” e ovviamente di classe e di razza (o meglio di razzismo).
“Questa è la mia casa
questa sottile linea di
filo spinato
[…]
Questa terra un tempo era messicana
è stata india sempre
e lo è ancora.
E lo sarà di nuovo”.
Gli ultimi quattro versi torneranno più volte nel libro.
Filo spinato: magari non lo sapete ma sono 1950 miglia sul confine Messico-Usa ( = km 3138,221 ); e io aggiungo che il muro di Berlino era lungo 43 chilometri, tanto per fare i conti con matematica e storia.
Altri numeri? Quelli del genocidio anzitutto:
“prima della Conquista, in Messico e nello Yucatan c’erano 25 milioni di nativi; subito dopo… la popolazione india era stata ridotta a meno di 7 milioni”.
Oppure quello delle persone che “legalmente o illegalmente” attraversano la frontiera: “10 milioni di persone senza documenti hanno fatto ritorno nel Sudovest”
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